La Stampa, 7 settembre 2019
Venduta Sotheby per 3,7 miliardi
VANITYX NUMERI
Mario PlateroNew York
Domenica scorsa, all’apice del Labor Day Weekend, il vecchio barcone American Beauty navigava in un pomeriggio di sole di fine estate nella baia di Sag Harbour, antico porto di baleniere a Long Island e a bordo non si parlava d’altro: da lì a pochi giorni l’acquisto di Sotheby’s per 3,7 miliardi di dollari annunciato a giugno da Patrick Drahi, sarebbe stato approvato dall’assemblea degli azionisti. Cosa sarebbe successo? È stato davvero un acquisto da capogiro per sviluppare il business? O solo un mezzo per favorire la scalata sociale di un imprenditore affermato, ma in cerca di pedigree? Che impatto ci sarà nel mondo dell’arte? Quanti licenziamenti? A bordo non c’erano molte risposte anche perché Peter Drahi, un imprenditore franco israeliano nel settore comunicazioni il cui patrimonio è stimato in oltre 11,7 miliardi, è uomo molto privato, schivo, non ama le grandi mondanità ma ha di sicuro un grande senso degli affari.
Nato a Casablanca in una famiglia ebraica marocchina, emigrato a Montpellier quando aveva 15 anni. Bravo a scuola è stato ammesso all’esclusivo Polytechnique a Parigi dove si è laureato in ingegneria. Poi comincia una carriera nel settore comunicazioni, si mette in proprio e in una ventina d’anni acquista altrettante società. L’anno chiave è il 2015 quando dal mercato televisivo francese passa al cavo americano e con la sua controllata olandese Altice acquista prima il 70% di Suddenlink per 9 miliardi e poi il colosso Cablevision per 17,7 miliardi. Nel 2017 crea la controllata americana di Altice che porta in Borsa, recupera gran parte del suo investimento e mantiene il controllo con il 35% del pacchetto azionario. È dunque a tutti gli effetti un imprenditore globale in un settore chiave.
Il perché dell’operazione
Torniamo al punto di partenza: perché Drahi si appassiona a Sotheby’s che con il suo business c’entra poco? E perché l’agitazione e l’interesse a bordo di American Beauty? In effetti Sotheby’s, la più antica casa d’aste al mondo, fondata nel 1744 a Londra (Christie’s è del 1766) è un solido fiore all’occhiello, un colosso da 5,8 miliardi di fatturato, 90 gallerie in 40 paesi, 1.446 dipendenti a livello globale. Una potenza di fuoco, di cultura, di arte, di finanza senza pari e dunque il fatto che diventi privata, anzi che passi nelle mani di un francese, grande collezionista sì, ma poco conosciuto nel settore, porta agitazione. Si sa che Drahi ama l’efficienza e taglia posti di lavoro senza pietà. Di sicuro lascerà Domenico de Sole, il manager italiano (Gucci, creatore di Tom Ford etc.) da qualche anno alla presidenza di Sotheby’s. È stato de Sole a gestire passaggi delicati ma che di certo non potevano sollevare dubbi: Drahi ha pagato il 61% in più del prezzo di Borsa nel giorno della sua offerta e la sua missione è quasi esaurita, l’assemblea ha approvato la vendita. Ma ieri è già partita una causa da parte di 4 azionisti “scontenti”. La forza di Sotheby’s è però nella qualità dei dipendenti, nella loro straordinaria expertise e nella rete di relazioni con collezionisti, musei e mercanti d’arte. Non sembra sia saggio privarsi del punto di forza chiave del business, il personale superspecializzato. La vera spiegazione di questa operazione sta quasi certamente nel passaggio dal pubblico, cioé quotata in Borsa, al privato. Per definizione il mondo dell’arte è permeato da discrezione, alta finanza, concessioni di crediti a breve. E oggi con le regole che imperversano, tra richieste di informazioni e trasparenza, per le aziende quotate gestire operazioni di vendita da centinaia di milioni per un singolo quadro. Christie’s è già privata, controllata da Francois Pinaud con la sua holding Artemis. Anche Phillips è privata e dunque in qualche modo Drahi scommette sul miglioramento di gestione grazie a maggiore flessibilità di ogni tipo sul piano delle regole e soprattutto scommette sul futuro del mondo dell’arte: «Mi sembra questo l’aspetto più interessante: molti dicono che il mercato dell’arte potrebbe avere una pausa, un’operazione di questo genere per una casa d’aste è una forte iniezione di ottimismo», dice Edmondo di Robilant, mercante d’arte a Londra, fondatore di Robilant + Voena. E aggiunge che gli sembrerebbe strano che l’operazione fosse per una scalata sociale: «Non spendi 3,7 miliardi per un’affermazione sociale, non conosco Drahi ma da quel che so la vanità non rientra nel suo carattere, anzi».
Passione personale
Drahi vive in Svizzera con la moglie e 4 figli. È possibile che abbia deciso di costruire una grande collezione e che il controllo di Sotheby’s lo possa aiutare. Di certo oggi due francesi hanno il controllo delle più grandi case d’asta. Prima di Drahi, a privatizzare Sotheby’s fu Alfred Taubman, imprenditore di grande acume per gli affari, in effetti diventò una celebrità da un giorno all’altro e fu corteggiatissimo, ma come Drahi era un uomo molto pratico e molto privato. Purtroppo finì coinvolto nello scandalo della collusione di prezzi con Christie’s e dovette scontare, molti dicono ingiustamente, un anno di prigione, Sotheby’s a quel punto era già di nuovo in Borsa. E fu proprio l’eccesso di regole che lo mise nei guai. Drahi non vuole correre gli stessi rischi. Ma come Taubman vuole moltiplicare il suo investimento, ha solo 56 anni e tutto il tempo, la voglia e la tenacia per portare a termine la sua missione. Nel nome dell’arte, si intende. —