la Repubblica, 5 settembre 2019
I guardiani dell’Etna
Per capire l’Etna non basta studiare. Servono buone gambe, perché l’Osservatorio storico si trova a 2.900 metri. E occorre una mentalità speciale, per introdursi con il ragionamento della scienza nel rapporto atavico e diretto tra gli abitanti e” Idda ‘ a muntagna”. Nulla di questo manca ai 120 ricercatori dell’Osservatorio Etneo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ( Ingv), che ha la sede principale a Catania. Sono geologi, fisici, ingegneri, chimici e periti che seguono e annusano il respiro dell’Etna, ne registrano gli stiracchiamenti quotidiani così come i sommovimenti secolari ( anche dello Stromboli, di Vulcano e di Pantelleria). Con qualche contrattempo di natura non geologica: «I pannelli solari che alimentano le stazioni di monitoraggio spesso si prendono una schioppettata. Così, senza un perché» sbuffa il direttore Eugenio Privitera. «La stazione di Alicudi invece fu buttata in mare tutta intera. Una signora sosteneva che attirasse i terremoti».
Quando poi si tratta di dare l’allarme per una possibile eruzione, tenendo i turisti e i loro portafogli lontani da quei fianchi scuri che a molti danno da vivere, c’è chi non apprezza l’impegno dell’Osservatorio. «In vetta ci sono capitati diversi confronti duri con le guide» racconta il geologo Boris Behncke. «A Stromboli una volta stampammo dei depliant per avvertire i turisti dei rischi. Non si sa come, sparirono. Per questo buona parte del nostro lavoro è organizzare incontri, conferenze e visite per le scuole».
Proprio lo Stromboli quest’anno ha depennato le ferie all’Osservatorio, con la doppia eruzione del 3 luglio e del 28 agosto. Alla vigilia di Natale era stato l’Etna a innalzare l’emergenza, e a far riporre le valigie. «Lo Stromboli resta instabile, la Protezione Civile mantiene l’allerta arancione. Non ce la sentiamo di allontanarci» spiega Privitera. Che come molti colleghi, il vulcano ce l’ha nel sangue. «Sono nato sotto l’Etna. Ho fatto ricerca altrove nel mondo, anche in Antartide. Ma sono tornato». Behncke invece viene da Francoforte. Lui ‘ a muntagna l’ha ostinatamente inseguita, cercandone da bambino foto e notizie sui giornali, poi cerchiandola sull’atlante della scuola, infine con la sua tesi di laurea. Lo scorso dicembre, a 58 anni, dopo 15 anni di precariato, ha ottenuto un contratto stabile. E ora l’Etna non lo lascia più. «Abito a Tremestieri. Quando mi sveglio vedo subito dalla finestra di che umore è». Per lui il vulcano è una femmina attraente e focosa. «Oppure una di quelle donne siciliane che si chiudono in cucina per ore. Preparano ricette segrete con ingredienti misteriosi. E tu non sai mai cosa stia bollendo in pentola. L’Etna, qualunque cosa faccia, sa sempre stupirti. Non c’è fenomeno della vulcanologia che non sia visibile qui». E gli addetti dell’Osservatorio, con i turni in sala operativa, tengono gli occhi incollati ai loro vulcani giorno e notte, in contatto con Protezione Civile e prefetture.
La fucina di Efesto infatti è il vulcano più attivo d’Europa. «Ora che si è conclusa l’eruzione alle Hawaii è il più attivo del mondo» precisa Privitera. E anche il più mutevole. È capace di aprire crateri, costruire pinnacoli o demolire fianchi nel giro di poche settimane. Nell’ultimo anno la vetta si è abbassata di 10 centimetri. «Mi sono sempre chiesto – racconta divertito Behncke – perché da via Etnea a Catania non si vedesse l’Etna. Ebbene, negli ultimi anni a est si è innalzato un nuovo cratere talmente prominente da rendersi visibile anche lì». Le deformazioni del gigante, come la sua flemmatica tendenza a scivolare verso il mare ( si sposta 2 centimetri l’anno verso est, hanno scoperto all’Osservatorio), sono misurate con precisione. «I satelliti ci danno un’immagine complessiva con la risoluzione di un metro» dice Privitera. I droni, di cui Emanuela De Beni è responsabile, scendono al centimetro: «Ne abbiamo una decina, con telecamere normali e termiche per misurare il calore delle colate. Li abbiamo usati per la prima volta in un’eruzione nel 2017».
Le 120 stazioni che punteggiano i fianchi della montagna, trasformate in casette blindate contro i furti, misurano le scosse, la composizione delle acque profonde, i gas espirati dal gigante. I dati diventano sempre più ricchi, da quando l’attività di monitoraggio è iniziata intorno al ‘ 900 all’università di Catania. «Oggi sperimentiamo, primi in Italia, le fibre ottiche come sismometri. È una tecnica nuovissima. Abbiamo steso con i colleghi tedeschi un cavo di 3 chilometri in quota, ma sfrutteremo anche i cavi Telecom a Santa Venerina e Zafferana e la rete dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, che usa le fibre ottiche in fondo al mare per osservare i neutrini dallo spazio».
E per chi continua a costruire sulle pendici, ignorare i divieti di avvicinarsi ai crateri, inoltrarsi nei sentieri con tacchi o infradito anche quando piovono cenere e lapilli, il compito dei ricercatori è spiegare che il vulcano non è un giocattolo. La stessa sede che si trova in quota, nel 1971, è finita sommersa dalla lava. L’eruzione dello Stromboli del 3 luglio, oltre a uccidere un turista, ha distrutto tutti gli strumenti piazzati sulle pendici. «Abbiamo avuto 220mila euro di danni» spiega Privitera. «Ma è un rischio calcolato, quando ti occupi di vulcani».
Non se l’aspettava invece Boris Behncke, il 16 marzo 2017, quell’esplosione provocata dal contatto della lava con la neve che l’ha ferito con altre 9 persone. «Sono esperto, ma ancora una volta l’Etna mi ha preso alla sprovvista. I frammenti di lava incandescente ci fischiavano intorno, atterrando alle nostre spalle con un tonfo pesante. Uno si è infilato nello zaino, bruciandolo. Un altro mi ha ferito alla testa. Niente di grave, solo una” minchiatedda”. Ma ho una figlia di 14 anni. Sul bordo del vulcano non mi avvicino più con la spregiudicatezza di un tempo».