la Repubblica, 5 settembre 2019
C’è un robot russo nello spazio
In Russia è considerato quasi uno Jurij Gagarin di metallo. Il suo saluto prima di decollare, il 22 agosto diretto verso la Stazione spaziale internazionale, è stato:” andiamo”, lo stesso che pronunciò il primo uomo mai arrivato in orbita, nel 1961. Cinquantotto anni dopo Fedor è il primo robot umanoide ad arrivare nello spazio senza essere trasportato come bagaglio ma seduto nella navetta al posto di comando, nella mano stringeva una bandierina della Russia. Dopo un fallito aggancio ( ma non era lui a guidare) il suo modello sperimentale di Soyuz è riuscito ad attraccare al laboratorio orbitante per una permanenza di una decina di giorni, giusto il tempo di ambientarsi e di prendere confidenza con i colleghi in carne e ossa. Sulla Terra ha imparato un sacco di cose, anche a sparare. Ma nello spazio sarà più un” domestico”, per sollevare gli astronauti dai compiti più “tediosi”, e in prospettiva in quelli più rischiosi, fuori dalla stazione e perché no anche sulla superficie di Luna e Marte.
Il suo” talento” che al momento interessa di più è quello di “avatar”, la capacità di imitare un operatore che indossa un esoscheletro e lo muove come se fosse davanti a uno specchio. Con questo sistema, per esempio, lo si potrà guidare mentre è fuori nello spazio a eseguire riparazioni. «Fedor non uscirà, questa volta sarà testato all’interno della Stazione spaziale – spiega Philippe Schoonejans, team leader del settore Robotics and Future Projects dell’Esa – sia come “avatar” che in alcuni semplici compiti in autonomia. Non muoverà le gambe ma solo la parte superiore. C’è stata molta discussione su cosa fargli fare. I robot sulla Terra sono molto abili ma impacciati nello spazio. Le mani, per esempio, hanno molta forza ma non la mobilità e sensibilità di quelle di una persona».
Fedor ( Final experimental demonstration object research) è nato cinque anni fa, come androide da utilizzare in scenari di emergenza: esplosioni, crolli di edifici e catastrofi naturali. Ed è diventato un tuttofare. Su Youtube lo si vede camminare, strisciare col passo del giaguaro, trapanare, saldare, fare le flessioni e guidare un’auto. Ma la sua capacità che ha meravigliato, e destato più polemiche, è la mira con la quale spara, tenendo in mano due semiautomatiche come Tex Willer, senza sbagliare un colpo. Dimitri Rogozin, l’attuale capo dell’agenzia spaziale russa ( Roscosmos), due anni fa, è stato costretto a dichiarare che no, non stavano progettando un Terminator, erano test per implementare la sua intelligenza artificiale. Può apprendere e intrattenere una conversazione e così farà anche nello spazio, secondo gli ingegneri del Rocosmos.
Alexander Skvortsov, arrivato sulla Iss assieme a Luca Parmitano, ha subito indossato l’esoscheletro per farlo muovere, con cautela. È ancora un goffo colosso che fluttua come in uno stretto negozio di cristalli. Alto come un uomo ( 180 centimetri) pesante il doppio (160 chili). In orbita il peso è irrilevante, ma la sua massa dura potrebbe essere un problema: «L’ambiente in microgravità è molto diverso da quello terrestre – aggiunge Schoonejans – hanno dovuto modificare i software del movimento e i sensori. Una tecnologia che avrà applicazioni utili anche sulla Terra».
Nello spazio il suo lavoro non ancora quello di un supereroe: «Gli astronauti lavorano dodici ore al giorno, sono soggetti a stress, isolamento, stanchezza, tutte cose che le macchine non sentono – spiega l’ex astronauta italiano Paolo Nespoli – l’idea è di integrare l’equipaggio con macchine che possano svolgere i lavori più tediosi. Pulire, disinfettare, annaffiare le piante, e le operazioni di manutenzione di routine. I robot possono compiere le attività per le quali sono programmati e ripeterle mille volte senza fare errori. In futuro potranno anche prendere decisioni con più autonomia. Diremo semplicemente “vai e cambia quel pezzo”. Magari mentre dormiamo».
Vederli camminare sulla Luna o Marte è ancora fantascienza: «Succederà, ma non domani – conclude Nespoli – intanto concentriamoci sull’utilizzo che ne potremmo fare sulla Terra, negli ospedali e nella cura degli anziani, per esempio, dove una macchina che somiglia a una persona può portare cura e sollievo».