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 2019  settembre 05 Giovedì calendario

Il progetto per mappare il Dna di tutte le specie viventi

Potremmo definirla l’arca di Noè 4.0, anche se a bordo in questo caso ci sono solo i vertebrati. Il Dna di tutte le 71.000 specie esistenti sarà sequenziato nei prossimi anni nell’ambito del Vertebrate Genomes Project, un’iniziativa internazionale del Genome10K Council per la creazione di diversi hub genetici coordinati dalla Rockefeller University di New York, il Max Planck di Dresda e il Wellcome Sanger Institute di Cambridge.Alla fine dello scorso mese sono stati presentati i genomi completi di 101 specie a cui si sommano le prime 14 dell’anno scorso. Il progetto è diviso in quattro fasi: la prima dovrebbe arrivare a 260 sequenziamenti entro il 2020; e non mancano le specie italiane. A questa banca del Dna collaborano oltre 150 scienziati di tutto il mondo inviando campioni da analizzare o sequenze di alta qualità. I dati sono pubblici e si possono consultare su una piattaforma di Amazon Cloud che si chiama GenomeArk.
«Quello che cambia rispetto a prima è la qualità del codice genetico richiesta e la precisione con cui viene esaminato – spiega Giulio Formenti, ricercatore alla Rockefeller University che partecipa al progetto – I genomi sequenziati in tutto il mondo sono spesso molto frammentati o non ben assemblati e oggi è necessario intervenire di nuovo per ricostruire il Dna della specie. Il Vertebrate Genomes Project, grazie alla collaborazione di diversi partner industriali, ha sviluppato una tecnologia senza precedenti che permette di avere dati completi in tempi rapidi».
Ma a cosa serve un’arca digitale del Dna? Rispetto alle piante, di cui si conservano i semi nella Millenium Seed Bank nel West Sussex in Inghilterra o in Norvegia nella Svalbard Global Seed Vault, una volta estinti gli animali non si potranno più riportare in vita. «Un archivio del genere è indispensabile per capire le dinamiche delle singole specie in termini di crescita o declino – prosegue Formenti – Comprendere i meccanismi biologici che determinano il calo demografico di un animale significa poter mettere in campo interventi di conservazione e di tutela adatti a favorire i processi evolutivi che potrebbero garantirne la sopravvivenza».
È il caso, per esempio, dell’orso marsicano ( Ursus arctos marsicanus) di cui rimangono circa 50 esemplari nel Parco nazionale d’Abruzzo e qualche esemplare nel Gran Sasso. Si tratta di una specie in via di estinzione che entra a pieno titolo nella lista dell’arca 4.0 e che sarà sequenziata nel laboratorio di genomica avanzata dell’Università di Firenze. «Ci sono caratteri implicati nelle attività metaboliche di questo animale, come per la gestione dei carboidrati, che ci permettono di studiarne l’evoluzione e le strategie di adattamento al territorio appenninico – spiega Claudio Ciofi, coordinatore del Centro e vice direttore del Dipartimento di biologia dell’ateneo toscano – Sono geni che, per esempio, hanno consentito all’orso di passare da una dieta onnivora a un regime alimentare pressoché vegetariano». Questo tipo di indagini sono alla base anche di quel particolare gioco delle coppie messo a punto dai naturalisti per gli animali che rischiano grosso. «Quando una specie è estinta in natura ma ancora presente nei giardini zoologici, come il corvo delle Hawaii, per esempio, o la tartaruga della Galàpagos, non più presente in alcune isole – prosegue Ciofi – il Dna ci aiuta a selezionare gli esemplari più adatti per la riproduzione, quelli che possono garantire un futuro».
Nel progetto di sequenziamento, oltre all’orso marsicano, ci saranno altri tre vertebrati italiani in pericolo che saranno studiati a Firenze in collaborazione le università di Ferrara, Padova e Trieste. Si tratta dello storione cobice, pesce dell’Adriatico che in Italia si è ridotto dell’ 80 per cento, dell’ululone italiano, raro anfibio multicolore, e della lucertola delle Eolie, oggi ristretta a una popolazione di circa 700 esemplari.
Un capitolo a parte merita la rondine italiana la cui prima sequenza genetica di alta qualità è stata rilasciata di recente dall’Università La Statale di Milano con l’Università della California e in collaborazione con il Centro di Genomica di Zurigo. Il codice genetico di questo uccello, una specie in declino demografico, è ora sotto i ferri del Vertebrate Genomes Project per definirne la sequenza di riferimento a livello mondiale.
«Ci sono aspetti chiave per la sopravvivenza della rondine legati agli effetti dei cambiamenti climatici su migrazione e riproduzione – spiega Luca Gianfranceschi, docente di genetica alla Statale – Il Dna della rondine è la chiave per individuare i geni che controllano tutti i caratteri che ne determinano la variabilità individuale e le prospettive di sopravvivenza. Questo uccello è molto studiato perché è un ottimo modello per altri animali e ha un estremo valore simbolico oltre che un’elevata filopatria, cioè quell’istinto di tornare al proprio nido dopo un viaggio di migliaia di chilometri».