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 2019  settembre 06 Venerdì calendario

Camminare come alternativa al carcere


«Col passar del tempo, l’uomo, animale abitudinario, assume la forma del carcere anche nel mondo dei sogni», diceva Altiero Spinelli, padre dell’unione europea, a lungo detenuto durante il fascismo. E in effetti, quali sono le sedi della cultura e della politica che coltivano l’abitudine a pensare a luoghi della pena diversi dal carcere? In Italia, sembra inesorabile, il castigo che merita chi ha commesso un reato è la prigione. Con la sua vita di corpi ristretti, di muri, sbarre e porte blindate, di richieste – le più elementari, una telefonata a casa, l’acquisto di un farmaco, un maglione in più – che si trasformano in “domandine”, aspettano risposta, nell’attesa spesso si smarriscono e allora si ricomincia. E, ancora, la vita in carcere è fatta di solitudine, di ore d’aria in cortili di cemento, di terapie e trattamenti, di famiglie costrette a spostarsi di istituto in istituto per incontrare chi sta dentro, di violenze e paura, di giorni pallidi, in cui oggi sarà uguale a domani. Ma questo importa poco, le prigioni sono inaccessibili, della vita che vi si svolge si sa poco o niente e in ogni caso rinchiudere gli individui che potrebbero costituire un pericolo per la comunità pare essere inevitabile ai fini della sicurezza.
Eppure qualcuno contraddice la frase di Spinelli e dimostra che immaginare qualcosa di diverso dalla cella chiusa è possibile. Cinque uomini e una donna, tutti condannati per diversi reati, escono dalla loro detenzione e si mettono in cammino. Dal Colosseo di Roma percorrono a piedi 900 chilometri, fino ad arrivare all’estremità della penisola, a Santa Maria di Leuca. Non si tratta di una riuscita evasione di gruppo, ma di un progetto di sperimentazione del cammino come pena alternativa al carcere, frutto della collaborazione fra la Rai e il ministero della Giustizia. Per sessanta giorni, scarponi ai piedi e zaino in spalla, i sei condannati, accompagnati da una guida escursionistica, da un’educatrice di comunità e da una troupe televisiva, percorrono la via Francigena, strada antica, che per secoli i pellegrini hanno attraversato per arrivare in Terrasanta.E il loro viaggio è raccontato da un documentario in dieci puntate, Boez – Andiamo via, in onda ogni sera dallo scorso lunedì alle 20.20 su Rai 3 fino al 13 settembre, escluso in fine settimana.
Sembra assurdo. Cosa c’è di più distante dall’immobilità delle mura carcerarie del movimento continuo della strada? Cosa di più lontano dalla segretezza delle celle degli incontri quotidiani del pellegrino, dettati dal bisogno di ospitalità? Per compiere il salto richiesto e riunire due figure così antitetiche come quelle del carcerato e del camminatore non c’è niente di meglio della concretezza dei dati.
Il camminare come dispositivo di esecuzione della pena in luogo del carcere ha una storia già antica in altri paesi europei e, come dimostra l’intero sistema delle misure alternative, funziona. In Italia, l’ultimo rapporto di Antigone sulle condizioni detentive illustra che delle oltre 44 mila misure in esecuzione nel primo semestre dello scorso anno, soltanto il 3,4 per cento è stato revocato. E di queste solo lo 0,5 per la commissione di nuovi reati. Il carcere, al contrario, non funziona, è anacronistico, non rende più sicure le nostre comunità, indebolisce le possibilità di inclusione ed è spesso criminogeno. Molto meglio, per così dire, tentare nuove strade.