la Repubblica, 6 settembre 2019
In morte di Nie Yuanzi
Quando Nie Yuanzi scrisse il suo poster di critica contro il segretario dell’Università di Pechino, «borghese e reazionario», e lo appese su un muro del campus, non pensava di aver creato un nuovo genere. Letterario e politico. Ma qualche giorno prima, era il maggio 1966, Mao aveva lanciato la Rivoluzione culturale, il grande appello alle masse contro i revisionisti, e appena gli mostrarono quel “poster a grandi caratteri”, in mandarino dazibao, capì che era il mezzo perfetto per il suo messaggio. Definì l’opera di Nie il “primo poster marxista-leninista cinese” e ordinò che fosse letto alla radio e pubblicato dai giornali. Mentre l’autrice, rivoluzionaria della prima ora e quadro del Partito, ma già 45enne, salì d’improvviso al vertice. Per tutti Nie Yuanzi divenne l’inventrice dei dazibao, un titolo con cui ha dovuto fare i conti fino alla morte, avvenuta la scorsa settimana a 98 anni: «Quel poster mi ha portato una fama enorme – ha detto nel 2016 al New York Times – ma anche dolori e tormenti infiniti».
Perché dopo la folgorazione di Mao, che subito produsse il suo, "Bombardare i quartieri generali”, i dazibao iniziarono a tappezzare i muri della Cina. Da Pechino all’ultimo villaggio dello Yunnan. Una propaganda efficacissima, perché travestita da libera espressione personale. Chiunque sapesse scrivere aveva il diritto (costituzionale) ad appendere la sua critica in piazza, spesso scopiazzata dai giornali di regime, a volte accompagnata dalle caricature dei bersagli. Nella paranoia della Rivoluzione culturale le accuse anonime divennero sentenze di condanna. Ognuno si svegliava col terrore di ritrovare il proprio nome al muro, tra i nemici del popolo. Scrivere un’autocritica e attaccarla sulla porta di casa era l’unico modo per salvarsi, ma non sempre bastava.
Molto prima di Facebook, i muri della Cina diventarono una bacheca di calunnie e vendette. E toccò alla stessa Nie. Quando Mao morì, e presero il potere quelli che lui aveva purgato, fu tacciata di “controrivoluzionaria” e arrestata. Mentre Deng Xiaoping, ironia della sorte, usava i dazibao del Muro della democrazia per cementare il nuovo corso, a lei fu imputata la campagna contro il figlio Deng Pufang, reso invalido dalle Guardie rosse. Rilasciata dopo qualche anno, Nie ha passato il resto della vita a difendersi dall’accusa di essere uno dei mandanti delle violenze della Rivoluzione culturale. Il suo funerale, segreto, mostra che non ci è riuscita. Eppure, oltre ad essere stati la voce dei collettivi universitari di mezzo mondo, dal ’68 a oggi, l’eredità dei dazibao è ancora ben visibile in Cina. Nei grandi striscioni a caratteri bianchi su sfondo rosso che lungo le strade o negli uffici mandano messaggi motivazionali, riciclando le parole di Xi Jinping. O nelle confessioni dei funzionari corrotti trasmesse in tv, nuovi media per la stessa pubblica gogna.