Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 05 Giovedì calendario

Storia di Doris Day, la fidanzata d’America

La recente scomparsa di Doris Day (13 maggio scorso) all’età di 97 anni, ha fatto scrivere fiumi d’inchiostro riguardo la sua attività cinematografica, per la maggior parte dedicata a pellicole musicali e brillanti anche se non sono mancati film di spessore quali, ad esempio, L’uomo che sapeva troppo con James Stewart e la regia di Alfred Hitchcock del 1956 e Merletto di Mezzanotte con Rex Harrison e John Gavin per la regia di David Miller del 1960. Tra gli eventuali altri film drammatici che avrebbe potuto girare la “Fidanzata d’America”, come veniva definita Doris per l’atteggiamento rassicurante che emanava, è stato riproposto il tentativo di Calder Willingham, scrittore e sceneggiatore di successo spesso candidato all’Oscar per riduzioni da celebri libri ovvero per soggetti direttamente da lui redatti. Autore, tra le altre, di pellicole straordinarie quali Orizzonti di Gloria del 1957, Spartacus del 1960 e I due volti della vendetta del 1961, Willingham nel 1966 si presentò in casa della Day per farle una proposta. I due si conoscevano da tempo ma Calder prese egualmente il discorso alla larga. Iniziò infatti dicendole che il film avrebbe avuto la regia di Mike Nichols, regista di Chi ha paura di Virginia Woolf che aveva fatto vincere proprio quell’anno l’Oscar ad Elisabeth Taylor, che lui stesso avrebbe sceneggiato la pellicola, tratta dal libro di Charles Webb, insieme al suo collega Buck Henry, che due giovani e promettenti attori, Dustin Hoffman e Katharine Ross, ne sarebbero stati i protagonisti e che il film si sarebbe avvalso di musiche scritte e dirette da Paul Simon e Arthur “Art” Garfunkel. «Bene – disse la Day gongolante – ma io quale ruolo dovrei sostenere nella pellicola?». «Ecco – replicò Calder con evidente imbarazzo – è proprio questo il punto!». E invitandola, per piacere, a non interromperlo, iniziò a descriverle la parte di Mrs. Robinson, moglie del socio in affari di Mr. Braddock, che seduce platealmente il giovane laureato Benjamin Braddock e con il quale inizierà una relazione che si interromperà soltanto quando il ragazzo si innamorerà proprio della figlia di Mrs. Robinson, Elaine, conosciuta dopo il rientro dal College. Punto. Con gli occhi ancora bassi per non guardare il viso di Doris ed un silenzio che non faceva presagire nulla di buono, Willingham iniziò lentamente ad alzare lo sguardo e conscio soltanto in quel momento della follia della proposta, trovò l’attrice rossa come un papavero, gli occhi sgranati e in procinto di esplodere. Non sappiamo se la signora Kappelhoff (questo il vero cognome di Doris Day) provvide a cacciarlo via di casa in malo modo ma, comunque, bene non deve essere andata all’incauto Calder. Perché lo fece? Per la poca differenza di età fra Dustin e la probabile designata Anne Bancroft (soltanto sei anni), non considerando che lui sembrava un ragazzino e che lei, da grande attrice duttile qual era (nata Maria Luisa Italiano), sapeva rendersi più matura senza problemi. Ma, certo, da qui ad andare a scegliere la “Fidanzata d’America”, ce ne correva, dato per scontato poi che le parti drammatiche precedenti della Day avevano comunque un risvolto sempre in ambito puritano-borghese. Nichols vinse l’Oscar per la regia e il film ebbe sei nomination, aiutato anche da una colonna sonora di prim’ordine che contribuì a far registrare ottimi incassi.