Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2019
Governo, subito il problema dei rifiuti
I rifiuti valgono quanto la farina di frumento (300 euro la tonnellata) o il latte fresco (500 euro la tonnellata). È un’ingiustizia, certo; ciò succede quando si ferma un impianto di trattamento dei rifiuti nell’Italia che straparla di rifiuti zero e al tempo stesso getta per strada l’immondizia. A Napoli si ferma per manutenzione l’inceneritore di Acerra e senza impianti i prezzi del servizio rifiuti salgono, e i cittadini (quelli che la pagano) pagano una tassa rifiuti sempre più insolente.
E se tutti sono d’accordo sui principi generici della tutela dell’ambiente (punto 7 del programma di governo), il modo in cui gestire in pratica i rifiuti potrebbe essere una delle mine sulla coesione del Governo Conte 2. La versione ultima del programma dice al punto 9: «Il Governo si impegna altresì a promuovere politiche volte a favorire la realizzazione di impianti di riciclaggio e, conseguentemente, a ridurre il fabbisogno degli impianti di incenerimento, rendendo non più necessarie nuove autorizzazioni per la loro costruzione», come se il riciclaggio non avesse bisogno di essere completato, a valle, con impianti di incenerimento. La Tav ebbe un ruolo divisivo nella composizione di maggioranza uscente; nella maggioranza entrante ciò potrebbe accadere con i rifiuti.
Le due visioni dell’ambiente
Due visioni del mondo: l’ambiente si tutela facendo ricorso a tecnologie, impianti e dinamiche economiche; oppure si tutela evitando tecnologie e impianti e rifuggendo le discipline economiche. È stato confermato all’Ambiente il ministro Sergio Costa, Cinque Stelle, che più volte si è espresso contro l’uso degli impianti di incenerimento dei rifiuti; ma al tempo stesso i Paesi in cui si ricicla di più e le zone d’Italia in cui il servizio rifiuti funziona meglio sono proprio quelle in cui c’è una dotazione ricca di impianti per il riciclo, per la selezione accurata e per il trattamento finale con gli inceneritori di nuova generazione. Accade a Torino, nel Veneto con il primato di Treviso, nell’Emilia Romagna della Parma guidata da Federico Pizzarotti o della multiutility Hera, nella Lombardia dell’A2A (finisce in discarica meno dell’1% dei rifiuti milanesi).
Il latte e la farina
Ma ecco la correlazione di prezzo che mette alla pari la farina di frumento con l’immondizia.
In luglio il Comune di San Giorgio del Sannio (Benevento) a causa dell’imminente fermata dell’inceneritore napoletano di Acerra ha dovuto rimettere a gara il servizio di ritiro dei rifiuti biodegradabili di mense e cucine, con una base d’offerta al prezzo di 300 euro la tonnellata.
Alla Borsa Merci di Torino la farina 00 di grano tenero il 26 agosto era quotata a 320 euro la tonnellata, il 30 agosto alla Borsa Merci di Verona la farina 00 era ribassata leggermente a 271,5 euro la tonnellata: valeva meno dell’immondizia.
Accade che l’inceneritore napoletano di Acerra debba fermarsi per tutto il mese di settembre per una manutenzione programmata; Roma annaspa nel tentativo di sistemare la sua spazzatura; così mentre la domanda di smaltimento si fa feroce, nel contempo i prezzi dell’offerta europea diventano superbi. Le gare bandite dai Comuni vanno sempre più spesso deserte anche se le basi d’asta sono sempre più golose.
Un Comune della provincia di Potenza ha dovuto pagare circa 500 euro la tonnellata per lo smaltimento dei fanghi di depurazione. Per avere un confronto, sulla piazza di Lodi il latte all’ingrosso il 30 agosto era quotato 447,5 euro la tonnellata.
Il deficit dell’Italia
C’è un deficit strutturale tra rifiuti prodotti e disponibilità di spazio negli impianti, un deficit accentuato dalla frenesia con cui Roma (e adesso anche la Napoli in crisi temporanea) arraffa in mezz’Europa disponibilità per piazzare i rifiuti senza dotarsi di strumenti per riciclarli e incenerirli (si veda qui sotto l’articolo di Andrea Marini).
Nei rifiuti urbani mancano impianti per il riciclaggio e per il recupero energetico, paralizzati da norme e comitati del no che inneggiano a “rifiuti zero”, così viene gettato in discarica il 30% della spazzatura e si esportano rifiuti fuori regione e fuori Italia, con un costo aggiuntivo di circa 1 miliardo di euro l’anno.
La sola area di Roma esporta 1,2 milioni di tonnellate.
Per riciclare il 65% dei rifiuti urbani, come chiede la nuova direttiva europea, mancano impianti per la frazione organica per 3,5 milioni di tonnellate, pari a una quarantina di impianti, specie al Sud.
Comitati “rifiuti zero” contestano la costruzione di impianti per selezionare e riciclare plastiche, carta, vetro; mancano inceneritori per 1,8 milioni di tonnellate (una decina, specie al Sud) per ridurre la discarica al 10% come vuole la Direttiva e recuperare energia dal 25% irriciclabile dei rifiuti. Ma anche le discariche sono in esaurimento.
I costi dei romani
Secondo una ricerca condotta dagli economisti Massimo Beccarello e Giacomo Di Foggia del centro studi Cesisp dell’Università di Milano Bicocca, il fatto che Roma non voglia dotarsi di impianti di riciclo né di completare il riciclo con impianti di incenerimento significa che i romani paghino una tassa rifiuti molto più esigente. I dati del confronto Cesisp: la tassa rifiuti annua pagata nell’ambito di Roma è pari a 941 euro la tonnellata; la tassa rifiuti media pagata in Italia è 810,2 euro la tonnellata (130,8 euro in meno rispetto a Roma); la tassa rifiuti annua del più efficiente in Italia (il Friuli-Venezia Giulia) è pari a 558,2 euro la tonnellata (382, 8 euro in meno rispetto a Roma). Secondo Beccarello e Di Foggia, se cercassero efficienza e tutela dell’ambiente – invece di inseguire le fantasie rifiuti zero e le paure seminate dai comitati del no – gli italiani potrebbero risparmiare 700 milioni sulla tassa rifiuti.
Le contrapposizioni
Sono molti gli esempi di contraddizione ambientale su cui si dividono le formazioni della maggioranza di governo. Accade per esempio con i fanghi di depurazione (quanto meglio si depura un corso d’acqua tanti più fanghi ne vengono estratti) e accade per esempio con gli impianti di riciclo, i quali hanno bisogno di essere completati con inceneritori.
Esemplare la divisione dei politici locali sulla cartiera di Mantova: per poter riciclare la carta ottenuta dalla raccolta differenziata, la cartiera ha bisogno di bruciarne gli scarti in un inceneritore; se non viene avviato l’inceneritore di servizio, la cartiera non ricicla la carta.
Esemplare anche il caso degli impianti che ricuperano e riutilizzano a fini energetici il biometano che altrimenti si svilupperebbe libero dalla fermentazione di scarti agricoli o di rifiuti: anche qui, politici locali della coalizione di maggioranza si trovano spesso su fronti contrapposti.