Corriere della Sera, 5 settembre 2019
Il potere d’influenza della cucina italiana
Se la cucina è soft-power, l’Italia è di gran lunga il maggiore influencer a livello mondiale. Un grafico pubblicato nei giorni scorsi dal settimanale Economist ha suscitato molto interesse. Lo ha realizzato Joel Walfogel dell’Università del Minnesota, il quale l’ha pubblicato sul Journal of Cultural Economics. Si tratta dell’analisi, ponderata per valore economico, di ciò che si mangia nei ristoranti e nei fast-food in 52 Paesi. In sostanza – dice l’autore – della «gravità» delle diverse cucine nazionali misurata a sulla base di cosa mangiano, fuori casa, gli abitanti del mondo. Le fonti sono i dati di Euromonitor sulle spese in una dozzina di tipologie di fast-food e le liste di TripAdvisor per i ristoranti di centinaia di città. Per una copertura pari all’89% del prodotto lordo globale. Escluso il fast-food, l’Italia ha una surplus tra export e import pari a 158,2 miliardi di dollari. Non significa che c’è un movimento di denaro del genere: vuole dire che l’influenza cultural-culinaria del Paese può essere misurata così. Vale soprattutto nel confronto con altri Paesi: al secondo posto viene il Giappone, con un bilancio positivo di 43,9 miliardi; seguono Francia con 19 miliardi, Messico con 16,9, Turchia con 16,7, Thailandia con 11,1. Gli Stati Uniti sono il Paese messo peggio in questa classifica delle esportazioni nette dei modelli di cucina nazionale: negativi per 133,8 miliardi di dollari. Se si considera anche il fast-food, l’Italia resta al primo posto assoluto, grazie anche alle catene di pizza, con un export netto (cioè esportazioni meno importazioni) di 168,2 miliardi; e gli Stati Uniti rimangono all’ultimo posto con 54,8 miliardi di deficit. Questi numeri non hanno un valore economico: non si tratta di import-export di beni, è solo una misurazione del peso, della «gravità», delle cucine del mondo. È però interessante perché si tratta di un’influenza che un Paese ha sui costumi del pianeta, almeno su quelli legati all’alimentazione. Forse non è un soft-power pari a quello che gli Usa hanno nei loro punti di forza, anche se Walfogel nota che negli Stati Uniti il business del cinema vale 30 miliardi di dollari, quello della musica dieci e quello dei ristoranti ben 560 miliardi. Ma un potere d’influenza il cibo certamente l’ha: cosa sarebbe il mondo senza la cucina italiana?