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 2019  settembre 05 Giovedì calendario

Intervista a Massimiliano Cencelli

C’è una radiografia a cui i governi italiani, siano della Prima, Seconda o Terza Repubblica, non riescono proprio a sfuggire. In che modo sono state distribuite le nomine? Quanto è stato usato il bilancino? Da più di mezzo secolo è nel Manuale Cencelli che si va a cercare la risposta a queste domande. Il più delle volte, in realtà, viene chiamato in causa in senso ironico o addirittura negativo. Ma l’ideatore di quel metodo non si sottrae al giochino neanche questa volta, sebbene la politica sia cambiata molto negli ultimi anni e nonostante lui stesso ci tenga a ricordare che appartiene a un altra epoca, «la mia prima tessera della Dc era firmata da Alcide De Gasperi in persona».
Massimiliano Cencelli, risponde al telefono dal suo studio. Ha seguito con attenzione le dirette dal Quirinale, ha sentito Giuseppe Conte fare l’elenco dei ministri del governo giallo-rosso e non ha dubbi nell’attribuire il suo bollino di qualità. «Molti nomi non li conosco però da quello che ho visto il mio manuale è stato applicato al 100%. Pd e M5s si sono distribuiti i ministeri considerando quelli più importanti e quelli meno importanti. Ecco com’è stato fatto il governo».
Secondo il suo manuale il ministero dell’Interno è tra le caselle di maggior peso. Questa volta invece è stato scelto un tecnico. Come mai Pd e M5s hanno rinunciato a una poltrona così importante?
«Il ministero dell’Interno ha un valore relativo. Ai miei tempi il Viminale si occupava di assistenza pubblica, affari di culto, controllo sui Comuni. Adesso non ha più queste competenze, che sono state trasferite agli enti locali. È un ministero di polizia e basta».
Seguendo il suo metodo, dopo il presidente del Consiglio qual è il ministero più importante?
«L’Economia, anche per il peso che ha nei rapporti con l’Unione europea. Ma anche la Difesa».
Entrambi sono andati al Pd, che però non ha vicepremier né il sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Quanto valgono?
«Ai tempi in cui io lavoravo a palazzo Chigi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio faceva solo il segretario del Consiglio dei ministri. Adesso invece quel ruolo è importantissimo. Poi va detto che c’è la delega ai servizi segreti che è fondamentale, suppongo che anche questa volta Conte vorrà tenerla per sé». 
Quindi lo considera un governo equilibrato?
«Sì, lo considero equilibrato. Conte ne è uscito bene. Io stesso nei primi tempi ero un po’ scettico su di lui, mi sono ricreduto. Ha avuto il coraggio di fare delle cose che forse nessuno avrebbe fatto, come il celebre discorso in Senato su Salvini».
Sempre nella logica del manuale, si può considerare Conte un premier super partes?
«Secondo me sì, da quello che ho letto e visto è una persona equilibrata, perbene, non attaccata enormemente al potere. Certo che poi, quando piano piano passa il tempo, il potere piace a tutti...».
Il capo delegazione del Pd è Dario Franceschini, che torna al ministero dei Beni culturali. Non esattamente tra quelli considerati di prima fascia.
«I Beni culturali sono fondamentali per il nostro Paese e non è secondario che sia stato aggiunto il Turismo. Io sono stato capo di gabinetto del ministro del Turismo Adolfo Sarti e posso dire che è un ministero importantissimo, un settore cruciale per l’Italia. Quindi Franceschini, che è un ragazzo sveglio e mio grande amico, ha fatto bene». 
Di certo, ci sono molte facce nuove. Era inevitabile?
«Bisognava farlo assolutamente. Altrimenti il popolo italiano non avrebbe capito. Se volevano fermare Salvini, non potevano che fare ricorso a forze nuove». 
Qualcosa che non le piace ci sarà, cosa critica?
«C’è stato un solo sbaglio, il segretario del Pd doveva metterci la faccia ed entrare al governo. Credo che questo errore Rumor, De Gasperi o Fanfani non lo avrebbero fatto».