5 settembre 2019
Biografia di Luciana Lamorgese
Fiorenza Sarzanini, Corriere della Sera
La sua linea in materia di migranti l’aveva espressa un anno fa quando era il prefetto di Milano e Matteo Salvini era appena entrato al Viminale. Commentando le ordinanze dei sindaci del Carroccio aveva detto: «È importante accettare la diversità, che è ricchezza, e procedere con l’integrazione. Io dico che bisogna accogliere nelle regole e non respingere il diverso, che può essere un arricchimento per il territorio». Ieri, appena ufficializzata la nomina a ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese ha espresso «grande emozione e felicità per l’affetto che ho sentito intorno a me in queste ore» consapevole che sarà proprio questa la linea che dovrà portare avanti, cambiando decisamente passo rispetto al predecessore.
Niente social
Lamorgese non ha profili social, non utilizza Twitter. Sposata con due figli, è stata capo di gabinetto e conosce perfettamente la macchina del Viminale. Oggi, al termine della cerimonia del giuramento al Quirinale, sarà subito in ufficio per incontrare quella che sarà la sua squadra di lavoro, a partire dal capo della polizia Franco Gabrielli al quale è legata da un’amicizia forte. E dopo il voto di fiducia in Parlamento tra le priorità da affrontare c’è la riscrittura dei decreti Sicurezza che la nuova maggioranza si è impegnata a modificare seguendo le indicazioni contenute nella lettera trasmessa dal presidente Mattarella.
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Piero Colaprico, la Repubblica
Non era mai successo nella storia della Repubblica che Milano - prima con Matteo Salvini, ora con Luciana Lamorgese - esprimesse due volte di seguito il ministro dell’Interno. Si tratta però dei due modi opposti di declinare il concetto di sicurezza. Se della “chiusura dei porti” modello Salvini sappiamo moltissimo grazie ai tweet, di Lamorgese, ex dirigente ed ex capo di gabinetto del Viminale con Angelino Alfano, apprezzata anche da Marco Minniti, salutata con l’omaggio pubblico dello stesso ex ministro leghista nel settembre 2018 («Grazie per il buon terreno di lavoro che lascia a chi verrà»), sappiamo che inquadrarla non sembra difficile, ma sarebbe sbagliato presumere di conoscerla abbastanza da poterne prevedere le mosse, o per cucirle un’appartenenza.
Il neo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, 66 anni, sposata, due figli, lucana, è stata la prima donna prefetto di Milano e non amava né la declinazione femminile, né il primato: «Prefetto e basta», puntualizzava, con un sorriso che non ammetteva repliche, meglio adeguarsi. Il suo fiore all’occhiello è il «Protocollo migranti », con il quale aveva stabilito chi, quando e dove, comune per comune, compresi gli ostili municipi a guida leghista, se ne sarebbe dovuto occupare. Senza sgarrare. E senza più “scaricare” l’accoglienza su Milano.
Ha voluto comprare casa qui e agli amici lo ripeteva spesso: «Milano mi ha portato bene, sono soddisfatta di quello che abbiamo fatto, anzi la verità è che sono orgogliosa ». Quando era arrivata in prefettura, il 13 febbraio del 2017, Milano andava rafforzando la sua vocazione cosmopolita e Lamorgese «prefetto e basta» ci aveva messo molto poco, nemmeno due settimane, per trasformare il palazzo di corso Monforte in una sorta di centrale operativa perenne. Se esiste il “modello Milano” del centrosinistra, quello della sicurezza partecipata, è anche grazie a lei: «Il valore aggiunto – diceva - che c’è è che siamo una squadra, il nostro obiettivo è fare in modo che la città viva serenamente nonostante tutti i problemi».
Rispondeva, spesso personalmente, alle mail dei cittadini e dei comitati e i suoi “tavoli” erano dedicati a ogni campo dello scibile metropolitano: sfratti e concerti, piazze e disoccupazione, i morti sul lavoro alla Lamina e i morti dell’incidente ferroviario di Pioltello. Dal cortile di corso Monforte le varie autorità uscivano con la linea precisa del “cosa fare”. Ottimo il suo rapporto con il sindaco Sala, che da tempo voleva per lei un incarico per le Olimpiadi del 2026. E se ha bacchettato le ordinanze sui divieti di soggiorno dei seguaci di Matteo Salvini, allo stesso tempo ha difeso sempre e comunque i blitz per controllare a tappeto la zona della stazione Centrale e ha risolto la gigantesca e criminale occupazione, durata decenni, in via Cavezzali, dietro via Padova, riuscendo a sbattere fuori gangster e abusivi nel giro di una notte: «Prima abbiamo fatto intelligence. Solo quando sapevano tutto, abbiamo chiuso ogni varco e non è sfuggito uno spillo». Qualche esagerazione c’è stata in una sua ordinanza, quando praticamente ordinò a chi partecipava alla grande manifestazione terzomondista al Castello Sforzesco di mangiare ciascuno nel proprio piatto: era, disse, per motivi di salute pubblica, alla fine ne rise. Non vuol sentirselo dire, ma un suo merito è stato aver portato in prefettura un sorriso materno, non solo protocolli.
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Francesco Grignetti, La Stampa
Fuori il ciclone iper-politico Salvini, al ministero dell’Interno è il momento di un tecnico, anzi una tecnica. Si apre la stagione di Luciana Lamorgese, 66 anni, prefetto in pensione, sconosciuta ai più, laconica e proprio per questo motivo perfetta per tirare fuori il ministero dell’Interno dalle lotte di partito.
Lamorgese ha il curriculum migliore allo scopo. Figlia prediletta del Viminale dove ha lavorato continuativamente per quasi quarant’anni, scalando tutte le posizioni fino a diventare capo di gabinetto del ministro Angelino Alfano nel 2013. Da quel momento, per i successivi quattro anni, fu lei l’anima del ministero, gestendo i momenti difficili degli sbarchi di massa. Di quel periodo si ricorda la freddezza, la lucidità, l’energia sia pure condita dai modi impeccabili. Il tipico pugno di ferro in guanto di velluto.
Venne poi Marco Minniti, uno a cui piaceva fare tutto in prima persona, e nemmeno un mese dopo Lamorgese era già alla prefettura di Milano, dove si è confrontata con i problemi di una grande città, e a dire di tutti ha fatto benissimo. Non per caso, al saluto di commiato c’erano il sindaco Beppe Sala come il Governatore Attilio Fontana, Bobo Maroni e Matteo Salvini. Eppure era stata lei la prefetta che aveva imposto ai sindaci del Milanese, molti i leghisti, sempre con il sorriso sulle labbra e un tono super-istituzionale, di fare la loro parte nell’accoglienza dei richiedenti asilo.
Una delle prime mosse fu un protocollo d’intesa con gli enti locali. «Se ognuno fa la sua parte - predicava - avremo un’accoglienza equilibrata e sostenibile». Dove già in queste parole si coglie l’aspirazione alla via di mezzo, pragmatica, senza forzature che siano la chiusura totale o l’aperturismo assoluto.
Non l’attende una stagione facile, con Lega e FdI già sulle barricate. Toccherà infatti al ministro Lamorgese di emendare i decreti Sicurezza, scrivere una nuova legge sull’immigrazione, e gestire la quotidianità che verrà. A lei, l’onere di trovare una formula (legando i permessi di soggiorno a un lavoro, non regolare, ma certificato in qualche modo?) che possa sanare la situazione di clandestinità in cui si trovano decine di migliaia di stranieri e allo stesso tempo tenere ferma la lotta all’immigrazione clandestina.
A Milano, Lamorgese non s’è tirata indietro quando s’è trattato di sgomberare edifici occupati, ripristinare l’ordine alla stazione Centrale, usare le maniere forti con le interdittive antimafia. E’ una donna di legge e ordine che non ha paura di esprimere le sue idee. «Oggi assistiamo a rigurgiti di antisemitismo e di razzismo, anche in relazione ai flussi migratori. Io dico che bisogna accogliere nelle regole e non respingere il diverso che può essere un arricchimento per il territorio», diceva a una cerimonia in prefettura. Ed erano i giorni in cui si insediava Salvini.
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Valentina Errante, Il MessaggeroL’obiettivo dopo la Bestia e il ciclone Salvini è spoliticizzare il Viminale, anche per evitare che fosse un politico, futuro bersaglio quotidiano del suo predecessore, a disinnescare la propaganda dell’emergenza su un tema delicato come l’immigrazione. Luciana Lamorgese, classe 53, avvocato, è un tecnico, con una lunga carriera al ministero dell’Interno e la grande dote della mediatrice. È il profilo, ma soprattutto il nome, voluto dal Colle per il Viminale. E il primo scoglio sarà proprio quello dell’immigrazione, in Italia e in Europa, dove si dovrà riaprire il dialogo. Il Pd invoca discontinuità e così sarà. Nel programma, ricorda Graziano Delrio, «c’è scritto che serve una nuova legge sull’immigrazione, che superi la logica emergenziale e affronti il problema in modo organico». E discontinuità sarà anche dal punto di vista comunicativo: Lamorgese non ha profili social e sarà difficile vederla sul tetto del Viminale alle prese con una diretta Facebook. In attesa di nuove leggi, la linea sugli sbarchi sembra chiara. Prima che il contestato decreto sicurezza bis venga modificato secondo le indicazioni del presidente Mattarella, è difficile che dal Viminale arrivino altri divieti di ingresso per le navi con a bordo i profughi. Le ordinanze, puntualmente firmate dal leader leghista «per motivi di ordine e sicurezza pubblica», sono facoltative. Ed è probabile che la politica salviniana venga disinnescata attraverso il basso profilo. Del resto si va incontro alla cattiva stagione e le partenze diminuiranno.
Lamorgese farà anche ricorso alle sue doti organizzative e di mediazione per trovare un punto di equilibrio tra le esigenze dem – che sono per una cesura netta con le politiche del precedente governo – e la parte dei Cinquestelle, che punta comunque a mantenere una linea rigorista. Il capo dello Stato aveva sollevato «rilevanti perplessità» sulle sanzioni a carico delle navi che violino il divieto di ingresso in acque italiane: multe fino ad un milione di euro e confisca. Invocando «la necessaria proporzionalità tra sanzioni e comportamenti», il Colle aveva ricordato anche che il divieto doveva rispettare «gli obblighi internazionali». E secondo le indicazioni del Quirinale si muoverà il nuovo ministro. Da rivedere anche il primo decreto sicurezza, che nell’ottobre 2018 aveva limitato i permessi per motivi umanitari. In quel caso le precise indicazioni di Mattarella, che invocava gli obblighi costituzionali e internazionali dello Stato, erano cadute nel vuoto.
L’obiettivo, che dovrà conseguire il nuovo ministro è anche quello di riaprire il dialogo con l’Europa, interrotto da Salvini. Da prefetto di Milano, Lamorgese aveva bacchettato le ordinanze anti-migranti dei sindaci leghisti, sostenendo che «È importante accettare la diversità e accogliere nelle regole e non respingere» e adesso punterà anche a ricucire l’essenziale rapporto con Bruxelles, Parigi e Berlino, nella convinzione che occorre trovare alleanze per cambiare le cose, a cominciare dal Trattato di Dublino. L’accordo che impone al Paese di primo arrivo di farsi carico dei richiedenti asilo sbarcati.