ItaliaOggi, 4 settembre 2019
Periscopio
Sempre in attesa di decisioni finali. Ali, alii... Dino Basili. Uffa news.Non ho dimenticato il mio amico Bersani che è troppo fesso per fare politica. Se qualcuno mi avesse chiesto di fare una riunione in streaming gli avrei detto di andare a morire ammazzato. Vincenzo De Luca, governatore della Campania, alla Festa nazionale del Pd a Ravenna.
La mia arma segreta per complicare la vita alla maggioranza al Senato è la conoscenza dei regolamenti, che adesso però sono cambiati. Certo, ma c’è una cosa che molti dimenticano ed è che il nuovo Regolamento l’ho scritto io (ride di gusto). Mostrerò a Conte e ai suoi ministri cose che nemmeno si immaginano. Roberto Calderoli, senatore Lega (Fabio Rubini). Libero.
Conte ha accettato l’incarico di formare un nuovo governo perché intende realizzare una «sfida per un nuovo umanesimo». Un obiettivo di questo tipo potrebbe essere formulato da chiunque, in qualsiasi situazione e non mi sorprenderei se fosse un copia e incolla da una tesi di laurea per aspiranti filosofi. Conte (girando su di lui un gioco di parole usato ai tempi per definire Gianfranco Fini) «è un uomo che non dice niente ma lo dice bene». Alessandro Sallusti. Il Giornale.
Conte è un Don Abbondio. Farebbe tutto e il contrario di tutto pur di avere un ruolo così prestigioso come quello del premier. È un avvocaticchio di terza serie. Utile per il sistema Casaleggio. Conte è il nulla più totale. Davide Serra, finanziere, sodale di Matteo Renzi (David Allegranti). Il Foglio.
Ci siamo forse dimenticati che gli M5s sono quelli del No Tav, No Tap, No Ilva? Ci siamo dimenticati i gilet gialli, l’impeachement di Mattarella, la soppressione della prescrizione? Di Maio ha presentato un elenco di dieci punti da cui è rimasta sciaguratamente esclusa solo la fame nel mondo: neanche un monocolore a cinque stelle che restasse in carica per un’intera legislatura potrebbe realizzarli. Federico Pizzarotti, sindaco di Parma, espulso dal M5s (Valerio Valentini). Il Foglio.
Conte adesso si propone di asfaltare tutti i Casaleggio boys fino ad oggi stazionati a Palazzo Chigi, da Pietro Dettori, socio dell’Associazione Rousseau, a Maria Chiara Ricciuti, ufficio stampa, con un passato in Alleanza nazionale. Ma se quest’operazione di takeover sarà relativamente semplice sul piano della comunicazione, non lo sarà invece all’interno delle caselle dell’Amministrazione, dopo che soprattutto Pd e Leu pretendono un cambio dei mandarini più compromessi con il defunto governo del cambiamento. Che discontinuità potrà esserci, infatti, dopo che tutti gli uomini chiave della presidenza del consiglio e dei ministeri, per oltre un anno, si sono inginocchiati ai voleri di Matteo Salvini? Come faranno i due consiglieri di Stato, Roberto Chieppa, segretario e Ermanno De Francisco, capo dipartimento affari giuridici, a smontare l’ubbidienza al Capitano nei decreti sicurezza, quota 100 e appalti? Magari resterà al proprio posto anche la documentarista di Montecitorio, Daria Perrotta, graziosissima capo ufficio della segreteria del consiglio dei ministri passata soavemente dalle retrovie con Maria Elena Boschi alle ali protettrici di Giancarlo Giorgetti e, come lei, Michele Sciscioli, capo dell’ufficio dello sport, con un trascorso addirittura a Mosca, dove ha trovato anche la sua compagna. Luigi Bisignani. Il Tempo.
Notai sul polso di Vladimir Luxuria due orologi, uno grosso come una papaia, l’altro una ciliegina. «Sei fantasiosamente arredata», mi complimentai. «Un orologio maschile e uno femminile. Una combinazione transgender, come me», esclamò divertita. «Che accoglienza hai avuto a Montecitorio?», chiesi, immaginando cose turche. «È stato okay. Alla buvette e al ristorante non ho mai pagato. Mi ha sempre preceduto l’accompagnatore di turno», raccontò, continuando a divorare pasticcini con totale disinteresse per la dieta a punti. «Alessandra Mussolini ha inelegantemente detto di te: “Meglio fascisti che froci”». «Dichiarazione che non ha pagato. Mussolini ha fatto flop e non è stata rieletta», osservò Luxuria quieta. Giancarlo Perna. La Verità.
La nostra è stata definita società dello spettacolo. Ma quanto maggiore è la merce spettacolare da cui siamo sommersi (ventiquattr’ore su ventiquattro, soprattutto dalla televisione) tanto minore è la partecipazione attiva dello spettatore, ridotto a ebete consumatore, incapace di distinguere rumori e suoni, sapori e veleni, infamie e sciocchezze. Rituali che si svolgono tra le pareti di una stanza, nell’ambito di famiglie composte per lo più di due o tre persone, quando non di una sola. Masturbazioni private, in contemporanea con milioni di altre ugualmente solitarie e perfettamente identiche. Piergiorgio Bellocchio, Piacenza passato prossimo. La luna nel pozzo, 2005.
Negli ultimi tempi Pavarotti cominciò a calcare un cappellaccio e a cantare seduto. Il male che a sua insaputa iniziava a divorarlo lo aveva fatto dimagrire. Diceva di avere qualcosa che non capiva. Poi si scoprì che era un tumore al pancreas. Non fu bello quel finale di partita. Registrai con lui ancora un brano. Era un suo pezzo forte: Nessun dorma. Portai la base e lui cantò un’ultima volta. Fu incredibile. La sua voce ancora intatta, era da brivido. Stavamo seduti su due sgabelli con le cuffie alle orecchie. Poi, chiusa l’esecuzione, sfinito, ricadde sulla sedia a rotelle. Leone Magiera, maestro di Luciano Pavarotti (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Mi piace nascondermi dietro ai travestimenti, anche se il mio personaggio più conosciuto dal grande pubblico è Jep Gambardella, che ha la mia faccia. In questo mio ultimo film (5 è un numero perfetto) la cosa difficile è stato truccarsi interiormente con le fragilità di un padre anziano che è stato un killer, per quanto gregario, di una mala anni 70. Toni Servillo, attore (Arianna Finos). la Repubblica.
Mi sono laureato con una tesi su Silvio Berlusconi. L’ho incontrato più volte. Uomo carismatico. Mi disse una cosa che non ho più dimenticato: «Voi giornalisti pensate che la gente sappia tutto. Invece non sa niente». Su questo presupposto un po’ cinico ha costruito la propria fortuna. Questa verità me l’ha ribadita un’addetta al controllo dei biglietti che mi ha riconosciuto sul treno Berlino-Amburgo: «Lei mi costa 270 euro l’anno di abbonamento, ma ogni tanto pubblica articoli così difficili da farmi credere che voglia escludermi». Le ho risposto: «Si sbaglia, io voglio proprio lei come lettrice». Giovanni di Lorenzo, direttore di Die Zeit (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Il talento senza disciplina è come un’auto senza benzina. Roberto Gervaso. Il Messaggero.