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 2019  settembre 04 Mercoledì calendario

A Tel Aviv la torre record che cattura il Sole

Chi l’avrebbe detto che per trovare refrigerio nella lunga estate di Tel Aviv sarebbe stato necessario il calore del deserto? Sembra un paradosso, ma chi accende l’aria condizionata nelle città israeliane sfrutta energia pulita prodotta nel Negev. Il sistema con due centrali termo-solari - nell’area di Ashalim, a Sud di Be’er Sheva - è uno dei più grandi progetti di energia rinnovabile al mondo. Dopo sei anni di lavori e una fase di rodaggio ora Ashalim macina elettricità al 95% del regime e la immette nella rete israeliana.
Con i 454.272 specchi parabolici di Ashalim si potrebbe coprire quattro volte la Città Vecchia di Gerusalemme o nove volte la Città del Vaticano. L’impressionante distesa - 4 chilometri quadrati - contiene 405,6 chilometri di collettori distribuiti in 338 filari, ciascuno lungo 1,2 chilometri. Ognuno dei 16.224 collettori è formato da 28 specchi. Megalim, il lotto della torre solare, si estende invece su 3 chilometri quadrati: 50 mila specchi convogliano la luce in un unico punto, il serbatoio dell’acqua in cima alla torre stessa, che con i suoi 250 metri è il « faro» nel deserto più alto del mondo. Qui l’acqua diventa vapore e mette in moto turbine e generatori.
Ogni centrale ha una potenza di 121 megawatt ed entrambe sfruttano il calore del Sole, a differenza del fotovoltaico che usa la luce, ma con prestazioni diverse. Ashalim, infatti, produce il 33% di elettricità in più di Megalim. Qui la torre solare - joint-venture tra la californiana Brightsource, la francese Alstom e il fondo d’investimento israeliano Noy Fund -, quando il calore del Sole diminuisce, rallenta la produzione. Non così ad Ashalim: per la cordata tra il colosso immobiliare Shikun&Binui, la società spagnola Tsk e il Noy Fund produrre energia dal calore del Sole durante il giorno non era abbastanza.
«Assimiliamo quindi il calore attraverso i collettori, che si orientano verso il Sole così da massimizzare l’assorbimento - spiega Chemi Sugarmen, ad di Negev Energy - e lo convogliamo nel punto di fuoco, dove passa un tubo nel quale scorre un olio diatermico, fluido che entra a 300 gradi ed esce a 400. Lo dirigiamo verso la centrale elettrica dove, nello scambiatore di calore, l’olio si raffredda a contatto con l’acqua e poi ricomincia il ciclo. L’acqua, invece, si trasforma in vapore, il quale mette in moto una turbina e fa partire il generatore».
L’altra parte dell’impianto è destinata a scaldare il sale fuso, mix di fosfato e sodio con la caratteristica di immagazzinare calore senza disperderlo. «Così, quando il Sole tramonta, il lavoro non si ferma - continua Sugarmen -, perché usiamo la riserva di calore del sale fuso». E qui entrano in scena i colossali serbatoi, 15 metri di altezza e 52 di diametro. «Su una ventina di progetti internazionali dove s’immagazzina il calore Ashalim, con una capacità di 45 mila tonnellate, è il più grande. Questo - ha spiegato l’ad - ci garantisce ulteriori cinque ore di produzione a pieno regime. Nel buio della notte, quindi, continuiamo a produrre energia pulita come se fosse giorno». Semmai è la sabbia il nemico. Nel deserto del Negev la pulizia degli specchi è un’attività necessaria, almeno una volta alla settimana.
Alla presentazione dell’impianto, ghiotta occasione di campagna elettorale in vista delle elezioni, il 17 settembre, è intervenuto anche il ministro dell’Energia Yuval Steinitz. «In passato il nostro scopo era fornire energia alla gente e alle industrie di Israele e la salute pubblica era al secondo posto. Oggi l’obiettivo è produrre energia pulita e ridurre l’inquinamento. Negli ultimi tre anni - ha detto - abbiamo tagliato il carbone dal 65% al 30%. Nel prossimo futuro azzereremo la produzione di energia da fonti non rinnovabili. Raggiungeremo quindi il 10% di energia rinnovabile entro il 2020 e ci siamo posti il traguardo del 17% entro il 2030. Ma valutiamo la possibilità di innalzare l’asticella».