1. Far brillare gli occhi degli studenti.
Il docente non dovrebbe essere uno spartitore di traffico concettuale posto al centro dell’aula a dirigere le operazioni. Anche questo, ma non solo. Quando Ottavietto alza la mano per saperne di più (non per andare al bagno): ecco, lì ti giochi tutto.
2. Premiare il movimento prima che il traguardo.
Ci saranno sempre Pierino e Gianni: entrambi hanno recitato la lezione ottenendo la sufficienza. Questo vuol dire «fare le parti uguali fra diseguali» perché Pierino, figlio di una coppia istruita e benestante, è partito avvantaggiato rispetto a Gianni, che non aveva mai letto un libro prima di frequentare la scuola. Bisognava dare otto a Gianni (o Mohamed) e sei a Pierino. Attenzione: non stiamo parlando di medici e ingegneri, bensì di quindici-sedicenni alcuni dei quali, se perdono l’autostima, fanno presto a lasciare la scuola.
3. Scoprire la maschera della risposta esatta.
Michelino è stato bravo, ha risposto bene. Il giorno dopo però si è già dimenticato tutto. A cosa gli è servito aver superato il test?
4. Non gettare mai nel cestino le risposte sbagliate.
Romoletto resta quello che non sa mettere la acca al posto giusto: il futuro analfabeta funzionale. Su di lui dobbiamo concentrare il massimo dell’attenzione. Chi vorrebbe liberarsene continua a credere, come lamentava il priore, che la scuola sia l’ospedale dove curare i sani.
5. Evitare la finzione pedagogica.
Cara professoressa, se fai finta di spiegare, magari perché sei stanca, i tuoi studenti ti restituiranno la finzione. Ecco a cosa serve Romoletto: a rompere l’incantesimo.
6. Non essere schiava del risultato.
Diceva Michel De Certeau che uno scolaro (vale anche per i figli) ti porta sempre in un luogo che non prevedi. Devi andare all’appuntamento a cui lui ti ha convocato, anche se può risultare doloroso e spiazzante.
7. Evita le domande trabocchetto.
Altrimenti dette le domande illegittime: fatte apposta per indurre l’alunno all’errore. Come se il migliore fosse quello che supera l’ostacolo e il peggiore chi non ci riesce. Al contrario: devi giocare sempre a carte scoperte. Vedrai, anche a te, piacerà molto di più.
8. Non aizzare la competizione.
I deboli hanno bisogno dei forti, ma vale anche il contrario. Il maestro del libro Cuore lo sapeva: lui, tanto bistrattato, almeno su questo aveva ragione. Una classe è una comunità in formazione. È necessario premiare i più meritevoli, ma non dobbiamo lasciare nessuno indietro. Non aspettare chi accumula ritardo, oltre che troppo facile, sarebbe gravissimo. Io la chiamo diserzione spirituale.
9. Alzare l’asticella.
Non devi mai accontentarti. Oggi più che mai bisogna ripristinare le gerarchie di valore che sembrano azzerate dalla rivoluzione digitale. È la tipica illusione ottica prodotta dalla civiltà del clic sulla tastiera. L’informazione rappresenta solo una condizione preliminare. Non esistono scorciatoie conoscitive. Per assimilare la tradizione occorrono applicazione, fatica, rigore e costanza. Ognuno ha le sue forme e i suoi tempi di apprendimento, ma tu devi portare tutti alla meta.
10. Incarnare il limite.
Non uso a caso questo verbo. Se a Valerio indicherai soltanto il precetto da rispettare, quale che sia, entrare in orario, stare attento, non rispondere in modo maleducato, ci sono buone probabilità che lui non ti ascolti, teso com’è a superare gli steccati, anche per mettersi alla prova. Se invece tu stessa mostrerai di vivere con la medesima rettitudine che pretendi dagli altri, ad esempio riconsegnando i compiti in classe già corretti il prima possibile, allora forse potrai avere maggiori soddisfazioni.
11. Valorizzare la comunità educativa.
Oggi chi insegna è molto più solo di quanto non fosse don Milani a Barbiana.
Ecco perché diventa importante coinvolgere le famiglie (tasto dolente), i colleghi, il dirigente, i territori. La professoressa può essere intraprendente e carismatica, ma ha bisogno di appoggio.
12. Accettare la sconfitta.
Una volta chiesero a don Milani quale sarà "il giorno glorioso" per chi fa l’educatore. E lui disse: quando ci prenderemo una bastonata. Arriva sempre un momento in cui il ragazzo acquista autonomia. Se ne va. Ti abbandona. Il nostro è "il mestiere dei fiaschi". Per questo assomiglia alla vita.