Corriere della Sera, 4 settembre 2019
Il mea culpa di Zaia sul Prosecco
La vendemmia del Prosecco deve ancora cominciare e i consorzi hanno già deciso di accantonarne una montagna: 800.000 quintali pari a 600.000 ettolitri di vino cioè 80 milioni di bottiglie. Non è un pettegolezzo dei soliti criticoni che ce l’hanno con le bollicine venete. È un dato emerso, come ha scritto Andrea Passerini sulla Tribuna di Treviso, all’ultima riunione promossa l’altro giorno dalla Coldiretti a Oderzo. Nonostante una brutta grandinata, infatti, la quantità di vino in arrivo rischia di essere così abbondante da abbassare i prezzi perfino al di sotto di quelli già bassi degli ultimi anni. L’altra settimana, sia pure con un vistoso ritardo rispetto agli allarmi lanciati dagli ambientalisti a suo tempo seppelliti sotto valanghe di «uffa» infastiditi, Luca Zaia era stato netto: «Non possiamo andare avanti a piantare 1.200 ettari l’anno come qualcuno aveva previsto. (...) Da parte mia io decreti di piantare nuovi vigneti non ne faccio più. Basta. Quel che c’è basta, punto. Non vado a massacrare il territorio perché tutti dicono che vogliono piantar vigneto». Non bastasse, ha insistito: «Quando ho firmato il decreto nel 2009 la produzione era di 160 milioni di bottiglie di Igt, e 60 milioni di Doc. Oggi facciamo 600 milioni di bottiglie». Qualche tempo fa sarebbe stato un grido d’esultanza per aver quadruplicato la produzione. Stavolta è sembrato quasi un mea culpa. Un po’ come quando il suo predecessore Giancarlo Galan, dopo anni di cantieri, cantieri e cantieri per sfruttare la «legge Tremonti», sbottò infine, davanti a centinaia di fabbricati vuoti: «Basta coi capannoni!».
Valeva la pena, per i veneti, di buttarsi anima e corpo prima tutti sui capannoni, poi tutti sul Prosecco? Sandro Bottega, che guida l’omonima azienda vinicola, ne dubita: «I costi di coltivazione e produzione del Docg sono ben più elevati dello Champagne, per questo i produttori dovrebbero valorizzarlo meglio», ha spiegato in un’intervista, «L’aumento dell’offerta ha portato al gioco del ribasso permettendo a chi vende a minor prezzo di avere più quote di mercato e quindi maggiori profitti». Per capirci, «le rive collinari, quelle premiate dall’Unesco richiedono per la coltivazione manuale di un ettaro 480 ore di lavoro/anno, mentre ai colleghi francesi con le macchine agricole, ne richiede poco più della metà». Prosit.