Corriere della Sera, 4 settembre 2019
Il crac argentino. Quando gli italiani persero una fortuna
Così lontane, così vicine. Tra Italia e Argentina ci sono sempre state due grandi rivalità: quella calcistica e quella economico-finanziaria. È inutile ricordare che la prima è stata, a tratti, sofferta per noi: sarebbe sufficiente rivangare la semifinale dei mondiali di «Italia 90». Schillaci che ci apre la porta della finale con un 1-0, Maradona che tenta di manometterne la serratura con un gol «finto» e l’epilogo ai rigori che la chiude definitivamente. Fu una di quelle volte in cui, per descrivere la situazione, tornò utile la fredda ironia che Churchill aveva appuntato decine di anni prima: gli italiani vanno in guerra come se dovessero giocare una partita di pallone ma giocano a pallone come se dovessero andare in guerra. Purtroppo anche nella seconda delle due rivalità noi italiani abbiamo sofferto visto che siamo spesso stati creditori come nel famigerato crac del 2001. Una vicenda che torna in mente ora che Buenos Aires, nonostante le promesse liberiste del governo di Mauricio Macri (si noti anche qui il derby: nome argentino e cognome italiano), è tornata a parlare di default con il Fmi. Un vizio antico: quello del 2001, dove un italiano ogni 180 deteneva titoli del debito pubblico estero per 14 miliardi di dollari, era l’ottavo della storia del Paese. L’Argentina in questo triste campo detiene il record mondiale: il primo risale al 1827, pochi anni dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Spagna. Nel 2001 si sfiorò anche il caso diplomatico quando il super-ministro dell’Economia Cavallo fu costretto a viaggiare sotto mentite spoglie a Roma per dribblare la folla inferocita. A giustificare l’acquisto dei bond, nonostante l’attrito calcistico, c’erano dei legami culturali molto forti: non fu un caso che le spoglie di Evita Peron vennero conservate e protette per anni a Milano. Con la ristrutturazione gli investitori persero oltre il 60 per cento del valore dei titoli. Normale che gli italiani se ne ricordino ancora a distanza di 18 anni. Sperando che non ci siano ricascati.