4 settembre 2019
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Biografia di Abdullah Abdullah
Abdullah Abdullah, nato a Kabul il 5 settembre 1960 (59 anni). Capo Esecutivo della Repubblica Islamica dell’Afghanistan. Già Ministro degli Esteri. Già consigliere, amico e medico personale del “leone del Panjshir” Ahmad Shah Massoud. Membro di lunga data della resistenza anti-sovietica, poi dell’Alleanza del Nord, che si opponeva ai talebani. Oculista • Quella di Capo Esecutivo (in inglese chief executive officer, tradotto in altri casi come amministratore delegato) è una carica non prevista dalla Costituzione e creata apposta per lui, nel settembre 2014, dopo che sia Abdullah Abdullah sia il suo rivale Ashraf Ghani, l’attuale presidente, avevano rivendicato per sé la vittoria alle elezioni • «Dopo decenni in cui ha galleggiato ai margini del potere, si è fatto strada eccellendo nella dote più importante per un capo politico afghano: l’arte degli accordi. Ha tirato dalla sua parte i potenziali rivali e li ha trasformati in sostenitori» (New York Times) • «C’è una certa confusione riguardo al suo nome: deve essere composto di due elementi o uno solo? Il secondo “Abdullah” infatti potrebbe essere solo un titolo onorifico di molti nomi afghani e alcuni suggeriscono che sia frutto di un fraintendimento durante una conferenza stampa» (Bbc). • È mezzo tagiko e mezzo pashtun.
Vita «Sono nato nel distretto di Karte Parwan, a Kabul, nella stessa casa in cui abito oggi. Entrambi i miei genitori erano nati a Kabul, ma la famiglia di mio padre viene dal Panjshir e quella di mia madre dalla provincia attorno alla capitale. Ho sette sorelle e due fratelli» (all’agenzia Khaama) • Famiglia benestante, dell’epoca in cui l’Afghanistan era ancora una monarchia. Il padre, Ghulam Mahyyoddin Zmaryalay, funzionario pubblico, poi nominato senatore dal re • «Si è diplomato alla scuola Nadiria (a Kabul, ndr) nel 1976 e poi ha studiato oftalmologia al dipartimento di Medicina dell’università della capitale, dove ha ricevuto una laurea nel 1983. Dal 1984 al 1985 ha lavorato come oculista all’Istituto N’oor dei Kabul» (così lo presenta l’imprenditore americano Jim Kimsey durante una conferenza a Washington nel 2002) • Nel frattempo, nel Natale del 1979, i russi invadono il Paese, provocando, tra l’altro una fuga in massa della popolazione. Tra quelli che scappano all’estero c’è anche Abdullah: nel 1985 va in Pakistan, a Peshawar, e continua il suo lavoro di medico in un campo profughi per rifugiati. Poi, la svolta. «Mr. Abdullah decide di tornare in patria e di unirsi alla resistenza mujahidin» (Azam Ahmed, Nyt, 2014) • È incaricato di gestire le cure mediche e il soccorso dei guerriglieri e dei civili nei territori da loro controllati. Conosce e diventa amico di uno dei capi più autorevoli della resistenza, Ahmad Shah Massoud, “il leone del Panshir” • «Mi sono unito a Massoud nel 1985 come medico; presto sono diventato suo segretario e poi suo consigliere» (a Matteo Smolizza, La Stampa, 11/2009) • «A Massoud piaceva il giovane pashtun-tagiko anche per il fatto che era un poliglotta, è fluente in inglese e francese» (Maurizio Molinari, La Stampa, 8/09) • È un’esperienza che gli renderà moltissimo. «Gli afghani credono che la jihad – e in Afghanistan questa parola indica in particolare la resistenza ai sovietici - sia stata una delle più grandi vittorie nazionali» (Ahmed) • Salito Gorbačëv al potere e iniziato il progressivo disimpegno sovietico dall’Afghanistan, il governo apre agli islamisti, che però non rinunciano alla lotta e, nel 1992, prendono a loro volta il potere: la maggior parte delle fazioni mujahidin (ma non tutte) si accordano per instaurare un governo provvisorio. Abdullah è nominato portavoce del ministero della Difesa – ma i talebani lo rovesciano, instaurano un Emirato Islamico e i mujahedin meno estremisti formano un “governo in esilio” detto Alleanza del Nord. Abdullah ne diventa il Ministro degli Esteri. Comincia a viaggiare. È lui, vestito all’occidentale, a tradurre il discorso del “leone” al Parlamento europeo di Bruxelles, all’inizio del 2001: chiede un intervento umanitario della comunità internazionale, dice che «i talebani e al-Qaeda hanno introdotto una percezione sbagliata dell’islam» e che senza il sostegno economico del Pakistan e di Bin Laden non sarebbero in grado di restare in piedi per più di un anno • Ma Massoud ha i giorni contati. Il 9 settembre 2001 «due kamikaze magrebini, presentandosi come giornalisti, lo accoppano con una videocamera imbottita di esplosivo» (Ettore Mo, Corriere, 9/2011) • «Quando Massoud fu assassinato […] Abdullah era dappertutto sui media occidentali per cercare di spiegare che cosa era successo» (Paola Peduzzi, Daniele Raineri, Il Foglio 4/2014) • «L’eredità spirituale di Massoud è stata enorme. Era un ottimo amico» (Abdullah a Smolizza) • Tutto sembra perduto, ma arriva l’11 settembre e la storia dell’Afghanistan - e di Abdullah - sta per cambiare di nuovo • Gli americani rovesciano il regime talebano e l’Alleanza del nord può tornare a Kabul. All’hotel Petersburg di Bonn, in Germania, si forma il nuovo governo: Abdullah è agli Esteri. «Fu il nuovo presidente Hamid Karzai a volere Abdullah, anche se lui afferma che le cose andarono diversamente, ovvero che fu lui […] a fare il nome di Karzai per guidare il dopo-talebani: ciò che più conta è che i due leader hanno lavorato assieme, dividendosi il compito di dialogare con l’Occidente e rimettere in piedi la nazione.» (Maurizio Molinari, La Stampa, 2009) • Nel 2004, per la prima volta da 35 anni, si tengono elezioni democratiche in Afghanistan, ma di fatto il candidato è uno solo: «furono organizzate dagli americani nel modo più vantaggioso per Karzai» (Guido Rampoldi, la Repubblica, 7/2009). Karzai vince, Abdullah è uno dei pochi a essere riconfermato, ma se ne va spontaneamente nel 2005 sollevando «ripetute obiezioni nei confronti dell’eccesso di tolleranza di Karzai per la dilagante corruzione pubblica» (Molinari) • Nel 2009 ci sono nuove elezioni: «se i Taliban non riusciranno a sabotarle, saranno le prime vere elezioni nella storia afghana» (Rampoldi) • I candidati, stavolta, sono 41. I principali sono il presidente uscente Hamid Karzai, l’indipendente Ramazan Bahardost, l’economista Ashraf Ghani e, non da ultimo, Abdullah Abdullah • «Abdullah scommette le sue possibilità su tre carte: l’identità etnica famigliare, il passato da combattente antisovietico e la proposta di condurre un dialogo “alla luce del sole” con i talebani pronti a voltare le spalle al mullah Omar. L’identità è quella ricevuta dai genitori: il padre pashtun originario di Kandahar, la città del Sud roccaforte dei talebani, e la madre tagika delle tribù del nord gli consentono di trovare ascolto nelle maggiori componenti etniche del Paese. Il passato da combattente contro l’occupazione sovietica è quello che esalta indossando il pakol, cappello tondo di lana emblema dei mujahidin» (Molinari). «Abdullah punta a raccogliere i voti dalle categorie più sofferenti della società afghana. In mente ha anche una riforma dell’amministrazione pubblica, proponendo di far svolgere elezioni locali nelle 34 province e nei 400 distretti in cui è suddiviso l’Afghanistan “al fine di aumentare il sostegno popolare al governo centrale”. […] A rafforzare le sue speranze c’è soprattutto la folla di giovani e giovanissimi che lo segue ovunque vada» (Molinari) • «Dietro ad Abdullah […] c’è quel Fronte nazionale dove figurano personaggi come il gran mullah Rabbani, islamista della prima ora e non meno talebano dei talebani quando, da presidente dell’Afghanistan liberato dall’Urss, dichiarò guerra agli artisti, ai musicanti e naturalmente alle donne». (Emanuele Giordana, il Riformista, 2009) • La Casa Bianca, stavolta, sostiene Ghani e Hillary Clinton gli suggerisce un consulente d’eccezione, James Carville, l’uomo che ha fatto vincere il marito Bill nel 1994 con il motto “It’s the economy, stupid”. “È l’economia, stupido” e la teoria che sia l’economia appunto, l’interesse concreto, a determinare il risultato elettorale. «Ma in un Paese dove il 42% della popolazione vive sotto la soglia della povertà, It’s the economy, stupid andrebbe tradotto anche con più concrete e tradizionali dimostrazioni di liquidità. E forse per questo le quotazioni di Ghani sono in ribasso rispetto a quelle di rivali più solvibili, in grado di pagare sull’unghia rimborsi, ingaggi e banchetti alle centinaia che affollano i loro uffici elettorali» (Rampoldi). Abdullah «dispone di fondi notevoli, come attesta la sua rete imponente di sedi elettorali, e poiché negli anni in cui l’Alleanza del nord combatteva i Taliban era il recettore dei finanziamenti iraniani, tutti sono convinti che i suoi benefattori siano a Teheran. Il capo della sua campagna, Fazel Sancharaki, non nega il passato (“L’Afghanistan era piombato nella guerra civile e nessuno in Occidente se ne preoccupava: era ovvio che cercassimo aiuti dai Paesi vicini”). Ma adesso, giura, contiamo soltanto su amici afghani» (Rampoldi) • Il 20 agosto si vota. Le elezioni sono truccate, ma non importa. Alla fine le Nazioni Unite indicono un ballottaggio tra Karzai e Abdullah, ma lui all’ultimo momento si ritira dalla competizione: sostiene di non poter partecipare a un’elezione così palesemente sfalsata. Moises Naim, direttore della rivista Foreign Policy, ha un’altra teoria. «Che cosa c’è dietro questa rinuncia al ballottaggio? “Ha capito che non vinceva. […]. La decisione non è stata presa per il motivo sbandierato da Abdullah, ossia la mancanza di garanzie di correttezza, alla base della massiccia frode del primo turno. Piuttosto, è la certezza dello sfidante di non avere alcuna possibilità di farcela ad averlo convinto a lasciare la gara […]. “Intorno ai due protagonisti-avversari ci sono stati sia l’America - dal senatore John Kerry all’inviato speciale della Casa Bianca Richard Holbrooke - sia le voci potenti domestiche, dai governatori delle province ai signori della droga e della guerra”. […] Abdullah non uscirà certo dalla scena politica, anche se con l’addio alla sfida non ha più il potere contrattuale che aveva conquistato con il diritto al ballottaggio”. Perché, allora, l’ha fatto? “Lo capiremo tra qualche tempo, ma sicuramente avrà ottenuto qualcosa, e sta ancora trattando per definire la sua posizione futura nel potere afghano”». (Glauco Maggi, la Repubblica, 11/2009). Karzai dunque resta presidente. Tende la mano ad Abdullah, ma lui rifiuta e va all’opposizione. «No. No. No. Non c’è posto per me in una sorta di sistema mafioso» (a Mariangela Pira, La Stampa, 2009) • Nel 2014, si ricandida alle presidenziali, stavolta non più contro Karzai ma contro l’economista Ghani. Negli ultimi cinque anni «Mr. Abdullah […] ha allargato la sua base politica, usando persuasione e energia per forgiare alleanze costruite sullo zoccolo duro di sostenitori tagiki dei suoi giorni da mujahidin» (Ahmed). «Sia Abdullah Abdullah che Ashraf Ghani hanno costruito la propria base di consensi attraverso alleanze con capi-clan e notabili regionali, senza storcere troppo il naso quando si trattava di assicurarsi il sostegno di ex-signori della guerra e personaggi con un pesante curriculum di violazioni dei diritti umani» (l’Unità, 6/2014) • «Nella campagna elettorale non ha detto molto su quel che vuole fare con gli americani, ma non ha fatto che ripetere che i brogli, a questo giro, non lo fregheranno» (Peduzzi e Raineri) • Una settimana prima del voto, un attentatore suicida si fa esplodere e colpisce il suo convoglio di automobili a Kabul. Abdullah ne esce illeso ma muoiono almeno sei persone, tra cui tre delle sue guardie del corpo. Tre ore dopo, è già a una conferenza stampa. «Centinaia di persone scure in volto si sono radunate in un salone per vederlo, ed è partita un’ovazione quando lui è arrivato sul palco [… ] Alla fine è toccato a lui prendere la parola, Mr. Abdullah, che è pur sempre un politico, l’ha messa giù semplice: “La risposta più saggia a questo complotto - ha detto - è andare a votare”» (New York Times) • Si vota il 14 giugno, «chiunque prevalga, si troverà ad affrontare una situazione del tutto nuova (perché gli americani si stanno ritirando, ndr)» (l’Unità) • Il risultato del primo turno è ribaltato. Ghani sembra in vantaggio e dopo tre mesi di riconteggio la commissione elettorale lo proclama presidente. Abdullah ha perso di nuovo. Ma non accetta il risultato e non molla l’osso • «Alla fine i due litiganti, che si contendevano la poltrona dopo le discusse elezioni del 14 giugno, hanno partorito un accordo all’afghana. Una spartizione del potere per evitare che la parola passi alle armi con un colpo di stato o addirittura una nuova guerra civile sotto gli occhi della Nato che si sta ritirando. Dopo tre mesi di duro braccio di ferro sul risultato del voto gli acerrimi rivali, Ghani e il tagiko Abdullah Abdullah, si sono abbracciati davanti alle telecamere suggellando un patto per un governo di unità nazionale. Ghani è stato proclamato presidente dell’Afghanistan e Abdullah nominerà se stesso […] all’inedita figura di chief executive, una specie di primo ministro. Peccato che questa carica non esista nell’ordinamento afghano e sia stata inventata ad hoc per superare lo stallo. A Kabul lo chiamano ufficialmente Ceo, praticamente l’“amministratore delegato” del nuovo governo, che secondo la Costituzione è guidato dal capo dello stato. Un sotterfugio all’afghana, che ha evitato il peggio, per ora. A Kabul circolavano insistenti voci di colpo di stato e dal Nord, Mohamed Atta, governatore vicino ad Abdullah, minacciava di prendere le armi per staccarsi dal resto del Paese» (Fausto Biloslavo, Il Giornale, 2014) • La carica fu creata da John Kerry • Ma la situazione non cambia, la coabitazione tra i due non funziona. Nel 2016 Abdullah accusa Ghani di averlo isolato nell’azione esecutiva, di essere un incapace: annuncia di volersi ricandidare, alle presidenziali 2019. Il voto era inizialmente previsto per il 20 aprile. Poi è stato spostato al 20 luglio. Poi al 20 settembre. Le ragioni di questi ritardi sarebbero le difficoltà nel mettere in piedi il nuovo sistema di controllo degli elettori: in Afghanistan si passerà a un sistema di identificazione biometrico.
Giudizi «Anche chi sospetta delle sue alleanze riconosce che il fatto di aver passato quasi tutta la sua vita in Afghanistan, attraversandone tutte le vicende, gli sia di grande aiuto» (Nyt).
Curiosità È molto ricco, come la maggior parte dei politici afghani • Appassionato di poesia persiana, ha una grande collezione di francobolli iniziata da bambino (Smolizza) • Parla correntemente farsi, pashtun, inglese, arabo e francese • È sposato e ha tre figli: un maschio e tre femmine •