Roberta Scorranese per il Corriere della Sera, 3 settembre 2019
LASCIATE CHE I MAIALI VENGANO A ME! – “NE HO ADOTTATI 22, COSI’ LI SALVO DAL MACELLO”, PARLA FEDY, LA 46ENNE DI TORINO CHE DA 10 ANNI GESTISCE LA “PICCOLA FATTORIA”. PER I SUINI, CHE LEI CHIAMA “I MIEI CICCIONI”, HA LASCIATO LA CITTÀ E RINUNCIATO ALLE NOZZE: "OGNUNO DI NOI HA UN PROGETTO NELLA VITA E IL MIO È QUESTO. IL PRIMO CONTATTO CON I MAIALI È AVVENUTO OLTRE DIECI ANNI FA, NEGLI USA, QUANDO UNA SCROFA MI FISSÒ NEGLI OCCHI…” -
Quando l' uomo con cui stava le disse: «Scegli, o me o loro», Federica Trivelli si guardò le unghie, ci pensò un attimo e poi rispose: «Loro». E «loro», quelli che lei chiama «i miei ciccioni» la stavano aspettando: rosa, pasciuti, mansueti.
«Loro» sono i ventidue maiali ai quali la 46enne di Torino ha dedicato una vita: per loro ha fatto sfumare un matrimonio, ha scelto di lavorare part-time e ha lasciato la città per trasferirsi a Vigone, nel Torinese, dove ha fondato La Piccola Fattoria degli Animali. Esattamente dieci anni fa. Una cascina di nemmeno un ettaro dove Yoda, Spartacus e gli altri vivono organizzati in piccoli branchi e dividono cibo e spazi con un cinghiale, cani e gatti.
Tutto cominciò nel 2009, appunto. «Il primo "ciccione" arrivò da un contadino - racconta Federica, per gli amici Fedy - e poi sono venuti tutti gli altri». Maiali salvati: dalla macellazione sicura che segue un sequestro, dagli allevamenti intensivi, dalla vivisezione. Funziona così, per fare un esempio: quando in qualche allevamento vengono sequestrati gli animali, ci sono dei tribunali che permettono a privati di «adottarli».
Federica è una di questi: lei li accoglie, li nutre e li accompagna verso una vecchiaia inusuale nella vita di un suino. «Già, di solito il maiale è destinato alla tavola - continua Trivelli -; qui con me invece arriva alla morte naturale. Se si ammala, al veterinario penso io, così come al cibo e all' acqua».
Costo mensile: dai 1.500 ai duemila euro, dipende dalle spese mediche. Come fa? «Proprio per stare vicino a loro ho ottenuto un part-time dalla società di ingegneria dove lavoro. Dunque da sola a volte non riesco: così ho fondato una onlus, La vie en rose , dove si possono fare donazioni spontanee». Poi c' è la pagina Facebook che conta migliaia di interazioni. E così la vita di Federica è scandita dai ritmi dei suini.
«Mi alzo alle sei, faccio una corsa, poi vado da loro. Li pulisco, cambio l' acqua, gli do da mangiare. Poi una doccia e via, al lavoro. Con il pullman: impiego un' ora e mezza per andare e altrettanto per tornare, alla sera». Inoltre il rifugio deve essere sempre presidiato e così ci sono quattro o cinque volontari che si alternano per darle una mano. Al sabato e alla domenica, invece, la vita di Trivelli è tutta per i «ciccioni». La domanda è scontata.
«Perché lo faccio? Ognuno di noi ha un progetto nella vita e il mio è questo - spiega Federica -. In passato mi sono impegnata in battaglie in difesa degli animali e dell' ambiente. Il primo contatto con i maiali è avvenuto oltre dieci anni fa, negli Stati Uniti, quando una scrofa mi fissò intensamente negli occhi. Il mio messaggio non è quello più scontato, cioè "non mangiate carne di maiale". È più sottile: invito tutti a conoscere meglio questi animali, da sempre bollati come sporchi e pigri quando non è vero. Se proviamo a vivere accanto a loro, a comprenderne le dinamiche di gruppo, scopriamo un mondo. E mangiarli diventa più difficile per tutti».
Trivelli ha scelto i suini per la loro (bassa) posizione nella scala sociale. Ha dato a tutti un nome e, su Facebook, racconta le loro storie. C' è quello arrivato dalla Sicilia e con una storia di maltrattamenti alle spalle. C' è quello donato da un contadino che non poteva più permettersi di tenerlo. C' è il cinghiale strappato ai bracconieri, per Trivelli una doppia vittoria perché l' animale selvatico ha scelto di fidarsi.
E ora, qual è il prossimo obiettivo? «Vorrei avere più spazio per loro. Io mi auguro che sempre più persone sposino questo mio progetto e che mi aiutino a crescere. Non solo per far stare meglio gli ospiti attuali ma anche, se possibile, per accoglierne degli altri».