La Stampa, 3 settembre 2019
Vite e amori degli antifascisti radicali
Oltre a cogliere di sorpresa mezzo mondo, il 23 agosto del 1939, il Patto Molotov-Ribbentrop, dal nome dei due ministri degli Esteri russo e tedesco (rimasto più famoso il primo, anche per l’intitolazione a suo nome delle bottiglie incendiarie che molta fortuna ebbero, come armi improprie, dagli Anni Trenta della Guerra di Spagna al ‘68), lasciò annichiliti un gruppo di esuli antifascisti italiani, increduli di fronte all’accordo tra le due grandi dittature novecentesche che il primo settembre, otto giorni dopo, doveva accendere la miccia della Seconda guerra mondiale.
Erano un gruppo di irriducibili, come li definisce, fin dal titolo, il libro della storica Mirella Serri (Gli irriducibili, in uscita giovedì per Longanesi, pp. 240, € 19), che fin dall’avvento del fascismo, quando ancora molti che poi si sarebbero ribellati tardivamente indugiavano, avevano colto l’aspetto autoritario e violento del regime di Mussolini e si erano impegnati a contrastarlo con tutti i mezzi, una resistenza prima della Resistenza che pose fine all’occupazione nazista e all’avventura del Duce.
Nati a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, educati quasi tutti in famiglie colte e borghesi, intellettuali, pensatori, filosofi, amanti della scrittura e dei giornali, i loro nomi, anche se con diversa evidenza, sono entrati nella storia, per conoscere successivamente un oblìo a cui il libro della Serri vuole rimediare: ricostruendone le vite romanzesche, lo sprezzo del pericolo, i sentimenti, l’amicizia, gli amori, le morti tragiche. Erano Giorgio Amendola (figlio del ministro liberale Giovanni, assassinato dai fascisti), leader per tutta la sua vita della «destra» comunista e maestro di Giorgio Napolitano, due volte Presidente della Repubblica. I fratelli Emilio, Enzo e Enrico Sereni, ebrei, ministro del governo De Gasperi nel dopoguerra il primo, morto a Dachau in campo di concentramento il secondo, mancato ancor giovane, forse suicida, il terzo. E poi Nadia Gallico, moglie di Velio Spano, tra le prime donne elette all’Assemblea Costituente, Ada Ascarelli, vedova di Enzo Sereni e grande organizzatrice della partenza verso Israele di oltre 25 mila ebrei a rischio di finire deportati, Giuseppe Di Vittorio, che sarà leader della Cgil, Ferruccio Besanson e Maurizio Valenzi, che diventerà sindaco di Napoli negli Anni Settanta, dopo un lungo periodo di emarginazione seguito all’esilio a Tunisi e al ritorno in patria grazie all’aiuto dei servizi segreti inglesi, Carlo e Nello Roselli, assassinati in Francia su mandato del regime fascista dopo la rocambolesca fuga del primo dal confino a Lipari.
Erano militanti della sinistra clandestina, in maggior parte comunisti nel Pcd’I non ancora Pci, socialisti, repubblicani o di Giustizia e libertà. Gli anni duri dello stalinismo, con le accuse settarie di «socialfascismo» a chiunque non fosse sottomesso a Mosca, verranno a segnare dolorose divisioni tra loro, compreso il diffuso antisemitismo che finirà col separare anche Emilio Sereni dal fratello Enzo e dalla cognata Ada. Perché anche questo accadde, ci fu un tempo in cui i comunisti, per effetto della «guerra fredda» che gelò la pace in Europa, consideravano Churchill più o meno alla stregua di Hitler e diffidavano di chiunque tra i loro militanti avesse avuto a che fare con gli inglesi.
Ma fermiamoci un momento a riflettere su cosa rappresentò, soprattutto per gli esuli a Parigi, ma non solo, l’avvento del patto nazi-sovietico e dell’inizio di una guerra che in quel momento sembrava orientata a concludersi con una spartizione dell’Europa tra le due dittature di Mosca e Berlino e con la cancellazione delle «vecchie» democrazie occidentali di Francia e Inghilterra. Il ritrovarsi, da un giorno all’altro, nemici nel paese che li aveva accolti, consentendogli piena libertà politica e di iniziativa nelle loro attività clandestine. La forzata obbedienza al diktat staliniano della diffidenza verso tutte le altre forme di antifascismo che non fossero quella della fede comunista. La rottura dell’unità nella lotta contro il regime fascista che per loro affondava le radici in un’educazione e una cultura comuni, maturate negli anni dell’adolescenza. La fine di tante amicizie.
Su tutte, spicca la figura di Giorgio Amendola, «Giorgione», data la sua mole enorme (un gigante da 120 chili), il carattere gioviale, la passione per il buon cibo e gli abiti eleganti, le capacità di grande oratore, dirigente e organizzatore. Un uomo che anche nei momenti difficili, sapeva prendersi tempo per apprezzare, a Parigi, l’arte, la cultura, gli spettacoli, e forse lo faceva consapevole di rischiare la vita e ignorando se il giorno dopo avrebbe potuto farlo ancora. Eretico e insieme ortodosso con Mosca, implacabile nel confronto personale con chi era in disaccordo con lui (memorabili le discussioni con Di Vittorio nella redazione del giornale per gli emigrati in Francia La voce degli italiani), tenero nell’amore per la moglie Germaine, ma disponibile, per una notte, «con una cameriera che gli era entrata nel letto». Questo era Amendola.
Serri ricostruisce le storie, descrive la vita quotidiana degli esuli con il passo di un romanzo e si addentra con fini indagini psicologiche nel carattere dei personaggi. Come ad esempio la coppia Enzo Sereni-Ada Ascarelli, riparati in un kibbutz ebreo in Palestina, esperienza pratica di una sorta di socialismo a lungo sognata e in realtà deludente, per l’esasperante privazione di qualsiasi bene personale e la messa in comune di tutto, perfino le scarpe! Tal che Enzo, senza che Ada riesca a trattenerlo, sentendosi soffocato dalle regole di vita della comunità e richiamato dal suo istinto rivoluzionario, decide di partire, farsi paracadutare nella campagna toscana e finisce prigioniero dei tedeschi e poi in campo di concentramento a Dachau, dove verrà torturato e condannato a morte.
Come tutti gli esuli, gli irriducibili sopravvissuti, alla fine della guerra, torneranno a casa. Ma l’accoglienza, da parte del partito «nuovo» togliattiano che si è già affidato a una nuova generazione, non sarà quella che si aspettano. Un’amarezza in più, che si aggiunge alle molte della, come la chiamavano, «generazione delle vite difficili».