la Repubblica, 3 settembre 2019
Il bracciante Pasquale, assunto un’ora dopo la morte
«Un minuto, non mi sento...». Pasquale farfuglia qualcosa e si ferma, mentre smonta la copertura di una serra stagionale, sotto i 40 gradi di quella plastica che accompagna il commercio estivo dei meloni e ora moltiplica il caldo tropicale nei campi di Varcaturo, vastissimo comune di Giugliano. I braccianti più vicini lasciano tutto, lo trascinano in là, pochi metri, sono 35 gradi eppure sembra fresco. Ma quando arriva l’ambulanza, infilando il cancello esatto nella distesa caotica di terre agricole e cemento turistico dell’agro aversano, non c’è più niente da fare.
Pasquale Fusco, 55 anni, moglie e tre figli, alle spalle un piccolo negozio da macellaio fallito da tempo e un presente fatto di lavoretti e sacrifici, è il morto sul lavoro numero 600 dall’inizio dell’anno. È un’altra fotina nella strage silenziosa che non comparirà in nessun “punto” di nessun esecutivo, vittima senza voce. Su cui perfino la famiglia, devastata, chiede silenzio. Sua moglie Benedetta, i due ragazzi ventenni che proteggono la sorellina adolescente, il fratello della vittima, Renato. «Lasciateci in pace. Lo sfruttamento? Il lavoro in nero? Sono cose che riguardano i carabinieri e i magistrati». La vedova, dalla dignitosa palazzina in cui vive con i figli e cognati, costruita «in una vita di sacrifici», ai bordi estremi di Caivano, su strade sterrate, altra campagna a trenta chilometri da dove è morto il suo Pasquale, racconta solo un dato: «Mio marito si svegliava alle 3. Alle 5 già stava sul posto di lavoro: faceva tanti sacrifici, sapeva fare tanti lavori in campagna». Ma coi carabinieri alza le braccia: «Non chiedetemi come si chiama l’azienda, neanche mi ricordo». Non hanno voglia di chiedere chiarezza, né di «avere pubblicità», i suoi cari. E quando si diffonde la voce che Fusco comparisse negli elenchi dei richiedenti il Reddito di cittadinanza, la famiglia fa muro: «Non abbiamo niente da dire».
Così la storia di Pasquale e della sua famiglia è solo materia di fascicoli giudiziari: Pasquale si è accasciato martedì scorso, intorno alle 10. Venerdì è stata eseguita l’autopsia che avrebbe evidenziato un «problema al cuore», su cui si esprimerà diffusamente la relazione del medico legale, nelle prossime settimane. Tre giorni fa, i funerali celebrati in estremo riserbo a Carditello, frazione di Cardito, paese d’origine dei Fusco: e sono esequie cui partecipano – non a sorpresa – tra dolore e shock anche i datori di lavoro di Pasquale, la ditta di Antonio Pezone. «Gente stimata» dicono in paese, «famiglia di contadini anche loro, che non hanno mai procurato questi guai, magari è una disgrazia». L’analisi del medico legale rileva una «patologia cardiaca» sul corpo della vittima: eppure non basta affatto a parlare di “disgrazia”, ora bisognerà accertare se, e in quale misura, le condizioni di lavoro abbiano eventualmente aggravato quel rischio.
L’inchiesta della procura di Napoli Nord, grazie ai carabinieri di Giugliano e dell’ispettorato del lavoro, accertano intanto numerose violazioni delle norme di sicurezza, oltre alla mancanza di esami e certificazioni sanitarie. Si scopre che il nome del bracciante Fusco è inserito e regolarizzato dall’impresa «oltre un’ora dopo rispetto al momento del decesso», com’è scritto nell’informativa inviata al procuratore Francesco Greco e al suo aggiunto Domenico Airoma. Un clamoroso errore? Una vana via di fuga? Pezone finisce tra gli indagati: un atto previsto a sua tutela, affinché abbia il suo legale di fiducia durante l’autopsia. Ma i Fusco non commentano: hanno ricevutocondoglianze, visite, assistenza da parte dell’azienda. «Li conosciamo come figli di contadini e titolari di un’azienda sana, che assume e osserva la legalità», dice Fabrizio Marsano, presidente di Confagricoltura Napoli. «Ma è chiaro che queste storie non dovrebbe verificarsi e sarà la magistratura ad accertare tutto». Suo fratello Renato scrive su Fb: «Non ci siamo sempre compresi, ma resterai mio fratello. Che la terra ti sia lieve, Pasquale». A Caivano, con un marito al cimitero, la signora Benedetta chiude la porta definitivamente alle domande. «Non vi fate vedere. Jatevenne». Andatevene.