Corriere della Sera, 3 settembre 2019
La Serie A ha speso più di un miliardo
L’estate delle follie. La più costosa di sempre, perfino più di quella scorsa, quando per la prima volta la serie A sfondò quota un miliardo di euro. Nel 2018, l’anno di Cristiano alla Juve per 112 milioni, le 20 squadre del nostro campionato investirono complessivamente sul mercato 1.120 milioni. Chi pensava che quel record sarebbe durato a lungo si è dovuto ricredere: la sessione terminata ieri dopo 63 giorni ha chiuso con un giro d’affari di 1.200 milioni. E un rosso, cioè la differenza fra spese ed entrate, di 330.
La bolla del calciomercato è in crescita esponenziale. E lo dimostra in maniera chiarissima il confronto con i dati del passato. Cinque anni fa la cifra investita dalle nostre squadre non sfiorava nemmeno i 400 milioni, un terzo di oggi. Ed era solo il 2014. La quota è impennata l’anno successivo, nel 2015, arrivando a 637 milioni, per poi toccare i 765 milioni nel 2016 e i 999 milioni nel 2017. Un’estate fa, come detto, lo sfondamento di quota un miliardo, che fino ad allora era stata raggiunta solo dalla ricchissima Premier League, che sembrava inarrivabile. Oggi invece le distanze di spesa fra noi e il primo campionato al mondo si sono ridotte. Anche se, raffrontando i dati europei, emerge che quest’anno la parte del leone l’hanno fatta gli spagnoli, trascinati da Barcellona e Real. La Liga ha speso 1,32 miliardi, non troppo lontana dagli inglesi con 1,55 miliardi. Noi siamo terzi, segue la Bundesliga a 733 milioni e la Ligue1 francese a 635.
In sostanza abbiamo speso quasi il doppio dei tedeschi, il cui campionato cresce però a velocità doppia rispetto al nostro, come certificato dalla Review of Football Finance 2019 di Deloitte. Un altro elemento, questo, che suggerisce una domanda che però in Italia molti snobbano: può davvero il nostro calcio, indebitato secondo l’ultimo Report della Figc per 3,9 miliardi di euro, sostenere investimenti di questo genere? In Premier, dove peraltro gli introiti sono doppi rispetto ai nostri, 5,4 miliardi annui contro 2,4, la riflessione è già in atto da tempo. Forse converrebbe prendere appunti.
Una cosa è certa, anzi due. La prima è che con le plusvalenze, amatissime dai nostri club, non si va molto lontano. L’altra è che in Italia si continua a investire sui giocatori e non sulle strutture. Soldi per comprare un centravanti si trovano sempre, per finanziare stadi nuovi mai. Quest’anno, alla 1ª giornata, 4 squadre di A non avevano lo stadio pronto. Un’eterna emergenza che pochissimi affrontano con progetti a lungo termine.
Resta poi un’altra domanda, forse la più inquietante: quanto di questo miliardo uscito dalla tasche delle società giova al livello tecnico del campionato e quanto alle tasche dei procuratori?