Corriere della Sera, 3 settembre 2019
I videogame nel curriculum
Leonardo ha 13 anni, vive e studia a Milano. E come molti suoi coetanei ha una passione sfrenata per «Fortnite», il videogioco di competizione tutti contro tutti che sta stregando una generazione di adolescenti. I suoi genitori sono molto attenti a quanto tempo il figlio può dedicare al gioco, e sono anche partecipi nel capire con lui quando una determinata amicizia stretta durante il gioco può andare bene oppure no. I rischi di «cattive compagnie» mascherate dall’anonimato della Rete sono sempre dietro l’angolo. «Ma né a me né a mio marito è mai venuto in mente di negargli il gioco», spiega mamma Stefania, manager di 54 anni. «Perché Leo con Fortnite non solo si diverte, ma sta sviluppando capacità, spesso complementari con quelle che impara a scuola, che a volte ci lasciano a bocca aperta». I videogiochi come ambiente di formazione? Anche, e non solo: sono sempre di più le aziende che cercano tra i curriculum candidati che si presentano anche come gamer. Perché giocando spesso si sviluppano quelle che vengono definite soft skills, competenze trasversali come la capacità decisionale, l’intelligenza emotiva o l’abilità nella negoziazione, che diventano sempre più importanti in un mondo del lavoro liquido. Dove il sapersi adattare velocemente alle novità diventa un requisito fondamentale.
In un film del 1984, «Giochi Stellari», un videogioco da bar di battaglie spaziali si rivelava essere una sorta di provino per selezionare i migliori piloti dell’universo da arruolare in una fantomatica Lega Stellare. A sentire un portavoce della Royal Air Force britannica, 35 anni dopo siamo fuori dalla fantascienza: «Le abilità sviluppate attraverso i videogiochi sono spesso quello che cerchiamo nei nostri candidati», racconta in un’intervista alla Bbc. «Abilità come assimilare rapidamente informazioni e coordinare azioni di gruppo mentre si rimane calmi in situazioni di forte pressione sono infatti spesso caratteristiche di chi è bravo nei videogiochi».
Questo vale per futuri top-gun, ma non solo. Un cosiddetto «gioco di ruolo», quelli dove il giocatore impersona un protagonista con determinate caratteristiche fisiche ma anche caratteriali, aiuta a sviluppare capacità di problem solving. Così un gioco strategico, a turni o in tempo reale, diventa una scuola pratica su come gestire al meglio le risorse a propria disposizione. Anche i frenetici sparatutto, spesso bollati solo come giochi iper-violenti (a volte lo sono), possono portare ad aumentare in modo verticale la capacità di visione periferica e il cosiddetto pensiero laterale.
Ci sono poi i giochi in Rete di massa, i multiplayer online come appunto Fortnite, che vedono la partecipazione contemporanea di decine di giocatori da tutto il mondo. Torniamo quindi a Leonardo e al suo hobby: quando gioca da solo, per poter sperare di vincere è costretto a organizzarsi ed entrare in contatto con altri giocatori che non conosce. Crea una squadra con altri gamer con i quali parla con un misto di italiano, inglese e francese da codificare e capire in tempo reale. Quando invece si organizza per giocare con la sua «gilda» – la comunità di amici del gioco, dove per entrare vengono svolti dei veri e propri «colloqui» attitudinali —, eccolo impegnato a organizzare l’attività del team e a cambiare, concordare e coordinare decisioni sul filo dei secondi. A questo aggiungiamo che il giovane ragazzo ha deciso di aprire un proprio canale su Youtube: al momento ha solo 46 iscritti ma è fiducioso per il futuro. L’argomento di quello che posta è ovviamente Fortnite, sul quale Leonardo crea video che ha imparato a girare e montare da autodidatta. Si può dire che i videogiochi, in alcuni casi, possono davvero unire il dilettevole all’utile.