Il Sole 24 Ore, 3 settembre 2019
Il riciclaggio dell’oro
In giro per il mondo potrebbero esserci migliaia di lingotti d’oro contraffatti. Non proprio fasulli: il metallo è oro per davvero – e purissimo – ma porta impresso il marchio falsificato di note raffinerie in modo da mascherarne l’origine. Un po’ come le borse o le magliette che copiano i modelli di famosi stilisti. Solo che il «fake» in questo caso richiede tecnologie e macchinari difficilmente a portata di mano di dilettanti o semplici truffatori. Più probabile che ad essere coinvolte siano grandi organizzazioni criminali, specializzate nel riciclaggio di denaro sporco, magari per conto di narcotrafficanti.
Potrebbe anche trattarsi di un espediente per consentire un accesso alla liquidità a gruppi terroristici oppure a Paesi sottoposti a sanzioni. Si sospetta ad esempio che tonnellate di oro abbiano preso il volo clandestinamente dal Venezuela, per finanziare il regime di Nicolas Maduro. Ma questa è un’altra storia.
Il rinvenimento di lingotti contraffatti – portato alla luce da un’inchiesta della Reuters – risale in realtà ai primi mesi del 2017, anche se è difficile pensare che il fenomeno sia rimasto circoscritto e che da allora non sia più accaduto nulla di simile.
Le fonti dell’agenzia raccontano che JpMorgan, una delle banche più attive sul mercato dell’oro, sia stata la prima ad accorgersi della truffa trovando nei suoi caveau due lingotti – o meglio, due barre d’oro da un chilo: le kilobar – marchiate con lo stesso numero di identificazione.
Le banche centrali conservano le proprie riserve auree in lingotti «Good Delivery» da 12,4 kg circa. Ma sono in realtà le kilobar – più o meno delle dimensioni di uno smartphone – il “formato” più comune dell’oro che circola per il mondo. Sono particolarmente (ma non solo) utilizzate in Asia. E forse anche per questo – oltre che per il fatto che si tratta di merci contraffatte – nel settore si sospetta che ci sia lo zampino della Cina. Il contrabbando, suggerisce Reuters, avverrebbe attraverso Hong Kong, oppure via Giappone o Thailandia.
Una volta che l’oro riesce ad entrare nel sistema bancario i truffatori hanno buone probabilità di farla franca: se il falso non viene scoperto il metallo può restare chiuso per anni nei caveau, oppure – meglio ancora, dal punto di vista dei criminali – può essere fuso e impiegato per la fabbricazione di gioielli o di altri lingotti. A quel punto sparisce ogni traccia di reato.
JpMorgan non conferma le indiscrezioni, ma fonti dell’agenzia di stampa affermano che dopo l’allarme iniziale sarebbero partiti controlli più approfonditi, che hanno portato all’identificazione di molte altre barre fake: almeno un migliaio negli ultimi tre anni, per un valore di circa 50 milioni di dollari ai corsi attuali dell’oro.
La banca americana avrebbe in seguito limitato le relazioni commerciali in Asia a una ristrettissima cerchia di fornitori. Un giro di vite sarebbe stato dato anche da altri istituti attivi nel settore dei metalli preziosi, scrive Reuters, come Hsbc, Ubs, Standard Chartered, Anz.
«La nostra pratica standard – ha commentato JpMorgan – è quella di allertare immediatamente le autorità appropriate e le raffinerie, nel caso in cui dovessimo scoprire kilobar d’oro con marchi irregolari. Per fortuna non ci è ancora capitato un incidente che comportasse delle perdite per la società o per i nostri clienti».
La Shanghai Gold Exchange, cui è affidata la supervisione del mercato aurifero in Cina, afferma da parte sua di non essersi mai imbattuta in lingotti fake.
Chi non ha problemi a parlare del fenomeno è invece Michael Mesaric, amministratore delegato della Valcambi, una delle maggiori raffinerie d’oro della Svizzera (e del mondo), con sede nel Canton Ticino, a due passi dall’Italia.
Le vittime più frequenti delle falsificazioni dei marchi sarebbero proprio le raffinerie svizzere, che mettono in circolazione un gran numero di lingotti, considerati di ottima fattura: oltre a Valcambi, Pamp, Argor-Heraeus e Metalor, tutte inserite nella ristretta lista degli operatori autorizzati dalla London Bullion Market Association (Lbma).
Sono state trovate almeno duemila kilobar contraffatte, secondo Mesaric, anche se «in circolazione potrebbero essercene molte, molte di più». Le più recenti, afferma l’ad, sono «realizzate in modo professionale». Ma anche le raffinerie si sono attrezzate meglio per difendersi. I macchinari sono diventati ancora più sofisticati, in grado di inserire marchi olografici come quelli presenti sulle banconote o di segnare la superficie dei lingotti in modo unico, come le impronte digitali sui nostri polpastrelli.