Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 02 Lunedì calendario

Biografia di Mario Draghi

Mario Draghi Nato a Roma il 3 settembre 1947 (72 anni). Governatore della Banca Centrale Europea (Bce), il suo mandato scade il 31 ottobre. Economista. Banchiere. Dirigente pubblico. Fautore della politica di quantitative easing, determinante durante la crisi dell’euro: ha pronunciato le famose parole «within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough»; ossia: «Nell’ambito del nostro mandato, la Bce è pronta a fare qualunque cosa per salvare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza». • «Uno dei policy-makers più influenti in Europa» (Financial Times) • «La reputazione di cui è circondato negli ambienti finanziari internazionali è decisamente superiore a quella dell’importanza che l’Italia ha nell’economia mondiale» (Wall Street Journal) • «Una colomba con l’occhio da falco» (Die Welt, 11/2011] • «Nessuno riesce a leggere dietro quella faccia da poker» (Carsten Brzeski, economista olandese) • Soprannomi: «Super Mario, l’Americano, l’Atermico, il signor Altrove, il Prussiano. Lui li odia tutti» (Stefania Tamburello, nel libro Mario Draghi. Il Governatore, Rizzoli, 2011) • Già governatore della Banca d’Italia (2006-2011) e presidente del Financial Stability Forum, poi Financial Stability Board (2006-2011). • In Rete circola la leggenda che sia in realtà uno dei rettiliani, «soggetti nascosti sotto sembianze umane che nel remoto passato avrebbero ibridato il dna extraterrestre di una evoluta stirpe rettiliana con il dna terrestre di noi umani. Tutto ciò, da parte della stirpe rettiliana, al fine di dominare in modo occulto il nostro pianeta. Facendosi apparire umani per controllarci e sfruttarci meglio, senza che noi se ne sia consapevoli» (dal sito del Cicap, il comitato per il controllo delle attività paranormali di Piero Angela). Vita Figlio di Carlo, padovano, impiegato in Banca d’Italia, Iri e Banca nazionale del Lavoro, e di Gilda Mancini, farmacista, originaria della provincia di Avellino. • «A 15 anni ha perso il padre, Carlo, uomo di incarichi pubblici (in Bankitalia, liquidatore con Donato Menichella della Banca di Sconto, in Bnl nel dopoguerra). Poco dopo è mancata anche la madre. Draghi ha dovuto fare il capofamiglia, prendersi cura dei fratelli minori: Andreina, la storica dell’arte che nel 1999 ha scoperto a Roma un ciclo di affreschi medievali nel complesso dei Santi Quattro Coronati; e Marcello, oggi piccolo imprenditore» (Aldo Cazzullo). • Studente alla scuola romana dei gesuiti, l’istituto Massimo, severa scuola erede del Collegio Romano espropriato ai padri di Sant’Ignazio dopo la breccia di Porta Pia e trasformato nel liceo Visconti. Ebbe per compagni Luca Cordero di Montezemolo e Giancarlo Magalli. «Fino al V ginnasio Draghi studiò in classe con Montezemolo e Cristiano Rattazzi. “Poi Luca e Cristiano traslocarono al Morosini di Venezia. Luca non resistette moltissimo, sospetto per via della disciplina. Restammo sempre in contatto. Soprattutto dopo. Con Mario e Luca è sempre saldo un legame formidabile” racconta Paolo Vigevano, fondatore di Radio Radicale e ora capo delle relazioni istituzionali di Cos-Finsiel, licenza liceale classica nel 1966 (Draghi, invece, nel 1965). Ancora Vigevano: “Un altro collante era la squadra di pallacanestro dell’Istituto. Ci giocavamo Mario, io e Giovanni De Gennaro, oggi capo della polizia, che era in classe con me. Mario aveva un bel tiro, il suo modello era Bill Bradley, gran campione e poi senatore Usa”. Nella terza sezione B del classico, maturità 1965, c’era Giuseppe Petochi, raffinato orafo romano (lavoro di famiglia dal 1884): “Il primo della classe era Francesco Snider, ora professore di chirurgia vascolare alla Cattolica. Però anche Mario era molto bravo in latino e in matematica. Diciamo uno di quelli che, quando sei in difficoltà, ti aiuta”. A passare i compiti? “Piuttosto a capire”. Non un secchione, giura Francesco Lovatelli, ingegnere, manager di aziende informatiche: “Era molto preciso, anche nell’abbigliamento, ma non ossessionato dallo studio. Era sportivissimo, mi pare che la corsa fosse la sua specialità”. Altri nomi dalle altre sezioni (ma alla fine fu tutto un gruppone, concordano gli amici). Nella A Staffan de Mistura, uomo-chiave dell’Onu in Iraq, e Giuseppe Sangiorgi, ex direttore del Popolo ed ex membro dell’ Autorità delle Telecomunicazioni. Nella C Luigi Abete, presidente di Bnl, e Giovanni Lelli, direttore generale dell’Enea. E nella B di Draghi anche Ezio Bussoletti, consulente del ministero dell’Ambiente, e Alberto Francesconi, presidente dell’Agis. Invece con Vigevano e De Gennaro studiò fino al II liceo Pippo Pepe, capo ufficio stampa del ministero delle Comunicazioni. Nella maturità 1966, Vigevano-De Gennaro, appare anche il nome di Antonio Mennini, ora monsignore e rappresentante della Santa Sede a Mosca. E le donne? Domanda non da poco, in un liceo allora rigorosamente maschile. Magalli: «Le donne? Ovviamente non si parlava d’altro. Ma purtroppo ci si limitava a quello e non si passava, ahimè, all’atto pratico. Erano tempi durissimi, da quel punto di vista» (Paolo Conti, Corriere della Sera, 2005). • In un’intervista a Radio Vaticana, anni dopo, Draghi spiegò così il cuore dell’educazione gesuita: «Far capire che tutti noi, al di là di quanto potessimo apprendere come scolari, nella vita avevamo un compito che poi il futuro, la fede, la ragione ci avrebbero rivelato». • Dopo il liceo si iscrivee alla Sapienza, facoltà di Economia. Allievo dell’economista Federico Caffè, si laurea nel 1970 con 110 e lode. «Roma, estate 1971. Fa un caldo opprimente a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia. Nel suo studio il governatore Guido Carli sta ricevendo Franco Modigliani, futuro premio Nobel e già allora l’economista più influente in Italia dal suo osservatorio al Massachusetts Institute of Technology. Fuori dalla porta un giovane laureato della Sapienza parlotta con lo staff del Governatore. È Mario Draghi: vuole parlare con Modigliani, che non ha mai incontrato prima. Il personale della Banca d’Italia prova a dissuaderlo, ma Draghi abborda il professore di Boston all’uscita dello studio di Carli; e senza giri di parole gli chiede di ammetterlo ai corsi di dottorato del Mit. Non solo le scadenze per l’iscrizione erano passate da un pezzo, ricorda Serena Modigliani, “ma Mario non aveva neanche i soldi della borsa di studio”. La prima risposta dell’economista fuggito dall’Italia durante il fascismo fu secca: “Non hai nessuna speranza”. O meglio: “Nessuna, a meno che non riusciamo a cambiare la stupida legge”, quella che impediva di utilizzare borse di studio italiane all’estero. Ci riuscirono. E già quell’insistenza di Draghi, racconta la moglie del premio Nobel dalla sua casa nel Massachusetts, fu il primo segno della sua determinazione ad andare avanti malgrado le difficoltà familiari» (Federico Fubini). Discute la tesi di dottorato nel 1977 con la supervisione dello stesso Modigliani e dell’economista Robert Solow. Poi, per tutti gli anni Ottanta e Novanta, ricopre vari incarichi accademici a Firenze, Princeton, Harvard. • A Caffè aveva promesso che non avrebbe mai fatto altro che il professore universitario. Ma appena due anni dopo aver ottenuto la cattedra di Economia internazionale a Firenze, nel 1983 diventa consigliere di Giovanni Goria, ministro del Tesoro nel governo Craxi. Poco dopo, il balzo internazionale: direttore esecutivo della Banca Mondiale a Washington a 37 anni (dal 1984 al 90), presidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione europea. Il curriculum italiano, prima di ottenere il timone a via Nazionale, si sostanzia soprattutto nella direzione generale al ministero del Tesoro (1991-2001): dieci anni «drammatici» ma anche «indimenticabili», li definì poi. Chiamato da Guido Carli, ministro del Tesoro di Andreotti, su suggerimento di Ciampi (allora governatore), confermato da tutti i governi successivi (Amato I, Ciampi, Berlusconi I, Dini, Prodi I, D’Alema I e II, Amato II, Berlusconi II), fu prima di tutto l’uomo delle privatizzazioni (ne presiedette il Comitato fino al 2003). • «Istinto politico allo stato puro: roba che forse s’insegna da duemila anni in riva al Tevere. Non certo al Mit di Boston» (Fubini) • In silenzio, senza fare dichiarazioni o rilasciare interviste, piazza sul mercato Iri, Telecom, Eni, Enel, Comit, Credit e decine di altre aziende possedute o partecipate dallo Stato. Licenziando i vecchi boiardi, fa infuriare gli statalisti più accesi. Nel 1992, prima di dare inizio alla vendita delle società pubbliche, incontra sul panfilo «Britannia» della regina Elisabetta un gruppo di banchieri anglosassoni, fatto che scatenò una ridda di voci, secondo le quali Draghi non è altro che l’uomo assai ben pagato dei poteri forti internazionali per svendere il patrimonio italiano.• «Draghi si limitò a introdurre i lavori del seminario con una relazione sulle intenzioni del governo italiano e scese a terra prima che la nave salpasse per l’Argentario. La crociera fu breve e pittoresca, con una orchestrina della Royal Navy che suonava canzoni nostalgiche degli anni Trenta e un lancio di paracadutisti da aerei britannici che si staccarono in volo da un incrociatore e scesero come stelle filanti intorno al panfilo di Sua Maestà. Fu anche utile? È difficile fare i conti. Ma non c’è privatizzazione italiana degli anni seguenti in cui la finanza anglo-americana non abbia svolto un ruolo importante» (Sergio Romano). • Ancora nel gennaio 2008, intervenendo a Unomattina, Francesco Cossiga lo bollò come «vile affarista», parlò di «svendita dell’industria pubblica» e respinse l’ipotesi di vederlo a capo del governo dopo la caduta di Prodi perché a suo dire avrebbe venduto tutto agli amici americani. I risultati delle privatizzazioni non sembrano però quelli di una svendita: i 182 mila miliardi di lire incassati fecero scendere il debito pubblico dal 125 per cento sul Pil del 1991 al 115 del 2001 (meglio, solo le privatizzazioni inglesi). È quindi alla guida della commissione governativa che scrisse la nuova legge sul diritto societario (chi sale al 30 per cento deve lanciare un’Opa totale ecc.), che si chiama, appunto, «legge Draghi». • È uno dei «Ciampi boys» e viene incaricato di fare il giro delle capitali europee per convincere i nostri partner che l’Italia era affidabile e poteva essere ammessa nell’area euro. • Tra le sue imprese meno note, la ristrutturazione del debito italiano: avendo capito che, con l’inflazione in picchiata, sarebbe finita l’abitudine italiana di mettere tutti i risparmi in Bot, vuole passare al capitalismo popolare dei fondi d’investimento e dei prodotti finanziari complessi. Nel 1991 il 70 per cento del debito statale è a tasso variabile e a breve termine (i Bot, appunto), nel 2001, quando Draghi lasciò il ministero, il 70 per cento del debito è a tasso fisso (quindi meno pericoloso) e a medio-lungo termine. Il declino dei Bot spinge gli italiani ad assaggiare quel che offriva il mercato propriamente detto: azioni, obbligazioni, bond. Per questo il fronte degli oppositori di Draghi (Bertinotti, Cirino Pomicino ecc.) gli imputa parte dei danni subiti dai risparmiatori a causa dei crack Cirio e Parmalat. • Nel 2002, Draghi passa al settore privato e viene assunto dalla banca d’affari Goldman Sachs per guidarne le strategie internazionali dalla sede di Londra. «Un’esperienza che oggi potrebbe remare contro di lui» (Wsj) • Il 29 dicembre 2005 diventa governatore della Banca d’Italia (il nono), nominato subito dopo lo scandalo Bancopoli che aveva costretto alle dimissioni Antonio Fazio. I suoi predecessori restavano in carica a vita ma, per via dello scandalo, il suo mandato viene ridotto a sei anni rinnovabili una sola volta • Dopo la nomina a via Nazionale vende le sue azioni Goldman Sachs e affida il ricavato a un blind trust, un fondo di cui non controlla la gestione. Fa confluire gli immobili di proprietà della famiglia nella società senza fini di lucro «Serena» (atto costitutivo del 17 novembre 2007, ne è socio amministratore con la moglie, le quote sono equamente suddivise, ma in nuda proprietà, tra i due figli). • «In Goldman Sachs guadagnava 10 milioni di euro l’anno, in Banca d’Italia pretende che il suo stipendio si allinei a quello degli altri governatori europei: 350 mila euro l’anno contro i 622.347 percepiti da Fazio. Anche se poi è salito a 450 mila, mentre “il francese Noyer non supera i 142 mila e il tedesco Weber raggiunge appena i 101 mila” (Claudia Marin). • «La nomina di Mario Draghi a governatore è uno schiaffo alla Banca d’Italia. Questa scelta mortifica le professionalità interne all’istituto che vanta curricula e profili eccellenti» (Antonio Fazio). • La mattina del 30 dicembre il nuovo governatore si presenta al Quirinale per salutare il Presidente. Il fatto eccezionale avviene dopo: Draghi va a piedi dal Quirinale alla Banca d’Italia. Sono un centinaio di metri, ma non esiste uomo pubblico in Italia che non li avrebbe percorsi con auto blu, scorta e sirene spiegate. • Rinuncia all’assenso preventivo e vincolante della Banca d’Italia per le acquisizioni bancarie, e rende possibili fusioni bancarie di rilievo storico (Unicredit con Capitalia, Intesa con SanPaolo Imi, Banca Popolare di Verona e Novara con il gruppo Popolare di Lodi, Banche Popolari Unite con Banca Lombarda ecc.). • «La politica di movimento, auspicata dal governatore Mario Draghi, sembra soddisfare il patriottismo economico assai più della difesa statica del precedente inquilino di palazzo Koch» (Massimo Mucchetti). • «Rovescia totalmente, e in poche ore, l’impostazione di Fazio. Non solo dichiarò pubblicamente che non sarebbe mai intervenuto per influenzare operazioni di mercato, neanche nei casi in cui la legge glielo consentiva, ma precisò anche che se uno straniero si fosse voluto comprare una banca italiana lui lo avrebbe lasciato fare. Aggiunse: proprio per questo, invito le banche italiane a far accordi e a fondersi o ad aggregarsi comunque in qualche modo. Le banche italiane sono tutte troppo piccole, e i ricchi istituti stranieri, se non si sbrigano, ne faranno un sol boccone. Dopo diciassette mesi da quel discorso ci sono state molte aggregazioni anche di piccolo calibro e due operazioni enormi: la fusione tra Banca Intesa e San Paolo e quella tra Unicredit e Capitalia. Quello che è istruttivo è questo: col suo atteggiamento liberale, Draghi ha di fatto impedito agli stranieri di entrare. Col suo atteggiamento di chiusura, invece, Fazio alla fine ha consegnato la Banca Antonveneta agli olandesi e la Banca Nazionale del Lavoro ai francesi» (Giorgio Dell’Arti) • Contemporaneamente si batte per la revisione delle regole sui rapporti tra banche e imprese. «In ballo c’è l’innalzamento dei limiti sia alle partecipazioni che le banche possono detenere in gruppi industriali sia alle partecipazioni nelle banche da parte di soggetti non finanziari» (Il Foglio). • Nel 2006 diventa presidente del Financial Stability Forum, un organismo internazionale con sede a Basilea cui partecipano i governi e le banche centrali dei Paesi del G20, più i rappresentanti della Commissione Europea e della Spagna. • Tra il 2006 e il 2007 scoppia la crisi dei mutui sub-prime: Draghi prepara un rapporto sulle sue cause e, nell’aprile del 2007, presenta al G7 di Washington un piano per migliorare la trasparenza dei mercati finanziari mondiali, «un piano d’emergenza, quasi un’armatura tecnica fatta di regole di trasparenza, iniezioni di liquidità, rating e policy varie che mira soprattutto a rafforzare il sistema e ad evitare che episodi del genere si ripetano in futuro» (Elena Polidori). In pratica, erano 65 raccomandazioni alle banche e alle autorità di controllo da attuarsi in cento giorni. Giulio Tremonti è molto freddo: «Un’aspirina per una malattia grave». • «Due protagonisti, Draghi e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che hanno costruito la loro immagine con certosina sapienza e prudenza. In un duello a distanza che è riuscito in una miracolosa impresa, anzi in due. Quella di tenerli lontani da qualsiasi schizzo di fango proveniente dalle cronache politiche d’oggi, sfruttando con abilità silenzi istituzionali quanto mai opportuni. E quella, forse ancor più difficile, di ingaggiare una tenzone cultural-diplomatica che dura da anni, ma i cui altalenanti andamenti non li hanno, come capita spesso, immiseriti reciprocamente» (Luigi La Spina, La Stampa, 11/2010) • All’inizio del 2007 gira voce che Napolitano abbia già pronto il nome di Draghi per sostituire Prodi in un governo tecnico di transizione. Ma il governatore avrebbe espresso un sostanziale rifiuto. • In Europa • Nel 2011, il Consiglio dei capi di stato e di governo lo designa come successore del francese Jean-Claude Trichet alla Banca Centrale Europea. La nomina era stata ostacolata dalla Germania e dalla Francia che tolse il veto sul suo nome solo dopo la garanzia che un altro italiano, Lorenzo Bini Smaghi, si sarebbe dimesso dal comitato esecutivo della Bce. «Contro di lui vengono usati tre argomenti: la brava gente tedesca non accetterebbe di buon grado un governatore della Bce col passaporto di un paese dell’Europa meridionale, Debitolandia; ha lavorato a Goldman Sachs e le banche d’affari anglosassoni sono guardate con antipatia nell’Europa “sociale”; infine, un diffuso pregiudizio anti-italiano […] A queste obiezioni si potrebbe replicare punto per punto, citando il rigoroso lavoro di Draghi come leader globale al Financial Stability Board, la sua azione contro la cultura del debito che svende il futuro, e perfino l’aplomb riservato, che non lascia prevedere davvero nulla di meno che impeccabile a Francoforte» (Gianni Riotta, 2/2011). Ad ogni modo lui, «in pochi mesi, grazie a una studiata teoria di dichiarazioni,  riuscì a convincere anche i “falchi” dell’opinione pubblica tedesca di conoscere bene l’importanza, nell’affrontare la crisi, di politiche economiche improntate al rigore: addirittura, Herr Draghi appare “così tedesco” da meritarsi l’elmetto prussiano in testa, come l’ha disegnato il tabloid Bild, rimangiandosi gli attacchi sferrati soltanto due mesi prima all’inquilino di Palazzo Koch» • Il 14 giugno, nella sua ultima audizione da candidato dinanzi alla Commissione economica del Parlamento Europeo, si schiera convintamente a favore del salvataggio della Grecia, abbracciando così la linea sostanzialmente avversata dalla Germania. «Rilassato e convincente, il candidato ha affrontato quasi tre ore di interrogatorio da parte dei parlamentari e si è permesso anche di scherzare sulla sua presunta germanizzazione: “Fino a qualche mese fa i giornali tedeschi mi dipingevano con la pizza o gli spaghetti. Adesso dicono che mi sono germanizzato. In realtà ripeto adesso le stesse cose che ho detto per tutta la mia vita. Sono italiano. E proprio per questo, avendo vissuto gli anni dell’inflazione a due cifre e quelli dei conti pubblici fuori controllo, ho imparato sulla mia pelle il valore della stabilità dei prezzi e della disciplina di bilancio”». • Il 24 giugno Draghi riceve finalmente la nomina ufficiale. Governatore La crisi finanziaria americana, in Europa, si è mutata in crisi del debito. Sui titoli di stato dei Paesi del sud è in atto una speculazione finanziaria fortissima: è la famosa crisi dello «spread». Uno dei primi atti di Draghi, il 5 agosto 2011, è firmare, assieme al governatore uscente Trichet, le due famose lettere indirizzate ai governi di Spagna e Italia: in esse la Bce subordinava l’acquisto dei titoli di Stato all’approvazione di alcune riforme economiche. Nella lettera indirizzata al governo italiano, in particolare, «si sollecitavano privatizzazione dei servizi pubblici locali e liberalizzazione dei servizi professionali, riforma del mercato del lavoro, nuove forme di contrattazione salariale collettiva, drastica riduzione della spesa pubblica, anticipazione di un anno del deficit di bilancio, controlli finanziari più stretti sulle spese di regioni, province e comuni, riduzione degli stipendi pubblici, riforma delle pensioni pubbliche e private. Tutte misure da adottare nell’immediato con decreto legge e da ratificare con voto parlamentare entro la fine di settembre» (Alessandro Campi e Leonardo Varasano, Il Foglio, 1/2013). I due governi accettano, e l’acquisto di Btp italiani e Bonos spagnoli da parte della Bce fa rapidamente abbassare il differenziale (o «spread») degli interessi che essi pagavano rispetto ai Bund tedeschi, impennatosi nelle settimane precedenti, consentendo così ai due Paesi di riprendere temporaneamente fiato. • Ma la crisi non accenna a placarsi: nelle istituzioni comunitarie i falchi sono fortissimamente ostili all’acquisto dei titoli dei Paesi in difficoltà. E allora, il 26 agosto 2012 a Londra, alla vigilia della cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi, Draghi tiene il discorso che lo farà passare alla storia: «Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto il necessario a preservare l’euro. E credetemi: sarà abbastanza». La soluzione del problema degli spread «rientra nel mandato della Bce, nella misura in cui il livello di questi premi di rischio impedisce la giusta trasmissione delle decisioni di politica monetaria». Poi fa una metafora storica, quella del calabrone. Nei Paesi anglosassoni c’è un detto sul calabrone (o bombo), un insetto dal corpo tozzo e massiccio a tal punto che sembra impossibile che riesca a volare. «Anni fa – dice Draghi - alcuni dicevano che l’euro fosse un bombo che riusciva a volare senza che si sapesse bene come. Per molti anni l’euro lo è stato. Ma ora è venuto il momento di evolversi: l’euro deve diventare una vera ape». Le parole di Draghi sono subito riprese sia dal presidente francese François Hollande sia dal cancelliere tedesco Angela Merkel, che si dicono anch’essi «pronti a tutto» per salvare l’euro e contribuiscono a rafforzarne la credibilità. Pochi giorni dopo, quindi, ratificando quanto annunciato da Draghi, il Consiglio direttivo della Bce approva «una decisione storica, passando anche sopra l’opposizione di una Bundesbank che aveva rivendicato, per sé, quasi una sorta di diritto di veto: sancire il principio che la Bce può intervenire, anche massicciamente, sui mercati per difendere le quotazioni dei titoli pubblici, limare, alle dimensioni volute, gli spread, assicurare la sostenibilità dei bilanci» (Maurizio Ricci, la Repubblica, 8/2012). • Il discorso di Londra segna di fatto uno spartiacque nella crisi finanziaria europea: finalmente rassicurati circa la tenuta dell’euro, nelle settimane e nei mesi successivi i mercati andarono progressivamente rasserenandosi. • «Da quel momento sono successe solo cose positive per Eurolandia: il nuovo fondo salva-Stati ha emesso con successo i suoi primi bond targati AAA, l’Italia ha recuperato stabilità e affidabilità, la Spagna ha cominciato ordinatamente a gestire i fondi di emergenza per le banche, perfino la Grecia si è riaffacciata sui mercati dopo sette anni» (Eugenio Occorsio, la Repubblica) • Il 6 settembre, al termine del Consiglio direttivo della Bce, Draghi precisa i termini del suo piano anti-spread, definito «Outright monetary transactions» (Omt), cioè «Operazioni monetarie dirette», e giornalisticamente ribattezzato «scudo anti-spread», «firewall» o «bazooka». «Il piano, approvato dal Consiglio della Bce con la sola voce contraria del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, prevede l’acquisto sul mercato secondario di titoli del debito pubblico dei Paesi dell’Eurozona con vita residua da 1 a 3 anni. La Bce non ha fissato in anticipo alcun limite quantitativo, il che non è proprio lo stesso che dire che le operazioni saranno illimitate, ma dà ai mercati il segnale che l’istituto di Francoforte è pronto a dare agli interventi “dimensioni adeguate” al raggiungimento dell’obiettivo, come ha sottolineato Draghi. Lo stesso presidente della Bce ha però ammesso che l’Eurotower può creare solo “una delle due gambe” per portare in salvo l’euro. L’altra metà del compito spetta ai governi: gli acquisti di titoli saranno sottoposti a una stretta condizionalità, per evitare che all’intervento della Bce corrisponda, come è avvenuto nel caso dell’Italia nell’estate 2011, un allentamento dell’impegno al risanamento di bilancio e alle riforme strutturali» (Merli, Sole 24 Ore, 9/2012) • Nei mesi seguenti, Draghi difende il suo operato al Bundestag di Berlino. • Il 15 gennaio 2013, in vista della scadenza del mandato di Napolitano, Silvio Berlusconi lo candida di propria iniziativa alla presidenza della Repubblica, definendolo «un presidio importante per l’Italia». L’interessato declina l’offerta, facendo sapere che avrebbe regolarmente terminato il suo mandato alla Bce «il 31 ottobre 2019». Berlusconi e Draghi, si dice, sono da sempre in buoni rapporti, malgrado una critica di quest’ultimo alla finanziaria del Cavaliere nel 2008. • A gennaio 2015, Draghi lancia il quantitative easing, operando per la prima volta una politica monetaria estremamente espansiva nella zona euro. • «La Bce comprerà titoli per 60 miliardi al mese fino a fine settembre 2016, e “comunque fino a quando non vedremo un deciso miglioramento nell’andamento dell’ inflazione” coerente con l’obiettivo di un andamento dei prezzi vicino al 2%. È quanto ha detto Mario Draghi lanciando il ‘quantitative easing’. E dopo l’annuncio lo spread tra il Btp e il Bund tedesco chiude sui minimi dal 2010. Il differenziale di rendimento scende a 110 punti base col tasso sul titolo decennale al nuovo minimo storico dell’1,54%» (Ansa) • Il Financial Times gli attribuisce il titolo di «uomo dell’anno»: «È il vero salvatore dell’euro e dell’Unione europea». L’Assemblea Nazionale francese quello di «Europeo dell’anno». Vita privata e personalità • Lo hanno definito «cortese e affilato» (Marcello Veneziani), «algido, etico, atermico» (Alberto Statera) e anche «un banchiere centrale con un cervello da fisico nucleare e lo sguardo di un papa medievale» (David Marsh, Il Foglio, 2012). • «Quando sorride, Draghi è enigmatico come il gatto del Cheshire in Alice nel Paese delle meraviglie» (Cingolani, Panorama, 12/2012).• È sposato con Maria Serenella Cappello, esperta di letteratura inglese discendente della Bianca Cappello che fu sposa di Francesco de’ Medici (XVI secolo). Ha due figli: Federica, biologa con master in business a New York, dirigente di una multinazionale delle biotecnologie; Giacomo, laureato alla Bocconi con Francesco Giavazzi e poi trader in Morgan Stanley • Giudizi • «Non c’è dubbio che Draghi resterà negli annali come un innovatore che ha trasformato la Bce: da notaio che regola la quantità di moneta a soggetto attivo del mercato» (Cingolani). «Quando è entrato in carica a novembre 2011 il predecessore Jean-Claude Trichet aveva aumentato i tassi di due volte in quattro mesi benché ci fossero tutti i segnali di una nuova e più grave recessione non più made in Usa ma in Europa. Trichet era recidivo: a luglio 2008, a due mesi dal crack Lehman Brothers, aumentò i tassi al 4,25 per cento, il massimo da sei anni. Naturalmente il banchiere francese non agiva da solo ma con l’appoggio di un’Eurotower nella quale il peso dei rigoristi era schiacciante: per dare un’idea del clima ad aprile 2011 Axel Weber si dimise dalla presidenza della Bundesbank e dal board Bce accusando platealmente Angela Merkel di lassismo verso il sud Europa. Dopodiché Draghi non solo ha operato otto tagli dei tassi ma ha gradatamente portato sulla linea di agevolare l’economia reale (e prima i bilanci degli stati) tutti i colleghi europei, falchi e colombe, come testimonia oggi l’unanimità anche sul terzo piano biennale di finanziamento alle banche (Tltro), nonché sulla cosiddetta “forward guidance”, la definizione di linee guida non mutevoli a seconda dell’immediata contingenza economica». (Il Foglio, 3/2019) • «Il vero miracolo l’ha fatto riuscendo a mobilitare la Bce e convincendo la Germania a seguirlo, senza rompere. Ed è grazie a lui che la costruzione europea si è rimessa in carreggiata. Draghi è fatto per questo genere di scenari, problematiche e soluzioni”» (Corrado Passera a Sergio Luciano, su Panorama)  Curiosità In un’intervista a L’Espresso si è definito «un liberal-socialista, né di destra, né di sinistra». • «Quando è a Roma, nel week-end gira in macchina con la moglie Serena alla guida. Se c´è il sole, passeggia a villa Borghese con il cane, un bracco ungherese. Ai Parioli, il suo quartiere, fa la spesa al mercato rionale scegliendo con cura cicoria e melanzane, le verdure preferite. Capita pure di vederlo in fila dal macellaio gourmet per acquistare il maiale, che sa cucinare come nessuno. È un salutista: non fuma, beve al massimo un bicchiere di vino rosso al giorno e va in palestra. Di tanto in tanto per mantenersi in forma, mangia le "barrette" come pasto sostitutivo. Ora che è da poco nonno, appena gli impegni glielo consentono, corre dalla nipotina: dicono che se ne stia sdraiato sul pavimento a giocare con lei per ore. Anche all´estero preferisce uno stile sobrio: gira in taxi, sceglie hotel non di lusso, va da solo al ristorante, così nessuno lo disturba e si sbriga prima» (Polidori, la Repubblica, 5/2011) • «Anni fa, quando lavorava in Italia, Draghi mi confessò che, dopo una giornata infernale, si rilassava guardando alla tv Striscia la notizia (Mazzucca, Il Sole 24 Ore, 2019). • Passione per il teatro classico: al Teatro Greco di Siracusa «ho visto con i miei occhi Mario Draghi, il Governatore della Banca d’Italia, restarsene in camicia bianca sotto il sole, in fila al botteghino, senza accampare privilegi, in attesa di prendere posto tra le pietre» (Pietrangelo Buttafuoco, 2009) • «Non usa il cappotto. È un’abitudine che hanno gli studenti di Harvard: anche sotto la neve, solo con la sciarpa, forse a sottolineare la loro superiorità da futuri padroni del mondo. Anni fa il suocero gli regalò un soprabito. Per non fargli dispiacere se lo portò appresso piegato sul braccio. Ma, sublimemente eroico, non lo ha mai infilato» (Denise Pardo). • «L’unica trasgressione, se così si può dire, sarebbe una certa debolezza per i giochi dei telefonini, specie in aereo» (Polidori, la Repubblica) • Tifa Roma • «I giornalisti vogliono notizie su di me? E che devono fare, il coccodrillo?».