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 2019  settembre 02 Lunedì calendario

Intervista a Yuri Bashmet

«Prosit maestro!». L’incontro con Yuri Bashmet, tra i musicisti russi più famosi nel mondo, avviene in quel di Conegliano, nella provincia veneta di Treviso. Là dove il violista e direttore d’orchestra sessantaseienne ha riproposto in questi giorni – come direttore artistico e alla testa dei Solisti di Mosca – una delle «sue» creature: ovvero il festival «Sulle vie del Prosecco». 
Un evento tra note e fiumi di vino, nato e coltivato dalle amministrazioni locali di Conegliano, Vittorio Veneto e Pieve di Soligo e da sponsor come il Consorzio del Prosecco Doc. Tutto in un territorio, le colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, ora diventato «Patrimonio dell’Umanità». «Sono solo felice – commenta Bashmet, mettendoci poi un pizzico di ironia -. Il fatto di aver ricevuto la cittadinanza onoraria di Conegliano l’anno scorso fa sì che anch’io in qualche maniera sia diventato patrimonio dell’Unesco».
Maestro Bashmet, a quanto pare lei è un fan del Prosecco...
«(ride divertito, ndr). È una bevanda divina. Ti dà buon umore, berlo fa bene all’anima e si riflette nella musica».
Tanto da spingerla a fondare un festival dedicato?
«A me faceva piacere venire a Conegliano, alle sorgenti della mia passione. Una zona che mi ha fatto conoscere il mio collaboratore Alessio Pianca. E alla fine ho deciso di unire il vino all’arte».
E ha creato un «salotto» estivo di star... 
«In effetti al festival sono passati amici e colleghi come il pianista Trifonov e i violinisti Vengerov e Repin, solo per dirne alcuni».
Dopo i concerti che cosa succede?
«Belle serate, cene con degustazioni. Non ricordo se abbiamo cantato, ma abbiamo bevuto molto».
L’utile e il dilettevole, appunto.
«Di festival ne ho fondati 17. Dove ci sono persone interessate c’è sempre la possibilità di fare cose nuove. E io ho sempre idee, anche se al momento nessun progetto. Ora mi interessa coltivare e far funzionare tutto ciò che ho creato e avviato. Come Elba Isola Musicale d’Europa (in corso fino al 9 settembre; ndr)».
La sua è una vera passione per il Belpaese.
«Ogni volta non vedo l’ora di venire dalle vostre parti. Di questo vostro Paese mi piacciono vie, strade e piazze, queste città diverse, con le loro storie».
Si spieghi meglio...
«Penso che l’Italia sia un grande e bellissimo museo. Gli italiani a volte non capiscono sino in fondo l’importanza di viverci dentro».
A proposito, gli italiani come li vede?
«Sono persone musicali. Ho insegnato all’Accademia Chigiana di Siena e lo so: in qualsiasi studente italiano si riconosce subito il talento. I ragazzi hanno ereditato una cultura antica». 
In Russia la pensano tutti così?
«A me sembra che qualsiasi italiano venga rappresentato in questo modo, anche nel più remoto angolo della Siberia. Lo si immagina come una persona molto aperta, disposta a dare».
Poi?
«Lo sappiamo: da voi c’è stato Leonardo, la pittura, l’opera. C’è il vino. Da noi c’è una passione, una conoscenza anche grazie alla filmografia. Tutti sanno chi sono Fellini, Mastroianni e Sophia Loren».
In molti parlano di somiglianza tra i caratteri russo e italiano, nonostante la «russkaja dushà», l’anima russa, sia solo vostra.
«Sicuramente una somiglianza c’è, penso prima di tutto all’accoglienza e all’apertura verso gli altri. Personalmente ricordo quando ricevetti l’onorificenza di Commendatore della Repubblica italiana, fu molto piacevole. E come ovvio, quando mi diedero l’onorificenza, la giornata finì al ristorante coi professori dell’Accademia Chigiana».
Tutto molto italiano.
«Non solo. In Russia se ti danno un riconoscimento, una medaglia, c’è la tradizione di immergerla in un bicchiere di vodka e poi di bere. In quel locale italiano non sarebbe stato corretto usare la vodka, così si decise per il vino».
Sembra di capire che lei sia un «cosacco» flessibile...
«Già, sono nato nella terra dei cosacchi, a Rostov sul Don; una città grande e importante, una specie di frontiera superata la quale si arriva nel Caucaso. La mia famiglia quando ero piccolo si è trasferita a Leopoli, in Ucraina».
Che cosa ricorda di quel periodo, della sua infanzia a Rostov?
«Quando ci siamo trasferiti avevo solo 5 anni, ricordo poco. Mi sono rimasti impressi i cori portati dal vento, i canti che arrivavano dall’altra parte del fiume Don».
Saranno stati gli anni in cui ha scoperto il suo talento...
«A casa mia si sentiva molta musica, ma i miei non erano musicisti. Mia madre Maya lavorava al Conservatorio, si occupava dell’organizzazione della scuola, ed era filologa di formazione. Mio padre Abram non era dell’ambiente, ma era un appassionato».
Che lavoro faceva?
«Era ingegnere elettronico, vice direttore in un istituto. Si occupava soprattutto di impianti per le segnalazioni ferroviarie».
Settore lontano dalla musica.
«Gli piaceva cantare, aveva una bella voce. È stato lui a regalarmi il piano, dicendomi che dovevo imparare a suonare per accompagnarlo. Così ho cominciato».
E nell’Urss, con Breznev al governo, come si stava?
«Avevamo la percezione di un Paese solido. Certo, tutti quanti avevano un po’ paura perché il sistema era costruito in una certa maniera. Ma per chi aveva un lavoro e sapeva fare il proprio mestiere, non era tanto importante che ci fosse Breznev o un altro. Per il cittadino medio non c’erano problemi, difficilmente capitavano sorprese».
Il senso di sicurezza garantito dal sistema, che è poi venuto meno con la caduta dell’Urss.
«Ricchi non ce n’erano, il tenore di vita era più livellato, c’era l’assistenza medica per tutti».
Oggi è cambiata ogni cosa.
«Tra ieri e oggi non si possono fare dei confronti. Ogni tempo ha le sue caratteristiche. Quando il sistema sovietico è finito ci sono state cose positive. Ma in tutte le svolte ci sono sia i pro sia i contro».
La Perestrojka, la caduta del muro...
«Gorbaciov l’ho conosciuto dopo Eltsin. In quel periodo quando andavo all’estero per suonare avevo l’impressione di arrivare da un Paese debole. Ma nel tempo le cose sono cambiate, soprattutto con l’arrivo di Putin». 
Cosa pensa della Russia contemporanea?
«Anche da noi ci sono visioni diverse, ci sono proteste come da voi se penso ai gilet gialli in Francia. C’è uno Stato forte e la cultura, la musica restano al di fuori della mischia».
Le grandi tradizioni russe, però, resistono...
«La grande tradizione degli archi, violinistica. Questa è una tradizione grande pure in Italia, il Paese di Paganini. Da noi, diciamo, non c’erano tante possibilità di distrazioni, molte energie venivano indirizzate verso lo studio».
Una curiosità, visto che si parla di archi: perché ha scelto la viola?
«Ai tempi non mi interessava tanto che fosse il violino oppure la viola. Suonavo la chitarra, mi piacevano i Beatles, mi bastava quello. All’inizio frequentavo la classe di violino. Prendevo volti alti ed ero contento anche perché faceva piacere a mia mamma. Poi è arrivata la viola; è stata lei a scegliere me». 
Da ragazzo magari avrebbe voluto fare anche altro...
«Volevo diventare famoso. Un giorno ho sognato che a Leopoli stavo sulla mia auto, una Volga, indossavo una camicia bianca e mi sentivo una celebrità».
Sogni di gloria, ma non si godeva la gioventù?
«Certamente, nella mia giovinezza c’è stato tutto quello che ci doveva essere, dalle ragazze ai motori».
Le capitava di guardare Oltrecortina?
«Conoscevo i Beatles, i Rolling Stones solo un po’, anche i Pink Floyd, allora Jimi Hendrix non mi piaceva tanto poi con l’età mi sono ricreduto. Ho capito anche l’importanza di una serie di personaggi del jazz, tra i quali Peterson, Brubeck e Petrucciani». 
Avrà cercato modelli, maestri di vita...
«Pensando alle persone che mi hanno influenzato, al centro c’è il mio insegnante Druzhinin; lo ricordo ogni giorno. Poi tante altre persone geniali, tra i musicisti chiaramente Richter e Rostropovich».
Altri incontri importanti? 
«Se vogliamo parlare del mondo non artistico, mi capita di incontrare Putin. Una personalità molto forte, dopo aver passato un po’ di tempo con lui mi trovo sempre pieno di energia e ottimismo».
Putin un appassionato di musica?
«Di sicuro la musica l’ascolta. Suona un po’ il pianoforte. Quando gli ho regalato una mia registrazione di Schubert, l’ha guardata e mi ha chiesto: sbaglio o Schubert in vita non ha mai sentito suonare le sue sinfonie?. Aveva ragione. Le figlie di Putin hanno studiato musica».
Oltre a Putin, si sa che lei ha degli ammiratori importanti.
«L’imperatore attuale del Giappone Naruhito che suona la viola. Poi, oltre a Putin, che io sappia la regina Elisabetta e il principe di Monaco».
La «sfera pubblica» ha anche rischi: cosa pensa delle vicende collegate al cosiddetto «Me Too»? Ultimo il caso Placido Domingo accusato di molestie. 
«Il modo di considerare i rapporti oggi è molto diverso rispetto anche a soli 20 o 30 anni fa. Non so come si siano svolti i fatti, quando penso a Placido Domingo, che è un amico e un uomo di grande fascino e bellezza, oltre che uno dei più grandi artisti, mi viene da pensare che abbia subito un numero spropositato di avances più o meno lecite considerando gli standard attuali».
Lei è sposato...
«Io e mia moglie, Natasha, ci siamo sposati ancora al tempo del Conservatorio. Quando sono arrivati i figli (Xenia e Alexandre) lei ha smesso di suonare il violino e si è dedicata alla famiglia». 
Altri legami importanti?
«Ho degli amici che, indipendentemente dalle situazioni e in ogni caso, rimangono tali. Amici veri, per me è importante».
Che posto dà a una parola come «fede»?
«Sono molto legato alla mia fede, credo in un unico creatore e sono battezzato. Dio si trova dappertutto, la cosa importante è che lui sia dentro di noi».
Quali gli autori più vicini a lei, al suo «sentire»?
«Forse è banale dirlo, Bach prima di tutto, è senza fine. Lo si ritrova in molti altri grandi della musica. È un universo intero. Poi ci sono i miei progetti. Idealmente vorrei registrare tutte le sinfonie di Schubert, Ciakovskij e Shostakovich».
Al di là della musica? Libri e film...
«Amo molto il Maestro e Margherita di Bulgakov, e Tolstoj. Mi piace il cinema di Mikhalkov, che conosco; apprezzo molto il regista Herman». 
Non solo spiritualità, le piace pure la materialità della vita, gli oggetti?
«La mia debolezza sono le macchine, Mercedes la mia marca preferita. Anche la Bentley per quanto non ne abbia guidate molte. Ma appena esce un nuovo modello Mercedes Geländewagen lo compero subito. Quanto alle auto italiane, sono bellissime, ma a Mosca c’è troppa neve per le strade, non vanno bene. Ho alcune macchine d’epoca; una Oldsmobile enorme, una Cadillac del 1972 bianca a due porte con all’interno orologi di Cartier».
Auto insolita, questa...
«Quando ho incontrato la signora Cartier le ho raccontato della macchina con il suo orologio e ho verificato che lei conosceva bene il modello. Poi ho anche una Volga modello 24 che mi è stata donata per un mio compleanno».
E il suo rapporto con le tecnologie? 
«In questo senso sono abbastanza primitivo. In Giappone, non dormivo la notte per via del fuso orario e ho cominciato a studiare il funzionamento del mio computer e del cellulare. Ho suonato anche una composizione musicale di un autore realizzata con un programma di intelligenza artificiale. Mio nipote è molto più in gamba di me».
Magari le interessa di più il mondo dello sport. Lei sa che gli italiani vanno matti per il calcio.
«Io non sono tifoso, ma per la Coppa del Mondo che si è giocata in Russia nel 2018 ho vissuto una tragedia: quando ho saputo che l’Italia non avrebbe partecipato. Ma a dir la verità preferisco l’hockey su ghiaccio».