il Fatto Quotidiano, 2 settembre 2019
Arbitri di calcio, numeri e problemi
Var o non Var, sono tempi duri per le (ex) giacchette (ex) nere. Tradotto letteralmente: “L’Aia ha cambiato lo sponsor tecnico, alla Diadora è subentrata la Legea. Gli arbitri di un certo livello avranno sempre a disposizione quattro divise di altrettanti colori, la massa no: una sola divisa, gialla e a maniche lunghe, da utilizzare in estate e in inverno. Se ‘sbatte’ con quella di una delle due squadre si ricorre ad una casacca, è già successo, che rende complicato perfino estrarre i cartellini, oltre paradossalmente a coprire il logo dello sponsor”.
Due fave con un piccione, insomma, un sottosopra del senso comune. “Esatto. Calcoli che, nelle categorie minori, capita di essere impegnati il sabato e la domenica. Nella mail spedita dall’Aia agli associati, ci sono consigli sul lavaggio e sull’asciugamento veloce della divisa. La soluzione è lasciata alla buona volontà di ogni arbitro che, tirando fuori 80 euro, può sempre acquistare un altro completo”.
Chi parla è Luca Fiorucci, ex arbitro e per anni presidente del comitato regionale umbro, estromesso da una sentenza della commissione disciplinare dell’Aia (ci sono ricorsi in ballo, intanto gli è stata chiesta indietro la tessera). Vuol sfidare Marcello Nicchi alle elezioni del prossimo anno con “Movimentoarbitri2020”: “Sono stato un suo elettore, ma anche negli Usa dopo due mandati torni a casa e lo ha fatto capire lo stesso presidente della Figc, Gravina, in una recente intervista. Marcello ora è al terzo con deroga e sogna – e rischia – il quarto. Mi sembra esagerato”.
Una monarchia elettiva che l’interessato, Nicchi, giustifica così: se una cosa o un dirigente funziona, perché cambiare? Fiorucci scuote la testa: “Nel mondo arbitrale c’è un malessere diffuso che non può rimanere inascoltato”.
Gli arbitri in Italia sono 33 mila, una piramide con in cima i pochi che dirigono in serie A, B e C (lo 0,1%), mentre la base è fatta da quelli che vanno sui campetti delle più sperdute periferie d’Italia, i più a rischio. “E i più dimenticati”, aggiunge Fiorucci.
“Occorre intanto più trasparenza. Ognuno deve poter parlare liberamente, nel dopogara, nelle assemblee, nei social, senza paure. I messaggi di sostegno in privato da parte di associati, che non se la sentono di intervenire pubblicamente, mi fanno male. Il sistema di controllo è oliato, mettere un semplice like su Facebook diventa sospetto. Nel 2019”.
Che l’Aia sia una specie di spectre, onestamente, è difficile da credere. “Ma se qualcuno teme ritorsioni, di per sé non è bello. Trasparenza significa anche rendere pubblici i bilanci dell’associazione, i compensi dei dirigenti. Lei sa quanto prende di rimborso Nicchi?” In un’intervista disse che, da pensionato e volontario, si accontentava di un rimborso di poche centinaia euro al mese, 5-600 all’incirca. “Beh, nessuno lo sa. Fosse quella la cifra sarebbe già grave, per difetto, visto che l’impegno è gravoso e la cifra dovrebbe essere proporzionata, ma perché non renderla pubblica? Per non parlare della trasparenza nelle valutazioni. Il caso Gavillucci insegna. Ogni arbitro, a fine gara, riceve negli spogliatoi la visita dell’osservatore che fa un’analisi della gara. Ma poi l’osservatore se ne va senza comunicare il voto – come invece vorremmo noi – e la segretezza delle valutazioni alimenta una discrezionalità che non giova a nessuno, in vista degli sviluppi di una carriera di un ragazzo piuttosto che di un altro. Così come bisognerebbe mettere fine ai doppi incarichi – fonte di una possibile gestione clientelare – e arrivare finalmente ad una scuola di formazione per dirigenti arbitrali”.
Che ogginon esiste, basta il campo e il solo bagaglio dell’esperienza. Fiorucci: “Vale il discorso calciatori-allenatori, non sempre uno strepitoso arbitro in campo lo è anche dietro la scrivania. Rizzoli e Collina, bravissimi in entrambi i casi, sono eccezioni. Solo a pensare a queste cose si rischia l’accusa di eresia, ma si può? Il sistema arbitrale va aperto a maggiore democrazia, cominciando dal sistema elettorale”.
Già sentita, questa. Vuole anche lei tornare al proporzionale? Fiorucci sorride: “Magari. Mi spiego. Nell’elezione del presidente dell’Aia, i singoli arbitri non hanno alcun potere di voto, votano solo i presidenti di sezione che però non hanno vincolo di mandato. Se la sezione di Campobasso o Trieste si esprime a larga maggioranza a favore di Fiorucci, il presidente di sezione e delegato all’assemblea elettiva, può scegliere liberamente, che so, Nicchi. E per capirci meglio: i presidenti di sezioni sono “nominati” dal presidente nazionale e restano in carica un anno. Le sembra sensato?”
Alla Figc, l’intero sistema arbitrale, costa 54 milioni all’anno. La torta è troppo piccola o troppo grande? “Parliamo dei rami bassi. Finché si rimane nella propria regione un arbitro ha un forfait dai 30 agli 80 euro (noi proponiamo di alzarlo almeno a 50 per tutti), chi va fuori ha una fissa di 47 euro e un rimborso chilometrico, che è pari alla metà delle tabelle Aci: 0,21 centesimi a chilometro. Ridistribuire i rimborsi in maniera equa, sarebbe cosa buona e giusta”.