il Fatto Quotidiano, 2 settembre 2019
Chi schiaccia i risparmiatori italiani
Gli italianisono stati un popolo di formiche, capaci di accumulare collettivamente una ricchezza privata che sino a qualche anno fa non aveva eguali con gli altri Paesi, misurata in rapporto al reddito disponibile. Ora però sul fronte del risparmio l’Italia perde spinta. Uno dei fattori che ha innescato questa frenata è, come spiegato da un recente rapporto pubblicato da Banca Italia e Istat, il ristagno ventennale dei redditi delle famiglie. Ma c’è un’altra causa che spesso passa inosservata: la continua tosatura dei risparmiatori effettuata da banche, società finanziarie, assicurazioni. Un fenomeno individuato già decenni fa dall’economista, Federico Caffè, secondo il quale ۚ«la sovrastruttura finanziario-borsistica favorisce un gioco spregiudicato di tipo predatorio a danno di categorie innumerevoli e sprovvedute di risparmiatori».
Secondo gli ultimi dati, a fine 2017 la ricchezza netta delle famiglie italiane era di 9.743 miliardi di euro, pari a 8,4 volte il reddito disponibile, superiore a quella delle famiglie francesi, inglesi e canadesi. Ma il dato si sta riducendo dopo il massimo raggiunto nel 2013, mentre gli altri Paesi avanzano. Le case restano la principale forma di investimento e valgono 5.246 miliardi. Le attività finanziarie (liquidità, depositi bancari, azioni, obbligazioni, quote di fondi comuni, polizze assicurative) hanno raggiunto 4.374 miliardi, in crescita sul 2016. Il totale dei debiti (mutui e prestiti) era di 926 miliardi, un valore inferiore, in rapporto al reddito, rispetto ad altri Paesi.
Nel 2017 la crescita delle attività finanziarie delle famiglie è stata sostenuta più dall’aumento di valore dei titoli posseduti, pari a una crescita del 2,6%, che dall’accumulazione di nuove attività (+1,1%). Nei patrimoni delle famiglie crescono i depositi bancari (dal 10% al 13% del totale), calano le azioni (dal 12% al 10%) e le obbligazioni (dall’8% al 3%). Negli ultimi anni sono cresciuti il risparmio gestito (quote dei fondi comuni e gestioni patrimoniali) e le polizze finanziarie. Dietro questa trasformazione ci sono decisioni prese dalle banche, che in passato erano i principali emittenti di obbligazioni e che hanno ridotto la raccolta attraverso questi strumenti, poiché oggi gli conviene approvvigionarsi di denaro direttamente dalla Banca centrale europea. Ma ci sono anche i ricavi che banche, società di gestione del risparmio e assicurazioni realizzano sui prodotti venduti ai risparmiatori.
Come rilevato dai dati mensili di Assogestioni, l’associazione che raggruppa le società che vendono fondi comuni di investimento in Italia, al 30 giugno scorso il patrimonio investito nelle quote di questi strumenti è arrivato al record storico di 2.195 miliardi. Ma i risparmiatori spesso non sanno, o non messi in condizione di accorgersi del fatto, che le commissioni sui fondi comuni di investimento venduti in Italia sono superiori alla media europea e che questo maggiore onere finisce per “ammazzare” i rendimenti. Il dato emerge con forza dal primo rapporto annuale sul risparmio gestito in Europa pubblicato a gennaio dall’Esma, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati. Nel decennio 2008-2017, i fondi comuni di investimento azionari venduti ai risparmiatori italiani hanno avuto costi complessivi pari al 37% delle performance lorde, mentre la media europea era del 24%. Un primato condiviso solo con la Spagna e l’Austria. In Europa l’Italia è stata invece primatista incontrastata per i costi dei fondi obbligazionari (33,5% contro una media del 27%). L’Esma ha preso questi dati da analisi condotte dalla Banca d’Italia e dalla Consob, che dimostrano che la tosatura dei risparmiatori avviene attraverso commissioni create in modo da essere più “rapaci” che in altri Paesi e fatte per remunerare le reti di distribuzione. Ai promotori finanziari e alle società di gestione del risparmio va infatti il 70% dei costi considerati. Non solo le commissioni sui fondi comuni non si riducono né con il passare del tempo né con la dimensione dell’investimento del risparmiatore, ma altre analisi condotte dal Centro studi di Tosetti Value, tra i family office più importanti in Europa, dimostrano che la tosatura dei clienti da parte dei fondi comuni avviene esattamente nelle stesse dimensioni e con le stesse modalità sia nelle fasi di mercato rialzista, quando gli investitori guadagnano, sia nelle fasi ribassiste, quando i risparmiatori perdono.
C’è di più: una recente ricerca realizzata da MoneyFarm, società di investimenti online fondata nel 2011, in collaborazione con la Scuola di management del Politecnico di Milano e condotta sulle prime 20 società del settore ha dimostrato che in Italia tre banche su quattro non applicano appieno le regole di trasparenza previste dalla direttiva Mifid2. Si tratta di una norma europea entrata in vigore il 3 gennaio 2018, dopo uno slittamento di un anno, che prevede la tutela degli investitori chiedendo alle società del settore di fornire informazioni sui costi dei servizi di investimento e sui prodotti finanziari chiare e trasparenti, sia prima che dopo il collocamento dei loro prodotto. Ma in Italia queste informazioni sono fornite in modo incompleto e, guardacaso, senza indicare l’impatto dei costi sui rendimenti degli strumenti finanziari: la profezia di Caffè si dimostra ancora valida.