La Stampa, 2 settembre 2019
Morti sul lavoro: 599 morti in 7 mesi
Schiacciato. Come Claudio Holzer, 41 anni, un figlio di uno e mezzo, volontario della Croce Bianca e appassionato di motocicletta.
E’ rimasto sotto alle ruote del suo trattore nelle campagne di Dolcedo, Imperia, lo scorso 7 agosto. Alle sei e mezza del mattino del suo ultimo mercoledì. Travolto. Come è successo tre giorni dopo, nell’acciaieria Arvedi di Cremona a Alessandro Rosi, 45 anni, morto sul colpo mentre con un collega, che è ancora in ospedale, scaricava una trave. Nella stessa azienda qualche mese prima perse la vita Marco Balzarini, 28 anni, investito da un muletto. Folgorato. Come Angelo Baresi, 51 anni, ucciso il 21 agosto da una scarica elettrica da 15mila volt in provincia di Brescia. Precipitato. Così è morto una settimana dopo a San Giuliano Milanese E. S., 40 anni, albanese. Ha fatto un volo di 12 metri, non era imbragato. Stritolato tra due rulli, come è successo venerdì scorso a Davide Misto, 39 anni, operaio all’Orsa di Gorla Minore, Varese. I suoi colleghi ora scioperano. Appena un mese fa, dopo un altro grave infortunio, i sindacati avevano denunciato «lacune organizzative, strumentali, formative su vigilanza e prevenzione». Asfissiato. Tranciato. Incastrato. Questo è il vocabolario violento e puntuale delle morti sul lavoro. Venti vittime solo ad agosto.
Se si vuole fare una media, sono quasi tre croci al giorno. Di lavoro si continua a morire, e quest’anno va anche peggio. Le denunce di infortunio sul lavoro presentate all’Inail tra gennaio e luglio sono state 378.671, di cui 599 con «esito mortale». Conteggiati anche i 167 morti nel tragitto casa-lavoro, sono in aumento del 2 per cento. Aumentano di quasi il 3 per cento anche le patologie di origine professionale, con 38.501 denunce. Nel 2018 le vittime sono state 703, oltre 1.450 se si considerano quelli «in itinere». Più del 10 per cento sul 2017. Quelli dell’Inail sono dati parziali, che da soli non riescono a dare l’idea di quel che accade ogni giorno. Non è nel conteggio dei morti sul lavoro Mario Ferrara, 51 anni, postino in settimana e fattorino nei week end. E’ morto a giugno nel traffico di Bologna, tra una consegna e l’altra. E non ci sta nemmeno Francesco Iennaco, 28 anni. Aveva appena consegnato un pasto per Just Eat a Milano, poi ha perso mezza gamba sotto a un tram. Quello degli incidenti dei cosiddetti «rider» è un bollettino di guerra, che nessuno tiene.
Non hanno tutele contrattuali, né un’assicurazione adeguata. Lega e Cinque Stelle avevano trovato un’intesa all’inizio del mese per rendere obbligatoria per i rider l’assicurazione Inail contro infortuni e malattie. Saltato il governo, chi porta i pasti a domicilio o fa consegne in città su "due ruote" dovrà sperare in una soluzione ai minuti di recupero. O dovrà rassegnarsi, e attendere ancora. Sono esclusi dai numeri dell’Inail carabinieri, poliziotti, vigili del fuoco, volontari della protezione civile, sportivi, giornalisti e personale di volo.
Monitoraggio indipendente
Quanti sono i morti delle forze dell’ordine? Difficile dirlo. Nell’elenco delle «vittime del dovere» tenuto dal Ministro dell’Interno, si tiene conto solo dei casi in cui si ha diritto a un’indennità. Non a tutti cioè viene riconosciuto un risarcimento. E poi ci sono i suicidi.
A febbraio di quest’anno il Ministero dell’Interno ha istituito un osservatorio permanente interforze per monitorare il fenomeno. «Solo nei primi cinque mesi dell’anno ci sono stati ventuno suicidi tra le forze di polizia – ha denunciato Daniele Tissone, segretario generale del Silp Cgil -. Una delle cause dell’aumento dei morti è data dalla sindrome di burnout, determinata anche dai turni pesanti e dall’impegno crescente degli agenti di fronte alle nuove esigenze della sicurezza».
Tissone ha chiesto che siano valutate opportune modifiche al regolamento di disciplina che «è troppo penalizzante per chi, vestendo una divisa, decide di segnalare un proprio disagio». Ecco perché accanto alle statistiche ufficiali negli ultimi anni sono nati alcuni siti web di monitoraggio indipendente. Per le forze dell’ordine c’è Cerchio Blu, una Ong che lavora per garantire un sostegno psicologico. Cadutipoliziadistato.it, pagina gestita da alcuni poliziotti. Poi l’Osservatorio indipendente sui morti sul lavoro di Bologna, nato nel 2008 in memoria dei sette operai arsi vivi alla Thyssenkrupp di Torino. Ma c’è anche un altro numero, incalcolabile, sommerso. Impossibile sapere quanti sono i lavoratori vittime di infortuni, ma senza un contratto regolare.
Lo scorso novembre il cadavere di Vitali Mardari, 28 anni, giaceva in una scarpata nei boschi di Sagron Mis, un piccolo comune trentino al confine con Belluno. A chiamare le forze dell’ordine è stato il titolare di una delle tante aziende boschive della zona. Disse di averlo trovato per caso, di non sapere nemmeno chi fosse. Mentiva. Il boscaiolo era un suo dipendente senza contratto. Insieme ai suoi colleghi stava installando una teleferica per trasportare il legname. Un cavo di acciaio l’ha colpito, fratturandogli il cranio. Così il suo datore di lavoro l’ha caricato in macchina e abbandonato qualche centinaia di metri più in là. A provare che Mardari non era lì per caso, un berretto riconosciuto dai parenti del boscaiolo moldavo e ritrovato nel cantiere. Era quello che indossava la sua ultima mattina.
La norma "salva manager"
«Dei morti sul lavoro si dà notizia con un trafiletto, una pagina nella cronaca locale. Ma di quel che capita dopo, che cosa succede alle famiglia, di chi sono le colpe, si parla poco o niente» commenta Marco Bazzoni, di professione metalmeccanico. Per missione, dà una mano ai parenti di chi non c’è più a districarsi tra trafile burocratiche e vicende giudiziarie difficili da districare. Con ostinazione e perseveranza, prende carta e penna e scrive, a giornalisti e istituzioni. Quando nel 2011 si rese conto che molte delle vittime che conosceva non avrebbero ricevuto giustizia in virtù della norma che venne definita «salva manager», lanciò una petizione.
L’Europa diede il via a una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia. Tra le battaglie che Bazzoni porta avanti da anni, c’è anche quella per eliminare la definizione più odiosa: «morti bianche». Un incidente mortale è bianco, perché non c’è una mano direttamente responsabile. «E invece i responsabili ci sono, e vanno perseguiti e condannati» conclude. Così si continua a morire. Ci sono le carenze, sempre denunciate e mai colmate, dei servizi di ispezione. E i tagli delle risorse destinate alla prevenzione. «Per la prima volta dare lavoro in Italia costerà di meno» ha "cinguettato" l’ormai ex ministro del Lavoro Luigi Di Maio dopo la pubblicazione dei decreti che hanno reso operativo l’aggiornamento delle tariffe sull’assicurazione obbligatoria contro infortuni e malattie professionali. Per finanziarie la revisione delle tariffe Inail, il governo ha attinto anche alle risorse destinate ai piani di investimento per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel triennio 2019-2021 sono state tagliate per 410 milioni. Il provvedimento è stato criticato sia da sindacati e associazioni datoriali, preoccupati «per le ripercussioni negative sugli investimenti nei piani di formazione sulla sicurezza». Nel biennio 2017-2018 l’incidenza di infortuni mortali è massima in agricoltura, costruzioni, industria mineraria, trasporti e magazzinaggio. Si muore soprattutto nel Meridione. Le denunce registrate a luglio dall’Inail registrano una leggera flessione al Nord (con l’eccezione della Lombardia), sono 10 in più dello scorso anno al Centro, 15 in più al Sud da 119 a 134, 12 in più nelle Isole. Muoiono i lavoratori italiani, sempre di più quelli extracomunitari: da 64 a 71. Quando l’economia è in crisi, si muore ancora di più. E’ matematico.
Il ricorso all’outsourcing
Secondo l’Osha, l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, l’uso di più contratti di lavoro precari, la tendenza verso una produzione snella e il ricorso all’outsourcing (cioè l’uso di imprese esterne per svolgere il lavoro) incidono negativamente sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. «I lavoratori con contratti precari tendono a svolgere i lavori più pericolosi a lavorare in condizioni peggiori e a ricevere meno formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro», attesta il report. Il presidente dell’Istat, Massimo De Felice due anni fa presentò l’«algoritmo della sicurezza»: una sorta di bollino blu per le imprese virtuose con un basso indice di infortuni e un alto livello di sicurezza. Una bella idea. Un’infinità di denunce, appelli e propaganda segue la notizia di ogni morte per poi sfumare nel silenzio. Risultati? Pochi, quasi nulli. Si alza la voce, poi si resta in silenzio ad aspettare il prossimo travolto. Precipitato. Investito. Bruciato. Folgorato.