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 2019  settembre 02 Lunedì calendario

Cosa rischia Casaleggio jr

L’ex campione di scacchi sta adesso sotto scacco. E, in queste giornate, si sta giocando la partita della vita, con l’obiettivo di non farsi dare lo scacco matto di un governo giallorosso con Giuseppe Conte nettamente al timone e Luigi Di Maio pesantemente ridimensionato. Già, perché gli avversari dall’altra parte della scacchiera di Davide Casaleggio sono il presidente del Consiglio incaricato e Beppe Grillo (con Roberto Fico). Infatti, le idee sul futuro del partito-movimento, che doveva «aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno» e ora, invece, si situa al centro di una manovra tutta parlamentare di cambio della maggioranza, si sono divaricate. E potrebbero non essere mai più delle convergenze parallele.
Classe 1976, Davide Federico Dante Casaleggio, alla tenera età di 12 anni era un enfant prodige, che si piazzava tra i primi 5 scacchisti under 16 d’Italia. Crescendo, il Jr. si è laureato in economia aziendale all’Università Bocconi con una tesi sull’impatto del web sul settore dei corrieri espresso – una premonizione della sua attività futura – e si è preso poi un master a Londra. Si è anche via via appassionato agli sport estremi, un passatempo impegnativo che condivide con la moglie Paola Gianotti – e, forse, data l’indole e le predilezioni autentiche anche la politica rientra in quell’ambito. Taciturno, beneducato e dai modi gentili, un po’ nerd, con un look sempre manageriale (quando non fa immersioni subacquee e non scala rocce), Davide è innanzitutto un imprenditore, che si è trovato a ereditare dal padre un’azienda e, con essa, un ruolo da azionista di maggioranza del Movimento. Personalità sfingica e impenetrabile, per usare l’ormai famosa formula di Grillo, sarà anche un «Elevato», ma di sicuro non è (mai stato) un eletto. E, nondimeno, influenza moltissimo il destino di una formazione politica nata antisistema e oggi alla vigilia di una possibile istituzionalizzazione, dove le teste si pesano, e non si contano.
Insomma, una situazione di trasmissione dinastica del potere tipicamente Ancien régime, in linea con la tendenza del postmoderno a riesumare alcuni aspetti della premodernità. Come mostra anche quella caratteristica della politica postmoderna che il neopatrimonialismo, che va dal partito-azienda di Silvio Berlusconi della metà degli anni ’90 del Novecento all’azienda-partito della Casaleggio Associati negli anni ’10 del Duemila. L’uno e l’altra sintesi di impresa privata, organizzazione politica leggera, partito-network e forme di comunicazione all’avanguardia nella propria stagione (nel caso del berlusconismo la neotelevisione commerciale, in quello del casaleggismo il web), dove i confini tra la sfera pubblica e gli interessi privati risultano assai fluidi (e a volte poco trasparenti), e le porte parecchio girevoli. 
I geni della politica
Il padre aveva la politica (ancorché in versione new age e distopica) nel sangue, il figlio no. Perciò, la sua scomparsa prematura – avvenuta il 12 aprile del 2016 – ha lasciato il gruppo dirigente pentastellato orfano del suo vero stratega, oltre che creatore, aprendo largamente la strada alla lotta tra le correnti interne. E Davide, per taluni versi impolitico, e molto più pragmatico e business-oriented, si è trovato quasi obbligato a immedesimarsi nel ruolo, orientando le sue predilezioni per l’imprenditoria in una chiave sempre più politica e pubblica. Di qui, la promozione di convegni sull’innovazione digitale, l’e-commerce, le criptovalute e la blockchain, con una funzione a metà tra il lobbying e le pr per la propria azienda e le relazioni istituzionali con vari establishment a beneficio dell’universo pentastellato di orientamento più governista. Le kermesse annuali del «Sum» a Ivrea, per celebrare la memoria paterna, fra passerelle di potenti, esercizi di futurologia (cari, appunto, a Gianroberto) e tentativi di appropriazione – indebita – dell’olivettismo. E, ancora, le teorizzazioni sull’esigenza del superamento di ogni figura di mediatore e l’insofferenza verso le categorie e le associazioni di rappresentanza del mondo produttivo, a riconferma di una visione del mondo di destra e protoleghista, che lo ha portato a sponsorizzare fortemente l’alleanza con Matteo Salvini. 
Non a caso, quella mitologia della disintermediazione che costituisce uno dei fondamenti del discorso pubblico populista, ed è alla base di Rousseau, inusitata sede – a corrente alternata, e a seconda della bisogna – di una parte della legittimità politica e della titolarità decisionale della vita interna all’organizzazione. Il mezzo per attuare la democrazia diretta – che sarebbe meglio chiamare col suo vero nome di ideologia del direttismo democratico –, e per archiviare quella liberale e rappresentativa, spazzando via i «vecchi partiti moribondi», come affermava perentoriamente Casaleggio in un intervento sul Washington Post nel marzo 2018. Ma, soprattutto, e più prosaicamente, la piattaforma di consultazione online e l’omonima Associazione che lo gestisce – per il cui mantenimento ciascun parlamentare grillino è tenuto a versare un obolo mensile (in euro sonanti, e non in bitcoin) – sono il fondamento del potere di Davide Casaleggio sul Movimento. Che adesso si ritrova in minoranza, insieme al suo alleato e "protetto" Luigi Di Maio, ai tavoli dove Grillo è tornato a dare le carte. E lo sta facendo all’insegna di un progetto «Verde Futuro», come ha raccontato su queste pagine Andrea Malaguti, che punta alla nascita del governo grillodem come "nuovo centrosinistra" e contaminazione tra un M5S di sinistra e il Pd, nella prospettiva di un (postmoderno) polo progressista. Un vasto programma, viene da dire, ma la fluidità del sistema politico italiano in transizione permanente non ne esclude affatto la possibilità. Esattamente agli antipodi, quindi, della scommessa che Casaleggio jr. aveva fatto sul governo sovranista gialloverde. E, così, oggi, Davide ha in mano una puntata perdente. Ma fino a che ci sarà Rousseau – e la relativa dottrina del maoismo digitale – non si potrà dire che abbia perso del tutto anche la partita.