Corriere della Sera, 2 settembre 2019
La coppia che salva gli orsi
«I picchi hanno la lingua più lunga del becco, la tengono in un astuccio osseo del cranio e sulla punta vi sono degli uncini con cui agganciano le larve. Le marmotte invece con le zampe scavano le gallerie che portano alle tane dove ci sono stanze di ibernazione e persino i loro cimiteri». Mentre racconta, Bernardo Pedroni fa ampi gesti con le mani accanto a camosci e stambecchi. I bimbi con gli occhi spalancati ascoltano incantati. Pochi passi ed ecco le grotte e i laghetti dove Buya e Medo, maschio e femmina di 15 e 16 anni, provenienti dalla Bulgaria, sono arrivati da meno di un mese. Sequestrati in un circo abusivo e in un allevamento per la caccia, i due esemplari di orso bruno dei Balcani in poche settimane sono diventati l’attrazione principale dell’Osservatorio eco faunistico alpino di Aprica, in Valtellina, nel Parco delle Orobie. L’area di oltre 25 ettari, all’interno della quale si snoda un itinerario didattico, è stata ideata da Pedroni, 53 anni, biologo naturalista, che la dirige insieme alla moglie Luisa Meregalli. Uno spazio protetto dove è possibile avvicinare nel loro ambiente ungulati, rapaci, cince, scoiattoli e soprattutto i bellissimi plantigradi che hanno preso il posto dell’orso Orfeo scomparso nel 2017 dopo dieci anni in questo bosco.
L’osservatorio, inaugurato il 25 luglio 1997, realizzato con finanziamenti della legge Valtellina, è di proprietà del comune di Aprica ed è affidato al suo ideatore, che sta lavorando per costruire strutture simili in tutta Italia. «Ci hanno chiamato dal Trentino, dalla Toscana, dalla Sicilia», racconta il direttore. «Non abbiamo contributi statali per la gestione e quindi portiamo avanti il nostro progetto con gli introiti dei biglietti e grazie alla progettazione di aree naturalistiche». La moglie ha disegnato la cartellonistica ed è lei che cura gli esemplari feriti, anche se per gli orsi sono presenti veterinari specializzati. Poi ci sono le visite guidate: una al giorno, per non disturbare troppo gli animali. «Ci siamo trasferiti qui subito dopo la laurea. Le foto per l’album di nozze sono state scattate all’interno dell’osservatorio, vicino all’isola della Sposa. Mio marito me l’ha dedicata», arrossisce Luisa. Le due figlie sono cresciute nel parco.
«Sono nato a Milano, ma ho origini valtellinesi. Per la mia tesi di laurea che prevedeva l’osservazione del gallo forcello nella stagione degli amori, ho vissuto per quattro mesi da solo in un bivacco a duemila metri di altezza proprio sulle montagne dell’Aprica. È stato in quel momento che ho avuto l’idea di un’area protetta. Mi avevano offerto un dottorato in Svezia, ma ho preferito restare qui e realizzare il mio sogno. Chissà se ho fatto bene», sorride Bernardo, mentre si avvicina alla tana degli orsi. Buya si immerge nel laghetto. «Dove era reclusa in Bulgaria non poteva certo fare il bagno», scuote la testa Pedroni. «Presto lanceremo un concorso per trovargli un nuovo nome. Vogliamo in qualche modo segnare l’inizio della loro nuova vita». Medo esce dalla grotta e strofina la schiena contro un albero, suscitando la meraviglia dei bambini.