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 2019  settembre 02 Lunedì calendario

Il coming out di Marco Bianchi, cuoco salutista e star tv

«Esiste un cerchio della sicurezza che conquisti quando hai messo insieme tutti i tuoi pezzettini di vita: l’acquisto di casa, un lavoro sicuro, il matrimonio, l’arrivo di un figlio... Allora, emerge una forza con la quale puoi buttare giù un muro o, finalmente, ammettere di essere omosessuale. Io ho capito che il Marco Bianchi etero che mi hanno fatto credere di essere non era quello vero». 
Chi e che cosa gliel’aveva fatto credere? 
«Sono stato un bambino e un adolescente cicciottello e chiusissimo e perciò bullizzato, che sentiva la confusione di provare affetto per dei maschietti, ma non erano cose di cui si poteva discutere in una famiglia fortemente cattolica, priva di strumenti, in una periferia di Milano, e che forse sentiva di avere in casa un Marco gay, ma trovava più facile istradarmi in una vita da eterosessuale». 
Marco Bianchi, 41 anni il 22 settembre, una figlia di quattro, sposato dal 2010 con la fidanzata di gioventù, da un po’, aveva sistemato i suoi «pezzettini di vita» alla grande: è un cuoco salutista e comunicatore di successo, food mentor della Fondazione Veronesi, conduttore di programmi come La mia cucina delle emozioni su Food Network o Aiuto stiamo ingrassando su FoxLife, volto della Prova del cuoco su Raiuno, nonché autore di best seller su cibo e benessere. Il nuovo libro, Il gusto della felicità, esce il 5 settembre per HarperCollins ed è il bilancio di una vita in 50 ricette, oltre che l’occasione per dedicare una «rainbow cake», una torta arcobaleno, «a Luca», che è Luca Guidara, «coach dell’ordine» e influencer, l’uomo che l’ha fatto sentire, infine, «completo e totalmente felice». Qui, Marco racconta per la prima volta la sua esperienza, «per mettere a tacere», dice, «commenti poco piacevoli che mi arrivano e far capire tutti possiamo voltare pagina». 
Marco, per quasi vent’anni, è stato legato alla stessa donna. Che storia è stata? 
«Io ci ho creduto davvero. L’ambiente in cui vivi ti condiziona al punto da convincerti di certe cose e io ho vissuto l’amore con Veruska in piena sincerità. Questo credo sia il motivo che, oggi, ci consente di gestire la situazione e di far crescere una figlia con ideali da 2020. Devo tanto a Veruska: mi è stata vicina e ha capito che la mia idea del vero Marco è emersa dopo che sono arrivate le altre certezze, che la mia era una scelta doverosa verso nostra figlia affinché avesse un papà sereno, in grado di trasferirle quello che significa essere felice». 
Qual è il momento della presa di coscienza? 
«Negli ultimi anni, viaggiavo tanto per lavoro e mi trovavo spesso da solo, a pensare. Avevo tutto, ma sentivo che mi mancava qualcosa e non capivo cosa. E c’erano cose che non mi tornavano. Alle presentazioni dei miei libri, per dire, gli apprezzamenti femminili non mi gratificavano. Poi, la nascita di una figlia, a cui devo onestà e verità, mi ha dato lo spunto finale di riflessione». 
Come l’ha detto a sua moglie? 
«Una sera, mentre la bimba dormiva, le ho detto “sono omosessuale, lo sono sempre stato, però solo ora ho capito che sto bene con te ma come amico, perché quello che va oltre, probabilmente, è con un uomo”. Il passaggio successivo è stato sperimentare quello che sentivo. Da lì, è arrivato l’incontro con Luca». 
Veruska, quella sera, come ha reagito? 
«Mi ha abbracciato forte. Era un sogno di vita che si frantumava. È stato un momento in modalità terremoto, come quando hai costruito per anni e tutto, di colpo, viene raso al suolo ed è in polvere. Io mi sentivo in colpa, ma oggi so di aver fatto la scelta giusta». 
Dopo, cos’è successo? 
«Ho passato mesi brutti: non mangiavo, dimagrivo, avevo spasmi allo stomaco e non dormivo la notte. D’accordo con Veruska, ho preso un appartamento dove stare di tanto in tanto. Ho capito che, quando ero a casa, stavo peggio, mi sembrava di far male a qualcuno, di essere una presenza che feriva. Dormire altrove era una prova per capire come respiravo e come stavo, se riuscivo a mangiare e a gestire quella solitudine. Poi, riportavo tutto alla psicologa che mi ha supportato». 
Com’è stato dirlo ai suoi genitori? 
«Forte e liberatorio. La prima reazione di papà è stata: “Troviamo un dottore che ti aiuti”. Sono scoppiato a ridere. Ho detto: “Perfetto, non ci siamo”. E poi: “Questa non è una malattia, è una condizione nella quale, senza volerlo, mi avete portato”. Ho ricordato di quando papà inneggiava a un documento contro l’omosessualità della Congregazione per la dottrina della fede, di mamma che dell’amico gay di mia sorella diceva “poverino”, della vicina di casa che, vedendomi giocare con le bambole, disse che sarei diventato una femminuccia e di mamma che le rispondeva: “Lo fa perché gli piacciono le bambine”. Poi, ai miei ho chiesto: “Cosa potevo capire? Potevo solo pensare che essere omosessuale e molto sensibile fosse la cosa più brutta del mondo”». 
Come l’hanno presa? 
«Papà si è ricreduto, a suo modo. Mi ha detto: “Bene, l’importante è che non stai seguendo una moda”. Mamma è scoppiata a piangere e ha confessato che certe cose le percepiva, ma non sapeva affrontarle. È successo l’anno scorso, Luca era già nella mia vita. Poi, la prima cosa fatta da papà, quando l’ha conosciuto, è stata abbracciarlo». 
Sua figlia cos’ha capito? 
«Ci siamo consultati con il pediatra, le maestre, la psicologa… Poi, le ho raccontato la verità. Le ho spiegato: “Io voglio tanto bene a mamma e sei nata tu, ma ho scoperto che il mio cuore batte più forte con Luca accanto. Prima, batteva forte, ora batte a mille”. Lei è una bimba straordinaria, solare, e l’ha accettato con naturalezza. Dopo un primo incontro finto-casuale con lui, l’ha visto per un gelato, una pizza e, ora, è il “suo” Luca. E, ora, io so che una seconda vita esiste».