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 2019  settembre 02 Lunedì calendario

Biografia dell’arcivescovo Matteo Zuppi

Vestito con un semplice clergyman grigio, sorride mentre da un salone di un albergo di Lourdes dove si trova in questi giorni in pellegrinaggio assieme all’Unitalsi commenta la decisione del Papa, inattesa anche per lui, di crearlo cardinale. Matteo Zuppi, «don Matteo» per tutti, 63 anni, romano, arcivescovo di Bologna, commenta con la consueta semplicità la decisione papale: «Il cardinale – dice – è rosso perché deve testimoniare fino al sangue. Speriamo di essere buoni testimoni del Vangelo: quello di oggi è chiarissimo». E ancora: «Dobbiamo cercare di essere sempre ultimi e metterci al servizio degli altri».
Appartenente alla Comunità di Sant’Egidio fin dagli anni del liceo al Virgilio di Roma (qui conobbe Andrea Riccardi, «un ragazzo poco più grande di me – ha raccontato recentemente – che parlava del Vangelo a tanti altri ragazzi in maniera così diretta e nello stesso tempo con tanta conoscenza»), una laurea in lettere, quindi la scelta del sacerdozio a Roma, da sempre vicino agli ultimi e ai poveri, Zuppi viene scelto dal Papa anche per la capacità di unire le differenti anime presenti nella sua comunità, da quelle più vicine al pontificato in corso, fra queste la scuola dossettiana, a quelle più conservatrici che hanno visto nei vescovi suoi predecessori, da Biffi a Caffarra, una loro espressione. Ne sono un esempio, in qualche modo, gli attestati di stima che il mondo politico gli tributa in queste ore: «È il meritato riconoscimento per ciò che ha fatto per Bologna e per il mondo», dice l’ex premier e presidente della Commissione europea Romano Prodi. «Uomo di pace e accoglienza», commenta il presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, mentre attestati di stima gli arrivano dal sindaco della città Virginio Merola, dal ministro degli Esteri Moavero Milanesi, dal presidente dei senatori di Forza Italia Anna Maria Bernini.
Zuppi, che è stato anche viceparroco di Vincenzo Paglia a Santa Maria in Trastevere, si è sempre distinto per l’instancabile azione a sostegno dei più poveri, degli immigrati, dei rom, senza escludere l’attività di diplomazia esercitata con Sant’Egidio. Arrivare a Bologna da Roma non era cosa scontata. Ancor più non lo era diventare cardinale, tenuto anche conto del fatto che da anni sulla cattedra di San Petronio i vescovi che si erano succeduti non erano stati contigui alla linea conciliare messa in campo dall’innovatore Giacomo Lercaro dal 1952 al 1968. Significative, in questo senso, le prime parole che Zuppi rivolse alla diocesi una volta arrivato da Roma. Disse, citando il Concilio Vaticano II, monsignor Oscar Romero e Giovanni XXIII, che la Chiesa deve essere «di tutti, proprio di tutti, ma sempre particolarmente dei poveri».
Chi lo conosce bene dice che a Bologna Zuppi sa interpretare al meglio quella Chiesa dei poveri che ebbe in don Paolino Serra Zanetti, in padre Marella e nelle Case della carità una sua espressione. Fin dai primi giorni a Bologna, «don Matteo» ha deciso di non vivere nell’arcivescovado, ma nella casa del clero. «Ho sempre vissuto insieme ad altri – disse tempo fa a Repubblica – Abitare in una casa dove vivono altri sacerdoti è per me occasione di confronto». In lui Francesco rivede forse se stesso, negli anni di Buenos Aires. Come il Papa, infatti, Zuppi ha sempre valorizzato quella pietà popolare, presente in Argentina, che altri sacerdoti faticano a comprendere.