La Lettura, 1 settembre 2019
Safran Foer contro il consumo di carne
Ogni giorno ci raccontano brutte storie. Siberia e Amazzonia bruciano, il Mediterraneo diventa un mare tropicale, insetti nocivi infestano i giardini. Siamo consapevoli che incombe una minaccia generale, ma quelle brutte storie sono troppo diverse fra loro. Sono storie grandi, lente e spesso lontane, storie dove non c’è il buono che all’ultimo sbaraglia i cattivi. Il riscaldamento climatico non ha il potere del racconto. Parte da qui, Jonathan Safran Foer, nella sua avvincente perorazione sulla nostra incapacità di credere al collasso del pianeta, Possiamo salvare il mondo prima di cena (Guanda). La casa è in fiamme, ma non abbiamo ancora compreso davvero che è la nostra casa a essere in fiamme. Sappiamo di essere in guerra, ma non sentiamo il rumore della battaglia. Come scrive anche Amitav Ghosh, la crisi ambientale è una crisi di immaginazione. Persino definirla «ambientale» significa catalogarla come qualcosa di esterno. E invece l’ambiente siamo noi, il clima siamo noi. Ma se tutto è clima, allora niente è clima.
Pensiamo che gli scienziati stiano dicendo la verità, ma i loro ammonimenti non ci allarmano sul serio. Safran Foer è ferocemente autocritico e si include nel novero dei colpevoli di questa apatia. Con durezza aggiunge che chi sa ma non riesce a credere, e si mette il cuore in pace sostenendo qualche campagna ambientalista, non è moralmente migliore dei negazionisti che per interesse rifiutano le evidenze. La dicotomia che conta ormai non è quella tra chi accetta la scienza e chi non l’accetta, ma tra chi agisce e chi non agisce.
Che fare, dunque? La guerra, suggerisce l’autore di Ogni cosa è illuminata, si vincerà sul fronte interno. Inutile attendere che arrivino le motivazioni sentimentali giuste. Adesso servono incentivi affinché scaturisca un’ondata di azione collettiva, una «grande ola» planetaria che coinvolga tutti i settori e non soltanto i combustibili fossili. Safran Foer concentra i suoi strali, con ottime ragioni e un profluvio di dati, sugli allevamenti intensivi di animali, suo obiettivo polemico già nel reportage Se niente importa.
Come confermato da «Nature» nell’ottobre 2018, gli allevamenti industriali sono una della cause principali del cambiamento climatico: emettono due potenti gas serra (metano e protossido di azoto) e divorano terre coltivabili, acqua potabile, antibiotici. L’80% della deforestazione viene dagli allevamenti. Il pianeta è diventato, più che una fabbrica, un’immensa fattoria. Ne discende, per Safran Foer, un regola semplice: niente prodotti di origine animale prima di cena (e se proprio, passare agli hamburger vegetali). A cominciare da lui, che confessa di amare carne e latticini.
Non invoca sacrifici drastici, ma un contagio dal basso che modifichi le abitudini alimentari della parte più ricca del mondo. Salvare il pianeta (e il futuro dei nostri figli) cominciando a colazione. Se un centinaio di aziende sono responsabili della maggioranza di emissioni di gas serra, non per questo le azioni individuali sono insignificanti, poiché quelle aziende lo fanno a nome nostro, visto che noi compriamo e consumiamo i loro prodotti. Lo scrittore mostra poi come, a conti ben fatti, un’alimentazione prevalentemente vegetale non sia affatto una scelta d’élite.
Capitoli brevi e incisivi sono incastonati dentro un’argomentazione stringente – narrazioni familiari, lampi aforistici e dialoghi interiori – ottenendo proprio l’effetto che le storie sul clima non hanno: essere emozionanti ed efficaci. Nel mezzo, una carrellata di statistiche sull’impatto degli allevamenti industriali, numeri poi discussi nell’appendice e nel ponderoso apparato di note e riferimenti bibliografici. Alla fine, il nesso tra alimentazione e ambiente è lampante. Ci piace pensare che un bel giorno un genio inventerà una tecnologia miracolosa che cambierà il mondo senza costringerci a cambiare le nostre vite, ma è un’illusione. Se non vogliamo che i cambiamenti climatici vadano fuori controllo, a qualcosa dovremo rinunciare. Le coscienze sono difficili da smuovere, ma alla fine di questa lettura si resta inquieti, ed è il meglio che un libro possa fare.