La Stampa, 1 settembre 2019
Intervista a Edoardo Albinati
Edoardo Albinati è nato nel 1956 a Roma, dove vive e insegna italiano nel carcere di Rebibbia. Ha vinto il Premio Strega con il suo romanzo, La scuola cattolica, ora tradotto anche in inglese da Antony Shugaar.
Ha davvero scritto1294 pagine a mano?
«Solo in parte, le ultime due o trecento pagine».
Quanto tempo ci ha messo?
«Nove anni. Ho iniziato nel 2006 e ho terminato nel 2015, ma a metà mi sono completamente bloccato. Poi, nel 2012, alla Rizzoli New York mi hanno incoraggiato».
Come fa uno scrittore a gestire un libro così? A ricordare cosa ha scritto a pagina 10 quando è a pagina 972?
«Ecco perché dopo qualche anno mi sono perso! Ma poi ho usato l’esempio del regista Matteo Garrone, con il quale ho scritto un film, Il racconto dei racconti. Garrone usava un pannello a parete con tasche trasparenti in cui metteva pezzi di cartone di diversi colori per seguire le varie trame del film. Ho fatto lo stesso».
È un romanzo storico?
«Sì, perché qualcosa che è accaduto 40 anni fa è storia».
Intende il caso di stupro, tortura e omicidio del Circeo?
«Sì. Era il 1975. Non occorre tornare al Medioevo o al Rinascimento per scrivere un romanzo storico. La vita e la società sono cambiate così rapidamente che dopo 20 anni il mondo intero di cui stai parlando non esiste più».
Perché ha scritto di questo episodio sotto forma di romanzo?
«La bellezza di un romanzo è che stai sempre descrivendo, a volte inventando. Il divertimento nello scrivere è che sei libero di usare la tua stessa vita, la vita degli altri e vite di fantasia. Uno dei personaggi principali è il geniale Arbus, ispirato a un mio vero compagno di scuola. Tutto ciò che ho scritto su di lui è stato inventato ».
E poi ci sono veri assassini?
«L’unica cosa che non ho cambiato è stato l’omicidio. C’erano tre assassini: Angelo Izzo, Gianni Guido, Andrea Ghira. Tutto ciò che scrivo su di loro e sulle loro vittime è realmente accaduto. Ho preso i fatti dai processi, dalle registrazioni della polizia».
Dicono che La scuola cattolica sia un libro maschile, non ci sono donne. Eppure ha detto di aver letto molti libri sul femminismo.
«Negli Anni 70 il femminismo era probabilmente il pensiero politico più rilevante, ma non solo allora: è il movimento politico del XX secolo. Mentre tutti gli altri falliscono questo è ancora vivo e attuale in tutti i Paesi del mondo».
Cosa c’entra il femminismo con la storia del libro?
«Il movimento femminista è stato il primo nella storia in cui le persone hanno iniziato a pensare al genere come distinto dall’essere umano in quanto tale. Quindi non c’è solo l’uomo come individuo o essere umano o soggetto della filosofia, ma c’è il maschio. Quali sono i sentimenti di un ragazzo? Cosa vuol dire diventare un uomo? Puoi scoprirlo, pensarci e raccontarlo se, come me, vai in una scuola tutta maschile come La scuola cattolica».
Qual era il nome della sua scuola?
«San Leone Magno. Era solo maschile. Ed essendo a pagamento era solo per le famiglie benestanti».
Questo non è il mondo di Pasolini. È un crimine borghese in un quartiere borghese.
«Questo delitto ha mostrato per la prima volta che stupro e omicidio non sono confinati nei bassifondi. Non ci sono aree sicure della società. Il quartiere in cui fu costruita questa scuola era considerato come un luogo sicuro, dove non poteva accadere nulla di grave, niente di drammatico o di criminale».
Perché ci sono volute così tante pagine per raccontare questa storia?
«Il libro tratta molte questioni e storie diverse e ha molti personaggi. Mi sono sentito obbligato a ricercare cosa significhi essere in primo luogo maschio, secondo essere borghese, terzo essere un cattolico romano che vive negli Anni 70 e cerca verità, sesso, religione, violenza. Ho provato a indagare soprattutto la violenza sessuale. L ’identità maschile è stata costruita per secoli su questa idea di dover usare la forza e la violenza per compensare ciò che penso sia la natura della sua fragilità. Gli uomini continuano a usare la violenza per superare la propria impotenza, il proprio trauma».
Si considera uno scrittore cattolico?
«Per prima cosa devi credere in Dio e io non ne sono sicuro. Non penso che non esista, non penso che esista. Descrivo nel libro il fatto di non avere fede, anche se ho seguito le regole e ho cercato di credere».
Scrivendo ha trovato la fede?
«Cito Dostoevskij. C’è un momento in Demoni in cui qualcuno chiede a qualcun altro: "Credi in Dio?". E la risposta è: "Voglio crederci"».
Crede nella letteratura?
«No. Non penso che cambierà le cose, libererà le persone o le migliorerà, ma mi piace».
Cosa vuol dire essere uno scrittore italiano?
«Significa essere quasi oppresso dall’enorme tesoro della nostra tradizione e dal fatto che la nostra letteratura era eccezionale fin dall’inizio. Nessuno potrà mai confrontarsi con Dante e Petrarca».