La Stampa, 1 settembre 2019
Ritratto di Jane Fonda
È una diva in tutto, Jane Fonda: nella maniera in cui parla, si muove, recita, scherza, imita le altre attrici, e, soprattutto, nel modo in cui dà l’impressione di essere una persona normale e come tante, rimanendo ben attenta a comunicare, parallelamente, un senso di assoluta irraggiungibilità. È una diva anche negli errori, nei pentimenti e nelle molteplici contraddizioni, vissute con passione e anche con sincerità, ma sempre sotto l’occhio dei riflettori. Ed è consapevole di essere bellissima, anzi irresistibile, ma sul set di Youth, a chi le faceva i complimenti per la forma strepitosa per una ottantenne, rispondeva: «Non c’è nulla nel mio corpo che non sia stato rifatto».
È sempre stata spiritosa, ma basta passarci insieme un po’ di tempo per comprendere che c’è un altro elemento che spiega l’intimità di ogni atteggiamento: un dolore sordo e inestinguibile, legato al trauma del suicidio della madre Frances. Soffriva di terribili crisi depressive, la madre, ed entrò in una voragine di disperazione quando scoprì che il marito Henry aveva una relazione con Susan Blanchard, la quale diventò la terza delle sue cinque mogli. Jane ne parla poco, ma ne ricorda perfettamente lo sguardo pieno di angoscia, nonostante vivesse un’esistenza luminosa e piena di glamour.
E parla poco di Peter, il fratello scomparso poche settimane fa: è il pudore che nasconde un altro terribile dolore. Non è stato facile neanche il rapporto con una leggenda hollywoodiana come il padre Henry: era un uomo freddo e severissimo, che il medico di famiglia definì «un narciso incapace di vedere gli altri, capace di instaurare solo relazioni di totale assoggettamento». Per capire una delle tante contraddizioni di Jane si deve ricordare che Henry Fonda considerava con disprezzo ogni elemento religioso: «La fede è la stampella a cui ci appoggiamo nel tentativo di alleviare i nostri dolori», diceva, e questo offre una chiave di lettura illuminante sulla diva, la quale è passata da un virulento anticlericalismo alla conversione al cristianesimo e l’innamoramento della figura di Cristo. «È stato il primo femminista» mi disse una volta, «e l’amicizia che ha manifestato con le donne è rivoluzionaria: non è un caso che fossero le donne a rispondere in maniera più appassionata al suo messaggio di compassione, amore e totale uguaglianza».
Dopo aver fatto la modella Jane decise di sfidare il padre anche sul suo campo e debuttò a Broadway in There was a little girl. Fu un successo immediato, e si deve a Lee Strasberg la decisione di dedicare la vita alla recitazione. Il debutto al cinema ne consacrò il successo, e sin dai primissimi film mise in mostra un magnifico talento e la qualità, esclusiva delle vere star, di impadronirsi di ogni scena e piacere a entrambi i sessi. Con A piedi nudi nel parco inizia il sodalizio professionale con Robert Redford, e poi, sul set di Barbarella, si innamora di Roger Vadim, mediocrissimo regista e grande seduttore che a suo modo la amò, portandola a condividere esperienze come il sesso a tre: «Mi pento soprattutto di come l’ho fatto: ho accettato il suo volere per sentirmi all’altezza senza far sentire la mia voce. Per sentirmi amata e dimostrare che lo amavo ho tradito me stessa e il mio corpo». Anche Jane a suo modo lo amò, ma rimase male quando Vadim pubblicò un’autobiografia intitolata Jane, Brigitte, Catherine, dal nome delle tre dive che sposò.
Non è l’unica cosa di cui si sia pentita: sul piano artistico si rimprovera di aver accettato di interpretare un film con Jean Luc Godard dopo aver rinunciato a Gangster Story, Rosemary’s Baby e in seguito anche a Chinatown. Durante un incontro pubblico le chiesi come si fosse trovata con il regista francese, e la sua unica risposta fu una lunga pernacchia. Erano anni dominati dall’ideologia, e visse in prime persona anche battaglie nobili e importanti, ma quando si schierò attivamente contro la guerra in Vietnam arrivò a farsi fotografare insieme a un gruppo di Vietcong accanto a un mitragliatore usato per la contraerea. La foto le procurò il soprannome di Hanoi Jane: ancora oggi i veterani non l’hanno perdonata, nonostante lei abbia ripetutamente chiesto scusa, pur dicendo «è più facile odiare me che chi ha mandato quegli uomini a morire». Anche Hollywood le voltò le spalle, prima che interpretasse una storia incentrata proprio sui reduci del Vietnam: Tornando a Casa, con il quale vinse il secondo oscar dopo Una squillo per l’ispettore Klute, dove immortalava una prostituta. I due premi non coincidono necessariamente con le prove migliori: sono splendide le interpretazioni in Non si uccidono così anche i cavalli?, Sindrome Cinese e Giulia, dove conobbe Meryl Streep e cominciò a segnalarla a chiunque «aprite gli occhi, è nato un talento unico».
La solidarietà nei confronti delle donne è un altro elemento centrale della sua personalità, che spesso si trasforma in attivismo femminista: è una delle maggiori promotrici dei Monologhi della Vagina di Eve Eisler. Anche per questo furono in molti a rimanere sconcertati quando sposò Ted Turner, dichiarando «sono una persona coraggiosa: posso andare in Vietnam e sfidare il mio governo, ma non posso stare senza il mio uomo se significa rimanere sola». Poi, quando quella storia d’amore finì, disse «Ted ha bisogno di qualcuno che ci sia il 100% del tempo. Lui pensa che quello sia amore, ma è babysitting».
Generò sconcerto anche Jane Fonda’s Workout, il più venduto Vhs di tutti i tempi, ma quando racconta le infinite contraddizioni di una vita «ricca e fortunata» si accalora ripensando all’arresto per possesso di droga: «Una carognata dell’amministrazione Nixon dopo la foto in Vietnam». Per non parlare del periodo in cui il suo telefono era intercettato: «Una vergogna indegna di un paese che ha messo la libertà al centro della sua stessa esistenza».L’impegno in politica è ancora segnato dalla foto scattata in Vietnam: quando John Kerry si candidò contro George W Bush venne soprannominato un «democratico alla Jane Fonda», e per dimostrare la mancanza di rispetto nei confronti dei veterani vennero mostrate foto che li immortalavano insieme in proteste dei primi anni settanta.
Oggi considera il pentimento come un momento di crescita, e cita Hannah Arendt: «Se non si conosce la propria storia si è condannati a viverla come se fosse un destino personale». Continua a battersi per ogni causa, dalla difesa dei diritti dei nativi americani all’ambientalismo all’orrore di ogni guerra, e per finanziare la Jane Fonda Foundation, istituzione dedita alla carità, ha messo in vendita le foto dell’arresto del 1970. «Martha Graham mi ha insegnato che la disciplina rappresenta la libertà», mi spiegò una volta, e quando le feci osservare che mi sembrava un’ennesima contraddizione di una donna che aveva sempre combattuto le istituzioni, mi disse: «Credo che sia stata la disciplina ad aver dato a Nureyev la possibilità di librarsi in aria, e penso che i concetti di libertà e disciplina debbano partire dalla necessità di conoscere se stessi e i propri demoni».