il Fatto Quotidiano, 1 settembre 2019
Dentro Isis: la vita segreta in 5 hard drive
Dalla mia stanza, al secondo piano, si vedono i mezzi blindati che escono dalla base, per andare in ricognizione. Oltre, la strada sterrata, le fortificazioni color sabbia e il deserto a perdita d’occhio. Gli Humvee delle Forze democratiche siriane alzano la polvere, muovendosi in modo regolare. E si portano dietro le incognite sulla riuscita dell’ennesima missione contro lo Stato islamico. Nonostante la sconfitta sulla carta, il nemico si nasconde ancora tra le case, nei villaggi, e colpisce i civili nelle città con attacchi terroristici.
Sul tavolo, davanti a me, ci sono cinque dischi rigidi, recuperati dai curdi, nell’accampamento di Baghouz, l’ultimo lembo di terra di Isis in Siria, conquistato il 23 marzo scorso. Mi sono stati consegnati dopo aver insistito per settimane, cercavo video di propaganda usati per reclutare occidentali nel 2014. “Guarda in questi hard drive, magari trovi qualcosa che ti interessa”, mi è stato detto.
È un mondo quello che mi si è aperto. Per settimane non sono riuscita a guardare il materiale per più di mezzora alla volta. Da una parte, ci sono loro, con la barba e i capelli lunghi, che stringono i figli: fotografie di momenti intimi, felici, ritratti su una motocicletta o che dormono a fianco di un neonato agghindato a festa. Dall’altra, audio, video e documenti che spingono alla distruzione dell’Occidente, invocano la Guerra santa, istruiscono i jihadisti su come tagliare la testa a una persona, i metodi più efficaci per assassinare qualcuno senza essere scoperto, decine di Gigabyte con manuali di guerra. Una dicotomia che disturba. Mette davanti agli occhi la “banalità del male”. Anche loro sono essere umani. I numeri e le statistiche ci dicono che tra le migliaia di persone che si sono unite allo Stato Islamico tra il 2014 e il 2017 dall’Occidente ci potevano essere anche i nostri vicini di casa.
Il contenuto/1: il materiale vietato dalla Sharia
Nella vita privata, i proprietari dei computer di cui sto visionando gli hard drive non avevano alcuna remora a infrangere le regole della Sharia, la legge islamica. Ascoltavano musica occidentale – severamente vietata – e, nei loro archivi, ci sono centinaia di canzoni da discoteca araba. Anche la televisione non era mai stata ben vista (specie se fossero presenti donne senza velo integrale nero). Eppure si trova la seconda stagione di Arab idol, versione mediorientale del programma televisivo inglese che premia cittadini dall’ugola d’oro. Tutta la seconda stagione del cartone animato Pokemon: forse scaricato per i bambini, o forse per passare il tempo. Quando si è in guerra, soprattutto al fronte, ci sono momenti di attesa molto lunghi che diventano tediosi e logoranti. C’è un video con tutti i gol di Cristiano Ronaldo quando era nel Real Madrid (ai bambini era vietato giocare a calcio per strada).
In un’altra cartella chiamata “ragazze” ci sono dei fermi immagine del film Twilight, la saga dei vampiri, con i due protagonisti sul prato che si guardano innamorati. Spicca anche la foto di una giovane con i capelli scuri con delle mèches verdi e un top rosa: guarda la camera con uno sguardo fiero e ammiccante. Facendo una ricerca in Internet, la stessa immagine si trova su un sito con “le donne più belle del Perù”. Ci sono anche diversi scatti della cantante Avri Lavigne, con lei che si appoggia al muro con le braccia alzate. C’è anche il poster di Eminem. E ancora foto di ragazze “scoperte” con in mano un kalashnikov. Donne in pose sexy.
I proprietari dei dischi sono riusciti a cancellare tutte le informazioni personali o le chat di whatsapp. Rimangono solo delle tracce, come i nickname usati su Facebook: “Katana” o “Orca”.
Il contenuto/2: metodi per assassinare un target
Uno dei computer apparteneva quasi sicuramente a un “emiro”, che significa principe ma anche a capo di un battaglione, proprio perché c’è molto materiale sensibile. La maggior parte dei documenti sono scritti in arabo. Sono centinaia. Tra questi un file Excel in cui sono state registrate le entrate in Siria, dalla Turchia, di decine di jihadisti stranieri. Sono almeno 70.000 le persone (le stime sono al ribasso) arrivate da tutto il mondo per unirsi al Califfato. Nomi e cognomi, date di nascita, occupazione, livello di educazione. Un documento importante perché racconta come funzionava lo Stato Islamico. Non appena attraversata la frontiera, a tutti veniva sottoposto questo questionario, e in base alle loro risposte venivano smistati nei vari battaglioni.
Su un’altra pagina ci sono tutte le istruzioni su cosa fare se si viene catturati dal “nemico”, come resistere alle torture, le pressioni psicologiche, l’isolamento: “Non date niente di più del vostro nome e data di nascita”. Poi ci sono pagine motivazionali scritte dal centro media, in tutte la stessa email khadija1417@hotmail.com. E ancora: “Il segreto di un’operazione ben riuscita non è l’entusiasmo e il coraggio dei combattenti ma la presenza di una buona leadership”. Poi si trova un elenco puntato molto particolare. “Questi sono i migliori metodi per assassinare un target”. E via con la lista, al primo posto il grammo di cocaina, poi di eroina. Quindi lo strangolamento, e l’iniezione nell’arteria di aria tramite siringa. Quelli più particolari: “Mettere un nido di insetti nel motore dell’auto o mettere una palla di acciaio nel serbatoio così quando finisce la benzina l’attrito crea un’esplosione”. Per giustificare le atrocità, gli assassini e le violenze, sono scritti ovunque versi coranici. Tutti cominciano con la stessa frase: “Nel nome di Allah misericordioso. Preghiere e pace per il capo dei mujehaddin”.
Il contenuto/3: addestramento militare ed educazione
In uno degli hard drive, c’è una cartella con decine di manuali militari di eserciti da tutto il mondo, in primis quello americano. Sono documenti ufficiali trovati in Rete e in alcuni casi datati negli anni 90. La maggior parte riguarda i tiratori scelti. Le tecniche, la respirazione, i calcoli per il mirino. Molti di questi manuali sono poi sintetizzati in diverse presentazioni PowerPoint. “Psicologicamente devi essere a posto, per essere un buon cecchino devi anche essere preparato, calmo, pronto all’attesa”. Colpisce anche la varietà: sono state scaricate pagine da WikiHow su come neutralizzare una persona (in inglese); doc sulle Forze speciali britanniche; documenti delle forze brasiliane. Interi vademecum sui sabotaggi, sulla sopravvivenza, su come fare bombe in casa. E ancora, un certificato di acquisto di un cannocchiale da puntamento “Elite”, altri manuali di garanzia per lunette da tiro. Fotografie di armi e una quantità di bersagli impressionanti. Pagine di calcolo per aggiustare il fucile in russo e fotografie che riprendono gli stessi calcoli su una lavagna in arabo.
Video di cacciatori americani doppiati in arabo che spiegano come far funzionare al meglio le armi da tiro. Sempre in questa cartella, diverse presentazioni con il logo della brigata palestinese “Izz al-Din al-Qassam” (una comincia con una pagina in dissolvenza sulla viso di Ariel Sharon in un mirino). C’è persino una copia de L’Arte della Guerra in francese. E il White Resistance Manual, un prontuario per suprematisti bianchi per sabotare lo Stato, nel quale si trova come sopravvivere mangiando bacche.
Il contenuto/4: video e propaganda
Le musiche e i loghi sono sempre gli stessi. La macchina di propaganda di Daesh è stata uno dei maggiori successi: sono riusciti non solo a reclutare migliaia di persone, ma anche a terrorizzare il mondo. I video durano in media una quarantina di minuti e riprendono uomini al fronte, alcuni sparano, altri urlano l’oramai celebre frase: Allah Akbar (Dio è grande), prima di un attacco. Ci sono molte esecuzioni riprese. Tagliano la testa a persone inginocchiate con addosso una tuta arancione, mentre la folla intorno a loro esulta. In un video, la scena viene ripetuta rallentata diverse volte. Usano una sciabola enorme, oppure un coltello da caccia. La telecamera ingrandisce il collo monco, da cui sgorga il sangue.
In un altro video si vede un giovane che si sente male, ha una canottiera e continua a dire non respiro. Diversi uomini intorno a lui gli fanno forza, gli accarezzano le orecchie, lo schiaffeggiano. In un altro uomini seduti in cerchio per terra, parlano della Sharia. Ci sono anche video degli anni ’80 in Afghanistan. Poi migliaia di file audio di predicatori islamici, la maggior parte dei quali è impossibile identificare.
Alla fine non ho trovato quello che cercavo. Ho scoperto però molto di più su quei jihadisti che decine di volte ho incontrato. Le loro contraddizioni, la loro umanità che, forse, non ho mai voluto accettare.
Secondo l’ultima rapporto del Pentagono sulla Siria, ci sarebbero ancora 14.000 cellule dormienti di Isis. Mi sembra ancora più evidente guardando fuori dalla finestra. I mezzi continuano a passare.
La guerra in queste zone non è finita, perché quello che si combatte, qui, è un’ideologia.
Dalla caduta di Baghouz, ultima roccaforte del Califfato, a oggi: le operazioni speciali
Il 23 marzo scorso, a Baghouz in Siria, Isis è stato sconfitto militarmente – con una battaglia durissima terminata con una notte di bombardamenti a tappeto da parte degli aerei della coalizione a guida americana, e un’avanzata da terra delle Forze Democratiche Siriane (FDS, un ombrello che raggruppa le unità curde e le milizie arabe) – mettendo così la parola fine al sogno di un Califfato. Un tempo era un vero e proprio Stato, tra Siria e Iraq: una superficie, quella dell’Islamic State, che alla sua massima espansione, nel 2015, era arrivata a contare fino a 11 milioni di abitanti.
Da quel 23 marzo 2019, le FDS, con gli americani, si sono dedicate a operazioni speciali per scovare le migliaia di cellule dormienti nascoste in tutto il territorio. Le stesse che nei mesi scorsi hanno colpito diverse città del Nord-Est della Siria.
Ci sono almeno 70 mila affiliati a Daesh – compresi donne e bambini, molti dei quali stranieri – nei campi e nelle prigioni. I curdi sono stati lasciati soli a gestire questa situazione, con i governi stranieri che si rifiutano di rimpatriare i propri cittadini. Intanto, la Turchia da luglio minaccia di invadere il Rojava, perché non accetta un governo autonomo dei curdi al proprio confine. Per scongiurare una nuova guerra è stata creata una sorta di “safe zone”, implementata pochi giorni fa con l’aiuto degli Stati Uniti.