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 2019  settembre 01 Domenica calendario

La leggenda degli uomini-lupo

«Hombre Lobo Canario». Lo chiamavano così, il nobiluomo Petrus Gonsalvus, cioè Pedro Gonzalez, notissimo in tutta Europa nella seconda metà del Cinquecento per il corpo completamente coperto dal pelo. Uomo lupo delle Canarie. E lì infatti era nato, nel 1537, nell’arcipelago al largo del Marocco e della Mauritania, una quarantina di anni dopo la conquista dell’ultima isola da parte della corona di Castiglia. 
Apparteneva, e chissà che nome aveva nella sua lingua natale spazzata via dagli spagnoli, all’antico popolo dei Guanches. Popolo di lontanissime origini berbere (pare) descritto a sorpresa da Giovanni Boccaccio (Della Canaria e delle altre isole oltre Ispania nell’Oceano nuovamente ritrovate…) nel racconto del viaggio compiuto nel 1341 dal genovese Nicoloso da Recco e dal fiorentino Angiolino de’ Corbizi, che avevano esplorato l’intero arcipelago per conto di Alfonso IV del Portogallo. E lì si erano visti venire incontro «sul lido moltitudine grande, huomini et donne, che quasi tutti erano nudi. Alcuni che pareano più alti vestivano pelli caprine tinte di giallo, et di rosso, e, secondo parea di lungi, morbidissime e dilicatissime, cucite con assai artificio di corde de’ budelli; e come poteasi cognoscere dagli atti di loro mostravano avere un principe, che riverito era da tutti et honorato. Quella moltitudine di giente mostrava desiderio di avere abboccamento et commercio, et trattenersi con que’ di sopra le navi…». 
Di quale isola fosse l’«Hombre Lobo Canario» non si sa. Certo è che, coperto com’era da una fittissima peluria dovuta quasi certamente (difficile saperlo mezzo secolo dopo) all’ipertricosi, una disfunzione ormonale, il ragazzo attirò presto la curiosità di un mercante che vide in lui un «mostro» buono da vendere alla corte di qualche re, principe o marchese. Intuizione cinica e orribile con gli occhi di oggi, non con quelli di un uomo del Cinquecento. Basti sfogliare la Monstrorum Historia del naturalista bolognese Ulisse Aldrovandi per vedere un vero trionfo, orribile a dirsi ma è così, di illustrazioni straordinarie che cominciano con un «negrito labio inferiori pendulo» (un nero dal labbro deformato), un «panozio» dalle orecchie d’elefante, un «etiope con quattro occhi», un ciclope e poi lui, Petrus Gonsalvus, con due figlie. Anche loro coperte da una gran quantità di peli. E catalogabili tra i fenomeni propriamente detti. 
Certo, non fu l’unica al mondo, quella celeberrima famiglia, a essere colpita. Proprio in questi giorni la Spagna, lontana «patria» dei Gonzalez, è alle prese col caso di diciassette bambini colpiti dalla stessa rarissima disfunzione, ribattezzata dai giornali «la sindrome dell’uomo lupo». Tutta colpa di un farmaco sbagliato. I medici sembrano sereni. Ma il ritorno dell’incubo del lupo mannaro, nel terzo millennio, la dice lunga su quanto siano profonde le radici di queste paure antiche. 
Dice la storia di Don Pedro, ricostruita anni fa dallo storico Roberto Zapperi ne Il selvaggio gentiluomo (Donzelli), che il giovane guanche prelevato alle Canarie fu portato ancora bambino a Parigi, o meglio a Saint-Germain-en-Laye, dove vivevano il re di Francia Enrico II e la moglie Caterina de’ Medici. Annoterà Giulio Alvarotto, ambasciatore del Duca di Ferrara, che era un bambino «molto bello che i peli rendevano simile a un animaletto delicato e prezioso come lo zibellino». Certo è che tra nani, gobbi e buffoni, il ragazzo, capace e gentile, riuscì a farsi benvolere. Imparò il francese fino a poterlo parlare con scioltezza, cominciò a studiare il latino e le buone maniere indispensabili per potersi muovere a suo agio in una corte frequentata da principi e baronesse… Fino al punto di ottenere da Sua Maestà, grazie anche al ruolo di capo tribù del padre alle Canarie, il titolo di Don. 

Non basta. Affezionati al loro nobile peloso, Enrico II e Caterina de’ Medici, che secondo Zapperi avevano un debole per i matrimoni combinati, si piccarono di dare anche a Pedro una sposa. E la trovarono in Catherine, una ragazza bella e giovane figlia di un gentiluomo di corte. E furono davvero nozze speciali. Incarnavano infatti il mito de La bella e la bestia, una novella diffusa in mezza Europa in più versioni tra le quali una famosa tratta da Le piacevoli notti del bergamasco Giovan Francesco Straparola. Sia chiaro: non può essere stato il Canario, che allora aveva tredici anni, a ispirare le novelle dello scrittore lombardo stampate nel 1550. Fa effetto, però, vedere la Bestia nel film di Walt Disney: pare davvero Pedro Gonzalez ritratto da un Anonimo ed esposto al Kunsthistorisches Museum di Vienna. 
Ma quanto pesò su Pedro il perenne accostamento tra il suo handicap e l’«animalità»? Molto, pare. Giunto nel 1591 a Parma alla corte del duca Ranuccio Farnese dopo un periodo trascorso a Bruxelles, scrive Zapperi, «fu registrato nella contabilità della corte come “Don Pietro Gonzales Selvaggio” e l’epiteto di Selvaggio gli restò incollato addosso…». Come poteva accettarlo, lui, che tanto aveva fatto per superare pregiudizi ancestrali fino a parlare più lingue e diventare un gentiluomo? Scriverà: «Tenerife mi diede i natali, ma l’opera mirabile della natura mi cosparse di peli tutto il corpo. La Francia mia seconda madre, mi allevò fanciullo fino all’età adulta e m’insegnò a deporre i costumi selvaggi, ad apprendere le arti liberali ed a parlare in latino». 
Sì, restava quella maledizione. Ma cercava di non farsene schiacciare: «Per grazia divina mi toccarono in sorte una sposa di singolare bellezza ed i figli, frutto prezioso della nostra unione nuziale; puoi vedere i doni della natura dal fatto che alcuni figli ricordano la madre per la bellezza e il colorito, altri, invece, coperti di peli, assomigliano al padre». Un dolore costante, ma vissuto sempre con dignità. Anche negli ultimi anni della vita. Trascorsi a Capodimonte, il bellissimo promontorio sul lago di Bolsena, dove c’era un antico castello dei Farnese. E da lì, ricorda Il selvaggio gentiluomo, uscì dalla storia proprio come c’era entrato. Non sappiamo quando morì, non sappiamo dove. Andandosene, forse, sospirò: lì sotto, nella fraterna terra, finalmente, sarebbe stato un uomo come tutti gli altri.