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 2019  settembre 01 Domenica calendario

Ritratto del padre di Greta Thunberg

«Ma sua figlia Greta non si annoia a star ferma su una sedia per ore ad ascoltare i discorsi dei politici?». Svante Thunberg sorride: «A volte me lo chiedo anch’io. Però, no. Lei ascolta tutti, è davvero coinvolta e attenta». È orgoglioso della notorietà che ha raggiunto? Il sorriso si apre ancor di più. «È brava, bravissima anche a scuola, un esempio per tutti noi». In un corridoio del Senato italiano, il papà della sedicenne più famosa del mondo mi ha raccontato così la «sua» Greta. Aspettava fuori dalla porta, con l’aria dimessa da ex ribelle – i lunghi capelli raccolti a coda, la giacca stazzonata —, che lei finisse le interviste con la stampa. Più che un suggeritore, uno chaperon. 
Costretto ad una vita da comparsa, prima come attore di serie tv (l’apparizione più nota, nel 1997, in un episodio di Skargardsdoktorn, saga di un medico svedese), poi come marito-manager della bella e talentuosa moglie cantante d’opera Malena Ernman, sposata nel 2004, oggi come ombra onnipresente al fianco della sua figlia maggiore (l’altra, Beata, canta, e nonostante abbia avuto la benedizione sui social della sorella, ancora non riunisce folle adoranti).
Cinquant’anni, nato a Stoccolma, Svante è il figlio d’arte degli attori Olof Thunberg e Mona Andersson. Da giovane ha recitato con la compagnia del Royal Dramatic Theatre e del Riksteatern e poi ha tentato la carriera cinematografica come protagonista di un film sul compositore Joseph Martin Kraus. Il suo ruolo più riuscito, però, è quello di accompagnatore, chauffeur, protettore. Svante, a differenza della consorte mezzosoprano, è presente a tutti i summit, gli scioperi internazionali, le conferenze, sui treni che hanno solcato mezza Europa e perfino sulla barca a vela a pannelli solari che dall’Inghilterra lo ha portato con Greta e lo skipper principino di Monaco fino a New York. Come un genitore qualunque si è fatto fotografare con le valigie sulla banchina della stazione o agganciato alla randa in mezzo all’Oceano Atlantico. Ma in famiglia, da un bel pezzo, non è più protagonista.
Qualcuno ha suggerito maligno che sia stato proprio lui – o forse l’ambiziosa mamma Malena – a manovrare la piccola per vendere qualche libro in più («Scene dal cuore», scritto a quattro mani dai due genitori in cui mescolano la storia della loro famiglia con quella della crisi ambientale). Se anche fosse, e di prove non ce ne sono, la potenza mediatica di Greta ha superato di gran lunga il progetto dei suoi procreatori. 
All’inizio, sul podio degli oratori, salivano in realtà insieme. Qualcosa si è rotto il 9 dicembre scorso, durante uno degli incontri collaterali del vertice sul clima di Katowice, in Polonia. Pochi giorni prima dello straordinario intervento che ha lanciato Greta nell’Olimpo degli eco-eroi, papà e figlia sono, fianco a fianco, ad una conferenza dell’organizzazione «ScientistWarning». I moderatori fanno più domande al padre che alla figlia, forse intimoriti da quel visetto da bambina timida. Svante però, nonostante la voce impostata d’attore e i profondi occhi azzurri, non è un oratore efficace come sua figlia. Incespica con le parole e chiede scusa mentre racconta di quando in famiglia si mangiava ancora carne e si guidava un’auto di grossa cilindrata. Intercala con mille «you know» (sai...) mentre spiega come il mondo abbia bisogno di «un cambiamento radicale di sistema», e infine balbetta quando deve tirare le conclusioni. E allora, inaspettatamente, sotto gli occhi attoniti di noi cronisti del clima, Greta gli sfila il microfono e sicura di sé scandisce in un inglese perfetto quello che papà non riesce a dire: «Practice what you preach», metti in pratica quello che predichi. 
La scena è rubata (per sempre) e Svante, da allora, si è autorelegato nelle retrovie. Oggi si limita a raccontare ai giornalisti una storia che ormai conoscono tutti: Greta undicenne che smette di mangiare e parlare, la sindrome di Asperger, la depressione, di come li ha convinti a diventare vegani e a rinunciare ai voli in aereo, perfino all’auto elettrica in garage («non possiamo guidare auto private se vogliamo raggiungere il target degli accordi di Parigi», concorda lui). 
Quando iniziano ad invitarla a tenere discorsi pubblici, papà e mamma tentennano. Sono preoccupati dai periodi di mutismo selettivo associati alla sindrome di Asperger. Greta non molla. E quando alla Cop24 di Katowice arringa la platea, conquistandola, Svante confessa: «Ho pianto». 
Lui ci tiene molto a ricordare che il suo nome viene da Svante Arrhenius, scienziato svedese e premio Nobel, che nel 1896 per primo calcolò il rapporto fra emissioni ed effetto serra. Un nome, un destino. D’altronde, si sa, dietro una grande persona c’è sempre una grande mamma e/o un grande papà. Relegato nell’ombra. I numeri social confermano: Greta ha 1,25 milioni di follower su Twitter. Papà appena 2.340. Ormai la comparsa Svante si è abituata al ruolo di seconda fila e dopo le 3.000 miglia percorse in barca a vela, si appresta al nuovo tour de force al seguito della eco-figlia. Qualche giorno di riposo, poi l’agenda prevede due summit Onu – il 23 settembre a New York e in dicembre a Santiago – tre scioperi climatici globali e svariati incontri tra Usa, Canada, Messico e Sud America. Svante, ma non è stanco? «Sì, un po’ – ci ha confessato —. Ma questa storia mi ha cambiato la vita in meglio».