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 2019  settembre 01 Domenica calendario

La folle estate di Trump

Sono più di cinque mesi che la Casa Bianca non fa un punto stampa con i giornalisti. La nuova portavoce, Stephanie Grisham, non è ancora mai salita sul podio. Ma così funziona nell’era Trump: il presidente ogni tanto parla con i reporter mentre sale sull’elicottero che lo porta a Camp David, ma soprattutto si affida al suo social network preferito. Nelle ultime 48 ore, tra tweet e retweet, ha prodotto una valanga di cinguettii, con qualche effetto collaterale. 
Immagini segreteNoi non c’entriamo. Venerdì il presidente ha citato il terzo incidente consecutivo nella base spaziale iraniana dicendo che gli «Stati Uniti non sono coinvolti», una excusatio non petita – Teheran non aveva commentato l’esplosione né tirato in ballo Washington – che suona come uno sfottò (il messaggio si concludeva con un «auguro all’Iran buona fortuna»). Soprattutto, ha fatto sollevare più di un sopracciglio il fatto che al tweet fosse allegata una foto dettagliata della base, con tutta probabilità parte del briefing di intelligence mattutino del presidente e quindi materiale classificato. «Avevamo una foto e l’ho pubblicata, cosa che avevo l’assoluto diritto di fare»», ha replicato Trump mentre gli iraniani hanno risposto ieri mostrando il satellite che sarebbe dovuto essere sul missile esploso e twittando «Buongiorno Donald Trump!». Ed è vero che il presidente ha l’autorità di declassificare qualunque informazione decida di rendere pubblica, ma questo non toglie i dubbi sull’opportunità della mossa. E dopo la notizia dell’hackeraggio, venerdì, del profilo del fondatore di Twitter Jack Dorsey, c’è chi si preoccupa di cosa potrebbe succedere se fosse «preso» l’account di Trump: considerando uscite come questa – o quella in cui nei giorni scorsi accomunava il presidente cinese Xi Jinping e il capo della Fed Jeremy Powell nella definizione di «nemici» dell’America – alleati e avversari potrebbero prendere per vero un messaggio degli hacker. 
«Io amo Tiffany»Madeleine Westerhout era l’assistente personale di Trump, tra i pochi membri dello staff a resistere dal primo giorno, ma giovedì è stata accompagnata alla porta. Motivo: in una cena informale con un gruppo di giornalisti, dopo diversi giri di alcolici, si è lasciata sfuggire qualche indiscrezione di troppo sulla famiglia del presidente. Del tipo che Trump preferirebbe la sua compagnia a quella delle figlie Ivanka e Tiffany e che non amerebbe essere fotografato con la seconda, figlia di Marla Maples («non la riconoscerebbe in mezzo alla folla»), perché «grassa».
«Amo Tiffany!», ha liquidato il caso ieri The Donald in uno dei tweet mattutini in cui, mentre dice di perdonarla, minaccia velatamente Westerhout, che sarebbe già stata avvicinata da un editore: «Madeleine ha un accordo confidenziale, è una bravissima persona e non credo ci sarà mai ragione di usarlo. Mi ha chiamato ieri per scusarsi… La capisco e la perdono!». Stando al New York Times, la cacciata di Madeleine sarebbe stata un sollievo per i tanti dentro la Casa Bianca preoccupati dall’eccessiva confidenza con il presidente, che la chiamava «la mia bella».
Stanchi di The Donald?Ieri Trump ha smesso per un po’ di twittare – di Iran, di traditori e dell’uragano Dorian («mostruoso», «straordinario» nella più classica aggettivazione trumpiana) – solo per andare a giocare a golf in Virginia. Da qualche giorno negli Stati Uniti si moltiplicano pezzi e servizi tv sulla «Trump fatigue»: dopo tre anni di oscillazioni, provocazioni e giravolte non sarà che gli elettori, anche repubblicani, cominciano a desiderare un po’ di normalità? Può essere, ma il linguaggio terra terra, le continue inesattezze e le iperboli di The Donald sono la benzina della sua base, che non ha ancora mostrato di esserne stufa.