Corriere della Sera, 31 agosto 2019
«Omosessualità, non c’è un solo gene»
Esisterebbero 5 «varianti» genetiche associate con il comportamento sessuale, nessuna delle quali è però in grado di prevedere la sessualità di un individuo. Quindi non esiste un «gene gay», ma esistono delle micro differenze nel Dna, ognuna con un piccolissimo effetto (attorno all’1%): sono questi i risultati di un grosso studio su circa mezzo milione di genomi pubblicato da Science. Il team internazionale di ricercatori, guidato dall’italiano Andrea Ganna dell’Istituto di medicina molecolare finlandese, ha usato il Dna di volontari che hanno donato campioni di sangue e hanno risposto a questionari per il progetto UK Biobank e quello di decine di migliaia di persone che hanno accettato di rispondere a domande sulla propria sessualità per la compagnia di genomica californiana 23andMe.
Il limite del campione, per quanto molto più ampio di quelli di studi precedenti, sta nel fatto che ci sono persone prevalentemente di origini europee e non giovanissime (tra i 40 e i 70 quelli di Biobank, con una media di 51 quelli di 23andMe) e che i risultati non hanno portato alla luce veri punti in comune tra chi ha avuto almeno una esperienza omosessuale nella sua vita. Tanto che altri scienziati, come la professoressa di epidemiologia Cecile Janssens della Emory University, sono molto perplessi: «Non hanno trovato evidenze sufficienti, e hanno ripetuto cose attorno alle quali non c’è nessuna controversia, cioè che anche dietro l’orientamento sessuale ci sia un mix di fattori – dice Janssens al Corriere —. Inoltre hanno messo nel gruppo “omosessuali” anche chi magari ha avuto una sola esperienza da adolescente».
Il tema della ricerca è particolarmente delicato perché è un caso in cui i risultati della scienza devono fare i conti con l’intolleranza nei confronti dell’omosessualità. C’era quindi chi «temeva» la conferma di un gene gay pensando a chi vaneggia di alterazioni genetiche davanti alla possibilità di conoscere l’orientamento sessuale prima della nascita, e chi invece «sperava» in un «marcatore» nel Dna che mettesse fine all’idea che alcune persone «scelgano» di essere gay, convinzione alla base per esempio delle cosiddette «terapie della conversione».
«Non è corretto dire che non esiste un gene gay – ha spiegato al Corriere Ganna —. Semmai che non esiste un solo gene gay. Ci sono moltissime varianti, e noi ne abbiamo isolate cinque, ma sono migliaia. Il contributo genetico, nella definizione dell’omosessualità, è pari a un terzo o un quarto». Il resto non è solo legato all’educazione o all’ambiente in cui si cresce ma per esempio anche, spiega uno dei coautori, Brendan Zietsch, a fattori non genetici come «l’ambiente ormonale nel grembo materno». Proprio per la sensibilità del tema il gruppo di ricercatori si è consultato con la comunità Lgbtq e ha creato un sito divulgativo sui risultati dello studio. «La ricerca fornisce ulteriore prova che essere gay o lesbiche è una parte naturale della vita umana», ha detto ai media americani Zeke Stokes, del gruppo per i diritti Glaas.