Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 31 Sabato calendario

Biografia calcistica di Aurelio De Laurentiis

È l’anno di Adl? I tifosi si sono subito insospettiti, zero show nel ritiro di Dimaro, e non è da lui, questa è stata la vera sorpresa, tutti si aspettavano che scendesse dall’automobile, allargasse le braccia con quel conclamato semisorriso snob da Aurelio De Laurentiis e poi: eccomi qui, sono io il vostro Icardi. Invece niente, pacato e prudente.
Cosa sta girando nella testa del presidente, che stia cambiando qualcosa? Sì, qualcosa sta succedendo, o sta per succedere, c’è una nuova strategia, prima di cambiare il Napoli, cambiamo noi, ha fatto capire. Poi si è voltato verso il bancone con tutte le maglie in fila pronte per essere autografate dalla squadra, ha incrociato le braccia con il figlio Edoardo e ha guardato dritto negli occhi dei tifosi. È stato il battesimo inaspettato della nuova stagione, anche se nella testa la sfida alla Juventus resta al di sopra di ogni cosa, su questo non ci sono dubbi, magari senza più gli eccessi del passato, ma l’obiettivo non è cambiato, la missione è porre fine al comando bianconero: «È sempre complicato giocarsela con loro, sono 120 anni che hanno gli stessi proprietari, sempre aiutati, sono stati per tanto tempo i padroni dell’Italia, sono la famiglia più potente, nessuno ha voglia di mettersi contro. Con Calciopoli dovevano andarci molto più pesante, è tutto come prima. Sto al gioco, ma voglio cambiare le regole però se occorre tirare fuori le pistole allora non ci sto, preferisco usare il cervello. La sudditanza? C’è e c’è sempre stata».
Seri dubbi che il presidente non ci ricaschi, un po’ riflessivo e anche molto istintivo: «Sì, lo sono, ma non mi sbaglio quasi mai». Finora nella sua guerra totale di una coerenza spaventosa, contro il palazzo, la stampa, i tifosi, il sindaco, sempre giù duro, magari esagerato ma con stile. A Marco Manzo ha regalato uno scooter nuovo di zecca. Era uscito da una assemblea di Lega tumultuosa anche per i suoi bombardamenti a tappeto contro un calendario che infilava le partite cruciali di campionato nelle settimana in cui il Napoli aveva impegni di coppa, e aveva minacciato di ritirare la squadra. Una trentina di giornalisti lo inseguono, prima si gira e li insulta poi salta al volo su una vespa che gli passa davanti: «Andiamo via», e Manzo sgasa. Anche con la stampa guerra senza limiti, bordate e deferimenti dalla Procura federale. Coi tifosi quasi alle mani, fuori dal Tardini scende dalla macchina furibondo dopo una sconfitta, lo fermano gli steward, al San Paolo strattona per la giacca uno che lo apostrofava. Con le curve tolleranza zero: «Cosa vogliono, ho preso il Napoli da un fallimento e siamo in Europa da nove anni. Chiedono Messi e Icardi? Vogliono che fallisca? Il San Paolo è un cesso, ma non voglio offendere i napoletani. Però loro devono capire che qui le cose girano un po’ storte, è difficile portare a Napoli certi giocatori e le loro mogli perché la città non gode di ottima pubblicità per il clima di serenità e di giustizia che si respira». 
Il coraggio non gli è mai mancato, quello di dire ciò che pensa è un suo difetto, la Juventus proprio non l’ha mai digerita, piazzate storiche come nella finale di Supercoppa a Pechino nell’agosto 2012. Rigore discutibile, perde 4-2, scatta l’ordine di non partecipare alla cerimonia di premiazione e la squadra rientra nello spogliatoio. Senza tregua, ironico e inzigante: «La Juventus ha preso Ronaldo? Tutto già chiuso e deciso? Ah, ah, ah, non sono affatto preoccupato, immaginate male, prendete carta e penna e vi spiego: Ronaldo ha una certa età, è pericoloso spendere così tanti soldi per uno a fine carriera». I fatti non gli hanno dato esattamente ragione e un tifoso gliel’ha subito rinfacciato: «Ma se volevi prenderlo tu! Almeno stai zitto!». Fulminato con un’occhiata. È il bello e il brutto di queste parti, il dialogo è schietto, senza formalismi, dai del tu al presidente e il tuo presidente ci sta, si gioca con lo stesso mazzo di carte. Ecco, ma è qui che Aurelio De Laurentiis vuole voltare le pagine. È presidente e membro di decine di comitati e associazioni, la testa sempre in movimento, in evoluzione, attento ai gusti che cambiano, come se avesse un radar e un senso degli affari straordinario, Edinson Cavani, Ezequiel Lavezzi e Gonzalo Higuain ceduti con incassi record e plusvalenze da fare invidia, come i suoi film. È come se si stia convincendo di quanto valga lui e il nome che porta, il diverso e quasi opposto afflato della famiglia rispetto al contesto in cui si deve muovere. 
E ci sta lavorando con al fianco una moglie stupenda, apparentemente sempre un passo dietro ma strategica in ogni campo. Jacqueline Marie Baudit a capo di iniziative a favore delle donne e dei bambini, intuitiva nell’organizzare incontri con le wags dei giocatori alle quali suggerisce le regole per vivere in serenità i celebrati compagni. Educata, schiva, poche parole, la chiamano la mamma di Napoli. Due anni fa, quando al termine di una delle decine di premiazioni, ad Aurelio De Laurentiis venne fatto notare come fosse l’unico produttore cinematografico a vivere ancora assieme alla sua prima moglie, rispose: «Per forza, la amo da 43 anni». C’è lei dietro al diverso dialogo con la tifoseria? Forse. Il Napoli non ha club ufficiali, solo associazioni, ora si sta lavorando a un censimento con statuto unico.
È come se tutte le cose si stiano aggiustando, sembra proprio l’anno di Adl. E magari anche del Napoli.