il Giornale, 31 agosto 2019
Vita breve e infelice di Miss ’500
WIMBLEDONXSul finire del romanzo, riconosciamo, come in una fotografia familiare, il Tedesco. Meglio, il Tedesco Romantico. «La vicinanza alla Germania e alla Svizzera, la natura montana con i suoi continui cambiamenti conferiscono a questi luoghi un fascino particolare. Di una vita idilliaca, così semplice, c’è poco da raccontare, la serena felicità non potrà mai commuovere l’immaginazione del poeta».
A scrivere è Ludwig Tieck (1773 – 1853). Tedesco e Romantico. Tedesco perché lì, sul Lago di Garda che sta descrivendo, ne vediamo ancora oggi a migliaia, di tedeschi, andare in solluchero di fronte al Gardasee che su di loro, provenienti dalla Ruhr o da Berlino, proprio come il buon Ludwig, esercita un appeal esotico da isola caraibica o da atollo polinesiano. Magari con l’aggiunta di un bel lavarello al cartoccio e di una bottiglia di Custoza... Quanto all’animo romantico, lo rivelano le ultime parole: «la serena felicità non potrà mai commuovere l’immaginazione del poeta». I romantici erano (e sono) fatti così: la vita piana o tonda non fa per loro. Loro cercano le salite impervie e le discese a rotta di collo, le asperità dei tormenti, soprattutto amorosi, e l’agone della battaglia, militare o civile.
E infatti, chi ha scelto Tieck per farne l’eroina (un’eroina talvolta drogata da se stessa, tutta compresa nel ruolo di femme fatale – fatale in particolare per il suo stesso destino – e fine poetessa, di fascino mediterraneo e di tempra indipendente) del suo ultimo libro? La Vittoria Accorombona del titolo, che poi sarebbe quella storica Vittoria Accoramboni nata a Gubbio nel 1557 da una famiglia della piccola nobiltà e arrivata con la madre a Roma, da ragazzina, a miracol (estetico) mostrare. Era, pare, una gioia per gli occhi, ma anche un caratterino che te lo raccomando. Tieck se ne innamorò sui vent’anni, leggendo la tragedia di John Webster Il diavolo bianco, del 1612, in cui il drammaturgo elisabettiano, come si intuisce dal titolo, non ne tracciava certo un ritratto all’acqua di rose. Il giovane Tieck voleva difenderne la memoria, ma ci mise un bel po’, licenziando il libro soltanto nel 1840. Lo licenzierà anche Bompiani, il 4 settembre prossimo, nella prima traduzione italiana (di Francesco Maione, pagg. 412, euro 18).
Come spiega Stefan Nienhaus nella Postfazione, Vittoria Accorombona dimostra quanto il suo autore fosse poco conservatore. Lontano sia dai cattolici reazionari, sia dai radicali, auspicava sì uno Stato stabile e forte, ma aprendo ai cambiamenti sociali, primo fra tutti l’emancipazione delle donne. Ed ecco la funzione politica di Vittoria, altrimenti detta Virginia: essere da lontano, dal luminoso quanto oscuro Rinascimento italiano, un modello per le signore o signorine di metà Ottocento. Il romanzo copre infatti, storicamente sebbene con non poche licenze poetiche, il decennio 1575-85.
Giunta da Tivoli nella Città Eterna eternamente incasinata dalle lotte tra fazioni d’alto rango, ma di bassissimo livello morale, Vittoria fin da subito attira intorno a sé più ammiratori-aspiranti mariti-molestatori di quante zanzare infestavano l’intero Agro Pontino. Messosi alle spalle il fugace idillio in provincia con l’umile Camillo che la salva dall’annegamento in un torrente (è la prima e penultima volta che la vedremo semi-nuda...), la Nostra viene insidiata, nell’ordine, da: Torquato Tasso, proprio lui, in fuga dalle gioie e dolori estensi; il cardinale Alessandro Farnese; Francesco Peretti, nipote del cardinale di Montalto, futuro papa Sisto V; Luigi (o Ludovico) Orsini di Monterotondo; e, prima sotto le mentite spoglie di un tale Giuseppe e poi dichiarandosi, da Paolo Giordano I Orsini, primo duca di Bracciano. La ragazza, che non ha mai conosciuto il padre, conosce fin troppo bene la propria madre Giulia, e sa di non poter contare su di lei per costruirsi un futuro roseo. Né su di lei, né sui tre fratelli: il maggiore Ottavio, arrampicatore clericale, il mezzano Marcello, datosi alla macchia e alla lotta armata, il piccolo Flaminio, effeminato e ben presto affogato nei marosi della vita.
Sicché, nata incendiaria con discorsi del tipo: non mi sposerò mai, gli uomini vogliono tutti quella cosa lì, nessuno mi capisce, meglio morta che prigioniera, diventa pompiera prima dei vent’anni e coglie al balzo la palla più agevole da maneggiare: si prende infatti in sposo il buono a nulla Peretti, perso fra deliri alcolici e cattive compagnie. Gli altri galli vanno su tutte le furie, in particolare i due Orsini... «È davvero così difficile morire e chiudere il libro degli affanni, senza leggere fino in fondo tutte le sue pagine?» si chiede Vittoria dopo l’ennesimo attacco-minaccia del più assatanato fra i due orsi Orsini, Luigi o Ludovico, che le sarà fatale e letale il 22 dicembre 1585.
Il lettore, invece, le pagine di Tieck vuole leggerle tutte, per sapere dove andrà a parare il processo di emancipazione di quel candido giglio sporcato da mani volgari. E nel farlo compirà una cavalcata nell’Italia del XVI secolo, ripassando capitoli di violenze efferate (i potenti che si fanno scudo dei malviventi per poi sacrificarli ai propri interessi di famiglia; i mariti che si disfano a mani nude delle mogli; un papa che fa trucidare le pecorelle smarrite), e riconoscendo, prima che gli usi e i costumi del pacifico Tedesco Romantico da cui siamo partiti, quelli del potere in quanto tale. E quando sembra che l’amore, finalmente, possa trionfare nell’happy end, il peggio deve ancora arrivare.
Vittoria Accorombona, fata e strega insieme, malgrado una fine prematura ce l’ha fatta a diventare un’eroina romantica. E con circa tre secoli di anticipo.