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 2019  agosto 31 Sabato calendario

L’invasione nazista della Polonia, 80 anni fa

All’alba del primo settembre 1939, esattamente ottanta anni fa, le truppe tedesche invasero la Polonia, dando così inizio alla seconda guerra mondiale. In queste pagine ne abbiamo già rievocato gli antefatti: la caduta della Repubblica di Weimar, l’avvento al potere del nazismo, la condotta remissiva delle democrazie occidentali culminata con l’accordo di Monaco e infine il patto Ribbentrop Molotov che diede a Hitler il via libera per la conquista della Polonia. Qui concludiamo il ciclo narrando l’inizio e la fine di quella campagna, rispondendo prima a una domanda: Hitler voleva veramente la guerra?
IL DIBATTITO
Nell’opinione corrente la risposta è facile, ed è affermativa. Tuttavia alcuni storici, anche di campo avverso, come A.J.P Taylor e Basil Liddel Hart sostengono che non fu affatto così. La loro tesi è che il Führer – tra l’altro consapevole dell’impreparazione militare della Germania non intendesse affatto provocare un conflitto con gli alleati. Al contrario, sarebbe stato addirittura sorpreso dalla loro reazione bellicosa. Convintosi dell’arrendevole politica di appeasement di Francia e Gran Bretagna davanti alle sue precedenti conquiste, pensava che le due «decadenti democrazie» avrebbero fatto altrettanto con la Polonia, benché pochi mesi prima Chamberlain ne avesse garantito l’integrità territoriale.
Con tutto il rispetto per questi illustri studiosi, è una tesi ben singolare. È infatti vero che Hitler era convito che gli Alleati non avrebbero reagito, ma è altrettanto vero che la Polonia l’avrebbe invasa comunque, anche a rischio di un conflitto, tant’è che alla fine di agosto aveva schierato al suo confine ottanta divisioni, e aveva persino simulato un’aggressione polacca in realtà organizzata dai suoi servizi segreti. Se la guerra scoppiò, non è perché Hitler non la volesse: semplicemente sbagliò i calcoli, perché questa volta le democrazie occidentali reagirono. Ma la colpa di aver scatenato il conflitto fu sua, e soltanto sua.
Purtroppo per lui e per il mondo intero la vittoria fu rapida. Paradossalmente fu una disgrazia soprattutto per la Germania, perché la illuse di essere invincibile, e di potersi confrontare con nazioni, eserciti ed economie enormemente superiori. Ma in quell’autunno di ottanta anni fa la vittoria sbalordì il pianeta.

PATRIOTTISMO
L’esercito polacco era animato da un patriottismo eroico e minato da un orgoglio illusorio: credeva di affrontare i carri armati con le tradizionali cariche di cavalleria. Inoltre confidava nell’intervento degli alleati, che avrebbero impegnato sul Reno il grosso delle forze nemiche. Entrambi i calcoli furono sbagliati. La Gran Bretagna non aveva truppe sul Continente, e i francesi, protetti dalla linea Maginot, fecero solo qualche timida sortita. Nel frattempo le armate tedesche attaccarono dalla Prussia orientale, da Ovest e da Sud. Erano truppe modernamente equipaggiate, comandate da geniali condottieri come Rundstedt, Reichenau e soprattutto Guderian. Quest’ultimo aveva elaborato un impiego dei panzer autonomo, coordinato con l’aviazione d’attacco. Le nuove divisioni corazzate entrarono tra le linee polacche come il coltello nel burro, chiusero le sacche di resistenza e ripartirono di nuovo. In tre settimane furono alle porte di Varsavia. Nel frattempo i russi, entrati da Est, avevano occupato il territorio loro assegnato dal famigerato patto stipulato da Molotov pochi giorni prima. La resistenza dei polacchi fu tanto valorosa quanto inutile: l’unica consolazione fu il limitato numero di morti, perché, come in tutti i blitzkrieg, la questione si risolse in poco tempo. Il 6 Ottobre Hitler dichiarò chiusa la campagna e la Polonia fu di fatto incorporata nel Reich.
La brillantissima strategia della Wehrmacht non insegnò nulla ai francesi, che continuarono a confidare nelle difese fisse della Maginot e nella robusta consistenza della loro fanteria. Cosicchè quando nel maggio del 40 Hitler attaccò attraverso le Ardenne, la storia polacca si ripeté con una drammaticità anche maggiore. Guderian sfondò a Sedan e arrivò alla Manica in meno di due settimane, tagliando fuori l’intero corpo di spedizione britannico che si salvò solo con la miracolosa ritirata di Dunkerque. I tedeschi ripresero fiato, e puntarono su Parigi. La capitale cadde il 14 Giugno. Anche qui, la campagna era durata poco più di un mese.

L’ERRORE
Nell’ebbrezza di queste vittorie, Hitler volle ripetere il colpaccio con la Russia, senza conoscere né la Storia né la geografia. I nomi di Napoleone, di Kutuzov e del generale Inverno non lo intimidirono. Il 21 giugno 1941 invase l’Unione Sovietica con un esercito doppio rispetto a quello impiegato in Polonia, e con panzer ben più numerosi e più moderni. I comandanti erano sempre gli stessi, e per i primi tre mesi il copione polacco e francese si ripeté: sfondamenti rapidi, conversioni a tenaglia, masse enormi di prigionieri, ripresa dell’offensiva, altro sfondamento, altre sacche di resistenza aggirate e distrutte. Ma quando, esausti, i tedeschi arrivarono a intravedere le cupole del Cremlino, la neve cominciava a cadere, l’equipaggiamento mancava, e Stalin faceva convergere in soccorso le divisioni siberiane. Lì cominciò, con un anno di anticipo rispetto a Stalingrado, la sconfitta della Wehrmacht.

L’OLOCAUSTO
Intanto la Polonia gemeva sotto il tallone dell’invasore: e soprattutto gemevano i milioni di ebrei di cui subito cominciò la ghettizzazione e il massacro. Il mondo conosce Auschwitz, che in effetti fu il più grande dei campi di sterminio. Ma le prove generali di questa fabbrica mortale fu fatta, sempre e solo in Polonia, in località che oggi a molti dicono poco: Chelmno, Belzec, Maidanek, Treblinka e Sobibor, che nemmeno esistono come luoghi di memoria, perché gli stessi nazisti ne distrussero le tracce. Nella spaventosa storia della Shoah, la Polonia fu il primo, e il più grande teatro di eccidio industrializzato.
La Polonia tuttavia non si arrese del tutto. Il governo si rifugiò a Londra, e molti militari, fuggiti dalla patria occupata, costituirono un corpo di combattenti che si distinse per abilità e coraggio in Normandia, in Italia e in Olanda. Ma fu tutto inutile. Alla fine del conflitto, in base agli accordi di Yalta, questa nobile nazione entrò sotto l’influenza russa, con una dittatura spietata quanto quella precedente. Molti si domandarono se fosse stato giusto, visti i risultati, morire per Danzica. La risposta migliore la diede un sergente americano davanti agli orrori di Dachau: «Ecco – disse tra le lacrime – per cosa abbiamo combattuto; perché questo non accada più».