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 2019  agosto 31 Sabato calendario

Viaggio in Cina tra file e maschi in bikini

Se Bill Murray e Scarlett Johansson si fossero incontrati al bancone di un bar cinese, anziché giapponese, Lost in translation avrebbe avuto una trama leggermente diversa. Lui avrebbe provato a ordinare un whisky, ma il cameriere non avrebbe capito nulla e gli avrebbe portato una tazza d’acqua bollente. Lei sarebbe andata alla cassa per pagare e sarebbe rimasta in fila fino al capodanno cinese, e alla fine si sarebbero scambiati i contatti via fb, ma i social in Cina sono censurati.
E quindi niente scena finale con i due che si baciano appassionatamente in mezzo a una strada trafficata, ma, al massimo, la sagoma scura di Murray che si allontana mentre insulta Google Maps il quale ha localizzato il suo ristorante in un negozio di vernici per interni. E lo dico con cognizione di causa, perché ho trascorso 25 giorni in Cina amandola e odiandola a minuti alterni, come si odiano e amano le cose meravigliose e inafferrabili. Ecco quello che ho imparato della Cina:
 
AL RISTORANTE. Dopo anni di riso alla cantonese e involtini primavera, arrivando in Cina scopri che il cibo che in Italia ti viene venduto come cinese non esiste. Mentre nelle bancarelle per la strada viene coltivato il culto per le cose che puzzano – come il tofu nero che puzza di piedi di escursionista o il durian, l’enorme frutto appuntito, che una volta stufato diffonde nei dintorni aroma di cadavere di cane nella cunetta – nei ristoranti le specialità sono le più disparate: dal grasso di maiale a forma di piramide alla salamandra in via d’estinzione. Ma non riuscirai comunque a ordinarle, soprattutto fuori dal circuito delle grandi città, perché 1) il menu è in cinese 2) i camerieri parlano in cinese 3) la specialità del posto è sempre finita. Un’altra cosa che non puoi ordinare al ristorante è l’acqua in bottiglia. Se chiedi dell’acqua, ti portano dell’acqua bollente. Se gli chiedi acqua fredda non capiscono. Se gli mostri una foto di una bottiglia d’acqua iniziano a ridere.
Stesso discorso per i tovaglioli. Nove volte su dieci non ci sono, se ci sono si pagano a parte. A dire il vero no, una volta ce li hanno portati gratis: era un rotolo di carta igienica, proprio di fianco alla nostra zuppa. E stiamo parlando del popolo che ha inventato la carta. Del resto, i cinesi hanno inventato anche la bussola e Google Maps, in Cina, quando provi a tornare in hotel, ti indirizza verso il confine col Bhutan.
 
LA LINGUA. Che nessuno parli inglese è qualcosa a cui ci si può anche abituare in un paio di giorni. Il motivo per cui però tutti, anche quando hanno capito che di cinese non spiccichi una parola, insistano a intrattenerti con lunghissimi discorsi in mandarino guardandoti come si guarda un cane quando credi che ti capisca, invece, rimane avvolto da un fitto mistero. L’unico modo per comunicare con i locali sono le applicazioni di traduzione simultanea per telefonino. Il problema è che sono spesso macchinose, e non sempre precisissime. Una volta avevo chiesto indicazioni a un passante e la sua risposta, tradotta simultaneamente, era stata “sono un alieno con i gatti sulla ferrovia la stazione è esplosa”. Giuro.
 
LE APP. Con il traduttore i cinesi interagiscono con gli stranieri. Ma per interagire con altri cinesi esiste un intero universo di applicazioni, programmi, social network paralleli, misteriosi e affascinanti. Le app per pagare con il telefonino sono le più incredibili, e non tanto perché basta inquadrare una specie di codice a barre per pagare istantaneamente, ma piuttosto per le categorie di beni o servizi che puoi pagare in questo modo. Puoi comprare un gelato fatto da un robot, puoi noleggiare un motorino elettrico senza nemmeno bisogno di un cassiere, ma puoi anche comprare una banana da un venditore ambulante che le trasporta in bicicletta.
Sembra di essere nel futuro. Poi se provi a pagare con la carta di credito quasi quasi ti insultano, e allora ti senti nel presente, a casa, in fila alla stazione dei taxi di Roma Termini.
Il bikini pechinese. Quando fa caldo in Cina gli uomini si arrotolano la maglietta lasciando la pancia scoperta e girano per le città e i ristoranti con questo bizzarro look da odalischi buzzurri che, a quanto pare, è un’usanza molto radicata. Mi avevano spiegato che in molte città cinesi ci sono perfino ordinanze che vietano quello che viene chiamato “il bikini pechinese”, ma ho visto più panze maschili nude per strada in Cina che alla spiaggia di Viserbella a Ferragosto. Va detto che il bikini pechinese è comunque più elegante dell’accoppiata borsello/pinocchietto del maschio italico, quindi i maschi cinesi sono ufficialmente assolti.
I bagni. I bagni cinesi sono mediamente grandi quanto un box doccia: ne consegue che i box doccia nei bagni non c’entrano, per cui la doccia è un getto d’acqua che scende dal soffitto posizionato accanto al water. Senza tende, vetro, mura. Facendosi la doccia, sostanzialmente, si lava se stessi, il water, lo scopettone del cesso, il pavimento e il lavandino, dunque superato lo sconcerto iniziale, ho apprezzato l’ottimizzazione cinese di spazio e tempo. Credo che tornata in Italia monterò una doccia senza tenda in cucina e mentre mi lavo darò una botta pure a frutta e verdura.
Il comunismo. Se serve la prova definitiva che la Cina sia l’unico luogo al mondo in cui convivono splendidamente capitalismo e comunismo, segnalo che a Shanghai, la sede del primo congresso del partito comunista cinese è a 30 metri da Tiffany, da una serie di marchi di lusso e dalla sede locale della celebre pasticceria milanese Cova in cui un pasticcino costa come lo stipendio annuale di un operaio cinese. A Natale si dice sia previsto il panettone Cova da tagliare con la falce.
Le file. Ad agosto in Cina ci sono pochi stranieri ma molto turismo interno. Considerato che la popolazione cinese conta 1 miliardo e mezzo di abitanti, ciò vuol dire che la vera muraglia cinese non è quella di 8000 km inserita tra le sette meraviglie del mondo moderno, ma quella di un milione di km formata dalle folle oceaniche di turisti cinesi inserita tra i sette incubi del mondo moderno, assieme alla trippa verde fermentata e alla coalizione M5S-Pd.
Ho fatto file di ore per salire sulla Muraglia, per ammirare i guerrieri di terracotta, per vedere le montagne di Avatar, per i bagni, le biglietterie, i ristoranti, i pullman, le seggiovie, i taxi, le bici, i muli, i pedalò e i minipony. Se trovate qualche cinese in fila per il Reddito di cittadinanza, non lo guardate male. Non è uno straniero che vi vuole togliere il pane dai denti, è solo l’ultimo della coda in fila a Pechino per vedere la salma di Mao.