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 2019  agosto 31 Sabato calendario

Guida filosofica del turista responsabile

Mi sono chiesto spesso come ci si può sentire a lavorare in un settore considerato fra i principali responsabili del riscaldamento globale, per esempio il comparto petrolifero o l’allevamento di bestiame. Poi di colpo mi sono reso conto che la mia non era una domanda ipotetica, essendo uno scrittore di viaggi. Sì, lo so da tempo che il carburante per aerei emette una quantità terrificante di gas serra, ma tendevo ad addossare la responsabilità al settore dei combustibili fossili e a quello dell’aviazione. Ora il movimento del flight shaming (vergognarsi di volare) che è emerso recentemente in Svezia e si è diffuso in Europa, ha cominciato a puntare il dito sui viaggiatori. E adesso sta attraversando l’Atlantico. Gli americani privilegiati ma attenti all’ambiente si trovano di fronte a un dilemma: le nostre vacanze estive stanno distruggendo il pianeta?
Senza contare che i viaggi aerei non sono l’unico fattore, all’interno del crescente senso di colpa del vacanziere, che si sente a disagio (e fa bene) anche perché contribuisce alla degradazione ambientale e sociale di destinazioni afflitte da sovrasfruttamento turistico, per esempio quando si unisce alle folle che visitano Venezia o Angkor Wat o affitta un appartamento Airbnb in quello che un tempo era un quartiere residenziale a buon mercato di Barcellona.
Quando ero editorialista fisso sul New York Times , con una rubrica intitolata «Il viaggiatore frugale », non mi preoccupavo quasi mai di queste cose, ma da allora ho cominciato a provare un disagio crescente verso i viaggi. Ci sono state quelle due settimane nel meraviglioso quartiere di Príncipe Real, a Lisbona, dove i residenti sembravano essere stati sostituiti quasi interamente da turisti che dormivano in case vacanze nel quartiere e giravano con la guida in mano. C’è stato quello sconvolgente annuncio della Iata (l’Associazione internazionale del trasporto aereo) che diceva che il numero annuo di passeggeri potrebbe raddoppiare nei prossimi vent’anni, e subito dopo quell’articolo che sosteneva che nulla induce a pensare che le compagnie aeree, sempre nei prossimi vent’anni, ridurranno se non in misura marginale la loro dipendenza dai combustibili fossili. E infine c’è il mio crescente disagio verso gli influencer di viaggi, che trasmettono un’immagine idealizzata e à la page del turismo, raffigurandolo come una parte imperdibile dell’esperienza umana, qualcosa che se non lo fai non sei nessuno.
Sì, insomma, veniamo al sodo: dobbiamo proprio sentirci in colpa? E se sì, quanto? Beh, per cominciare diciamo che non c’è bisogno che vi autoflagelliate per quella settimana in Italia. È vero che il vostro volo andata-ritorno probabilmente è il maggior contributo alla vostra impronta ecologica per quest’anno, ma la vergogna non è l’emozione giusta. «Più cerchiamo di cambiare i comportamenti delle altre persone, specialmente se le facciamo sentire in colpa, meno probabilità avremo di riuscirci», mi ha detto Edward Maibach del Centro per la comunicazione sui cambiamenti climatici dell’Università George Mason.
L’impatto maggiore che può avere un individuo è un altro: fare pressione sui governi perché affrontino i problemi legati al turismo su larga scala. E anche parlare con amici e familiari di queste misure, e sostenere ricerche, associazioni e candidati politici che prendono i vostri temi sul serio. Questo non significa che le scelte individuali dei consumatori non abbiamo importanza. Da quando il movimento ha preso il via, in Svezia gli spostamenti in aereo sono calati e quelli in treno sono aumentati, e la cosa non è sfuggita alle compagnie aeree. L’olandese Klm ha addirittura lanciato una campagna “Vola responsabilmente”, con tanto di sito web che chiede ai visitatori se non sarebbero più felici organizzando riunioni virtuali o usando il treno.
Prendeteli in parola e cominciate a ridurre il vostro chilometraggio complessivo per turismo. Avete davvero bisogno di fare tutti questi viaggi all’anno? Le banalità sui viaggi abbondano: sono fonte di ispirazione, sono educativi, riducono l’intolleranza. Ma non tutti i viaggi soddisfano questi criteri: un programma di scambio scolastico in Vietnam non è la stessa cosa di una settimana in un resort alle Maldive.
La maggior parte dei viaggi di piacere, naturalmente, si colloca a metà fra questi due estremi. Il mio consiglio, quindi, è di fissare un’asticella alta, facendo in modo che ogni viaggio stabilisca la massima connessione possibile con il luogo che state visitando: facendo attività di volontariato, cercando un tour operator particolarmente responsabile o andando in un Paese dove avete degli amici che possono aiutarvi a vivere in modo realmente locale. Un’altra cosa che si può fare è sostituire, in tutto o in parte, aeroplani e viaggi in macchina con forme di spostamento più pulite. È vero che un viaggio a Parigi richiede necessariamente un volo aereo, ma una volta arrivati laggiù non è necessario svolazzare da un capo all’altro dell’Europa con le linee low cost. Prendete il treno: non solo è meglio per l’ambiente, ma è anche più divertente e interessante. Non riuscirete a vedere lo stesso numero di posti nello stesso numero di giorni, ma in ogni caso saettare di città in città di solito è solo un frenetico accumulare destinazioni.
Quando poi volate, pagate qualcosa in più per volare inquinando meno. Privilegiate quelle compagnie aeree che prendono sul serio il problema della loro impronta ecologica. Questi programmi sono stati oggetto di violente critiche, ma negli ultimi anni sono enormemente migliorati, grazie all’attento monitoraggio di organismi indipendenti.
Un altro modo per essere un viaggiatore migliore è scegliere dove spendere i vostri soldi. Con un po’ di ricerche in più potete trovare dei validi sostituti per aree sovraffollate come Dubrovnik in Croazia o Cuzco in Perù. Le località meno visitate hanno molti vantaggi, non ultimo il fatto che la gentilezza dei locali di solito è inversamente proporzionale al numero di turisti.
Se proprio dovete visitare le destinazioni più popolari, fate tutto il possibile per supportare attività locali invece di catene internazionali. Se non riuscite a resistere al richiamo di Airbnb, almeno cercate una casa dove per la maggior parte dell’anno viva effettivamente un abitante del luogo (che poi è quello che era un tempo Airbnb): vestigia del genere ancora si possono trovare, se ci si impegna a cercarle.
La maggior parte di questi consigli fa aumentare il costo del viaggio, e questo potrebbe significare viaggiare ancora di meno. Potete pensarla come una tassa progressiva pagata da chi è abbastanza fortunato da viaggiare per compensare il danno che procura al mondo in cui chi non può viaggiare è costretto a vivere. È un piccolo prezzo da pagare. E forse vi farà sentire un po’ meno vergogna.


Seth Kugel è un ex editorialista del New York Times (la rubrica Frugal Traveler) e autore di Rediscovering Travel: A Guide for the Globally Curious.
 Copyright 2019 The New York Times (Traduzione di Fabio Galimberti)