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 2019  agosto 30 Venerdì calendario

L’incarico a Conte

Adesso che frugando in tasca può addirittura toccare con mano il nuovo incarico a formare il governo, Giuseppe Conte alza il prezzo. E lo fa con un obiettivo politico che guarda ai prossimi anni: «Istituzionalizzare definitivamente il Movimento». Per farlo, gli serve non un governo Conte, ma un governo di Conte. Con qualche nome nuovo, con parecchi ministri nuovi. In nome di un progetto: il “contismo”.
La telefonata a Nicola Zingaretti contiene il germe di questa rivoluzione. «Voglio ragionare con le due forze politiche e incidere sui nomi dei ministri – è il senso del nuovo contatto con il segretario dem – E questo perché voglio che la squadra risponda all’idea che ho di questo governo». Teorizza una normalizzazione definitiva della prima forza anti- sistema d’Italia, ma chiede al Pd di pagare una posta altissima: abbandonare l’idea di un esecutivo di coalizione per tracciare una sorta di governo del Presidente.
Non sarà facile, perché Zingaretti ovviamente non intende cucire per l’avvocato un abito da nuovo “Prodi giallo-rosso”. E perché Di Maio sgomita, resiste, prova a mantenere una leadership che gli è già sfuggita di mano. Il rischio è che questa miscela complichi la navigazione del nuovo esecutivo. «Non vorre fare la fine di Pandolfi....», ha sussurrato il premier ad alcune delegazioni dei partiti incontrati ieri a Montecitorio, ricordando il precedente del ministro diccì che nell’estate del 1979 ricevette l’incarico e fu costretto a rinunciare dopo pochi giorni.
Sia chiaro: Conte crede nell’operazione. È letteralmente euforico, nonostante un’estate immolata alla decapitazione di Matteo Salvini. Stanco, certo, ma convinto di portare avanti un’operazione capace di scompaginare il quadro politico nazionale. Per questo, ha preso seriamente anche la battaglia tra Pd e Movimento sui vicepremier. E ha deciso di volgerla a proprio favore.
Di Maio insiste, lo martella incessantemente. E il premier prova a mediare con Zingaretti. Vuole convincerlo a concedere l’onore delle armi al capo politico del Movimento, che dopo essere stato frenato agli Interni, rischia di perdere anche la Difesa e gli Esteri. Dal Lavoro, invece, vorrebbe defilarsi. Ma così dovrebbe accontentarsi soltanto dello Sviluppo economico. Senza vicepresidenza del Consiglio, si mostrerebbe troppo debole agli occhi del Movimento. «L’alternativa – ha ribadito anche ieri al segretario dem – è nessun vice».
C’è una strategia dietro a questa minaccia. Quella, come detto, di plasmare a sua immagine la nuova squadra. Per farlo, potrebbe decidere di non accettare un dem come sottosegretario alla Presidenza, e neanche il grillino Vincenzo Spadafora: vorrebbe invece pescare dal suo mazzo e promuovere Roberto Chieppa, segretario generale di Palazzo Chigi negli ultimi quattordici mesi, capace di distinguersi per equilibrio nonostante l’era populista.
Per far capire che fa sul serio, Conte dissemina segnali lungo il cammino. Dopo aver accettato con riserva l’incarico di Sergio Mattarella a formare il nuovo esecutivo, il premier ha tracciato la rotta. «Non sarà un governo “contro”, ma nel segno della novità». Di più: «Sarà un nuovo umanesimo per rilanciare il Paese». Per mandare un messaggio a Zingaretti, promette una ««stagione riformatrice e di speranze». Tra gli accenni programmatici, indica la manovra per sterilizzare l’aumento dell’Iva, la crescita, il «contrasto all’evasione fiscale, in modo che proprio tutti paghino le tasse, ma ne paghino meno».
Poi, nel pomeriggio, l’avvocato incontra alla Camera i gruppi parlamentari più piccoli, da +Europa di Benedetto Della Vedova – che difficilmente entrerà in maggioranza – a Leu. Vede anche Bruno Tabacci. «Al Presidente – spiega – ho detto che servirà attenzione per normalizzare il Movimento. Volevano il vincolo di mandato: fosse così, non potremmo neanche votare questo esecutivo...». Musica per le orecchie dell’avvocato: guidare e istituzionalizzare. Verso il “contismo”.