la Repubblica, 30 agosto 2019
Il saluto di Salvini al Viminale
«Il nostro è un arrivederci, sappiatelo. Sono convinto di aver fatto bene, più di quanto abbiano fatto altri ministri, e conto di tornare molto presto a occuparmi di sicurezza, di voi, dei nostri straordinari militari». Sala Roma del Viminale, secondo piano, quello dell’ufficio di gabinetto del ministro dell’Interno. C’è un brindisi in corso, su i calici colmi di spumante. Matteo Salvini indossa una camicia bianca sbottonata, le maniche svoltate, microfono in mano e la voce rotta da un filo di commozione. Davanti, un centinaio di persone, il suo gabinetto al completo, la squadra che lo ha supportato in questi 14 mesi. Ci sono alcuni prefetti, c’è il capo della Polizia Franco Gabrielli, i capi dipartimento. Prende la parola il suo braccio destro operativo, il prefetto Matteo Piantedosi, poi il ministro uscente. Poche parole di ringraziamento, tutto ruota attorno alla voglia e alla promessa di tornare. Applausi, qualche lacrima (raccontano dallo staff), tanti selfie. Coi commessi ma non solo.
È mezzogiorno del 29 agosto. Gli scatoloni dell’inquilino in uscita sono già pronti nell’angolo del suo studio. Ma Salvini resterà fino all’ultimo momento utile. Fino al passaggio di consegne col successore, al quale fa sapere che stavolta presenzierà, contrariamente a quanto fatto con Marco Minniti nel giugno 2018. Gli stringerà la mano, fosse pure un esponente del Pd. Con Giuseppe Conte invece no, non vuole avere più niente a che fare. Nella quotidiana diretta Facebook dal tetto dal ministero lo chiama già “Monti bis”. E questa mattina alle consultazioni della Lega a Palazzo Chigi non andrà il leader e nemmeno i capigruppo, il premier incaricato dovrà accontentarsi dei sottosegretari Claudio Durigon, deputato, e Lucia Borgonzoni, senatrice. Fine di una storia.
Salvini guarda oltre, il tempo della moderazione è già finito e convoca la piazza. «Non per insurrezioni» ma per una giornata «dell’orgoglio italiano», per denunciare il «furto della democrazia», come annuncia dal proclama mattutino. «Tutti a Roma il 19 ottobre per dire no al governo delle poltrone e invocare elezioni». Ottobre, Roma, a sinistra sa di “marcia”, solo una manciata di giorni di differenza (era il 28 ottobre del 1922). Prima, un nuovo tour pre-elettorale, come se si votasse a breve, assemblea con gli amministratori leghisti il 14 settembre, Pontida l’indomani, i gazebo nelle piazze il 21-22. «Perché io non mollo, non vi libererete così facilmente di me», avverte il ministro uscente guardando la telecamera del suo cellulare. Attacca Mattarella: «Sono deluso, dal presidente mi sarei aspettato il voto, il diritto di voto agli italiani». E le istituzioni europee. L’ex commissario tedesco Oettinger annuncia che «Bruxelles è pronta a fare qualsiasi cosa e a ricompensare il nuovo governo italiano: ecco le magie degli amici delle poltrone – dice il segretario – questo governo nasce lì per far fuori quel rompipalle di Salvini e il primo partito italiano. Ricompensa in cambio di cosa? Cosa è stato svenduto?». E se la nuova Commissione europea festeggia e lo isola, l’amico Viktor Orbán lo abbraccia. Il primo ministro ungherese gli scrive per manifestargli «altissima stima e gratitudine» per aver impedito «il flusso incontrollato di immigrati in Europa: la consideriamo un compagno di battaglia nella nostra lotta per fermare l’immigrazione e per preservare il patrimonio cristiano europeo».
Per adesso tuttavia la battaglia di Salvini si ferma qui. Restano ora le possibili ripercussioni del suo operato. “È in arrivo un’altra indagine contro di me per sequestro di persona per il caso Open Arms» scrive in serata via Twitter. «Nessuna paura», dice. Solo in privato lo assalgono i fantasmi, solo ai più intimi confessa: «Vedrete, dopo il governo faranno di tutto per farmi fuori dalla politica per via giudiziaria e per impedirmi di arrivare a Palazzo Chigi, i poteri forti e i giudici sono già in azione». Moscopoli, le inchieste per sequestro e chissà cos’altro rende insonni le notti dell’ormai ex vicepremier.