la Repubblica, 30 agosto 2019
Il judoka iraniano costretto a perdere contro un israeliano
Nell’antica Grecia si sospendevano le guerre durante i Giochi olimpici. Oggi succede l’opposto, le guerre continuano e si sospendono gli atleti. L’ennesima invasione di campo della politica nello sport arriva da Tokyo dove ai mondiali di judo l’israeliano Sagi Muki, 27 anni, ha vinto nella categoria 81 chili la prima storica medaglia d’oro per il suo Paese, agevolato dal fatto che il suo principale avversario, l’iraniano Saeid Mollaei, campione uscente e superfavorito, è stato costretto dalle autorità della Repubblica islamica a farsi battere in semifinale per non incontrare un rappresentante dell’«entità sionista».
Stando a quanto riferito da fonti dello Stato ebraico, Mollaei avrebbe voluto difendere il titolo e, conscio dei pericoli di una simile decisione, avrebbe chiesto agli allenatori di garantire la sicurezza dei familiari in patria. A casa sua si sarebbero invece presentati agenti dei servizi iraniani che avrebbero intimidito i congiunti, mentre altri 007 si sarebbero introdotti nel palazzetto degli incontri in Giappone per avvertirlo di non disobbedire agli ordini.
Nel febbraio scorso era già avvenuto qualcosa di analogo durante una gara internazionale a Parigi, protagonisti gli stessi due atleti. L’iraniano finse un infortunio per evitare il match con Muki. La Federazione del judo di Teheran a maggio aveva emesso un comunicato per esprimere la volontà di porre fine al boicottaggio degli israeliani «nel pieno rispetto dello statuto olimpico e dei suoi principi contro ogni discriminazione». Proposito evidentemente vanificato dalla tensione crescente in Medioriente tra le due potenze regionali. Nei giorni scorsi le forze di Tel Aviv avrebbero colpito con attacchi mirati obiettivi iraniani in Siria e in Iraq e si è diffusa la notizia che alcuni caccia dello Stato ebraico hanno violato lo spazio aereo iraniano sfuggendo ai radar. Un segnale chiaro: vi possiamo colpire quando e dove vogliamo. Israele considera la minaccia più grave alla sua stessa esistenza l’eventualità che gli ayatollah possano dotarsi dell’arma atomica.
L’ultima volta che la Repubblica teocratica ha autorizzato un match contro i nemici risale al 1983 in occasione di un incontro di wrestling a Kiev. Da allora, una serie infinita di rifiuti, in diverse discipline, spesso imitati da sportivi di altri Paesi arabi o musulmani. Alle Olimpiadi di Atene del 2004 un altro iraniano candidato all’oro, Arash Miresmaeili, evitò di battersi sul tatami, venne accolto al rientro come un eroe e fu premiato con 115 mila dollari, il compenso previsto per il massimo gradino del podio. Nel nuoto, sia ai Giochi di Pechino 2008 che ai Mondiali di Roma 2009, un iraniano non volle dividere l’acqua con un israeliano. A Londra 2012 i libanesi rifiutarono di allenarsi accanto agli atleti con la stella di Davide. Nel tempio del tennis Wimbledon fu un tunisino a deporre la racchetta. Persino nei cerebrali scacchi, in Svizzera, un israeliano dovette sentirsi indesiderato. Quanto allo sport più popolare, il calcio, Israele ha peregrinato tra le Federazioni di diversi conti nenti (Asia, Oceania) prima di trovare ricovero nel Vecchio Continente, senza tuttavia trovare completa tranquillità se in occasione degli europei under 21 del 2013 si sprecarono le polemiche e i tentativi di boicottaggio.
Sagi Muki è solo l’ultima vittima di una geopolitica che travolge qualsiasi spirito sportivo. Prima del caso con l’iraniano aveva dovuto conoscere l’affronto dell’egiziano Mohamed Abdelaal, da lui battuto nelle eliminatorie, che si è rifiutato di stringergli la mano. Con l’Egitto Israele ha firmato un trattato di pace. Pace fredda.