Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  agosto 30 Venerdì calendario

L’Argentina vuole ristrutturare il debito

Le casse dello Stato sono vuote. Non ci sono più soldi. Quei pochi rimasti servono a pagare i prossimi stipendi. Ma per il resto si rischia la bancarotta. Per l’Argentina si riaffaccia lo spettro del corralito, la grande crisi d’inizio secolo che fece chiudere di colpo tutte le banche, bloccò i conti correnti, con la gente in strada presa dal panico e dalla rabbia. Il ministro dell’Economia, Hernán Lacunza, ha ammesso «difficoltà di liquidità» ma ha assicurato il Fondo Monetario Internazionale che il paese «sarà solvente», cioè in grado di saldare le rate del prestito da 57 miliardi di dollari concessi otto mesi fa dall’organismo finanziario. Il colpo arriva al culmine di una doppia crisi, politica e economica. Da un lato le crescenti difficoltà del presidente Mauricio Macri a portare avanti le riforme strutturali su cui si era impegnato con Christine Lagarde nelle trattative per la concessione del prestito; dall’altro la sua pesante sconfitta alle primarie dell’11 agosto scorso quando i sondaggi hanno mostrato un distacco di 16 punti del suo avversario Alberto Fernández e la più che probabile vittoria dei peronisti alle prossime elezioni presidenziali di ottobre. I mercati hanno reagito malissimo, il dollaro veniva scambiato con 62 pesos, è continuata la fuga degli investitori stranieri preoccupati da un ritorno della sinistra di Cristina de Kirchner, candidata come vice presidente. La Banca Centrale è dovuta intervenire per frenare il deprezzamento della moneta: ha ridotto i finanziamenti in pesos alle grandi imprese esportatrici per costringerle a vendere divise. Il governo non ha avuto altra scelta che chiedere di rinegoziare il debito, proposta che il Fmi ha accolto preoccupato di vedere sprofondare l’Argentina verso il baratro economico con il rischio di perdere l’intera somma. Anche se nessuno lo dice ufficialmente siamo ad un passo dall’ennesimo default sovrano: il nono nella storia del paese e il terzo dall’inizio del terzo millennio. Macri chiede di poter rinviare il pagamento di oltre 100 miliardi di prestiti: 7 miliardi di dollari di interessi sul debito locale a breve termine in scadenza quest’anno. Inoltre cercherà di ridefinire la restituzione dei 50 miliardi di debito a lungo termine – molti dei quali detenuti da investitori stranieri – oltre a posticipare il rimborso dei 44 già erogati dal Fondo monetario. Il ministro Lacunza cerca di sfoderare ottimismo. È convinto che la riprogrammazione dei debiti argentini dovrebbe dare nuovo ossigeno al governo che sarà comunque in grado di essere solvente tra il 2020 e il 2023. Il candidato presidente Fernández è stato invece durissimo nei confronti del Fmi, accusato di aver imposto una «catastrofe sociale» al popolo argentino, colpito da recessione, un’inflazione superiore al 50 per cento e una disoccupazione al 12%. L’Istituto guidato fino al prossimo ottobre da Christine Lagarde è considerato da tutti gli argentini una bestia nera. Ma il Fmi getta acqua sul fuoco: «Resteremo vicini all’Argentina in questo difficile momento». Non ci sono molte alternative. I consulenti economici vicini all’opposizione dicono che l’annuncio del governo «è stata una vera bomba». Basta poco per scatenare il panico. «La gente potrebbe reagire male, ci sarebbe una corsa alle banche per ritirare i soldi. A quel punto sarebbe la fine. È un film che abbiamo già visto».