la Repubblica, 30 agosto 2019
Tutto quello che c’è da sapere sulle balene
Vogate ragazzi! L’olio, l’olio è la posta!». Moby Dick di Melville, pubblicato nel 1851 senza alcun successo in Gran Bretagna e Stati Uniti, rivela nelle parole del marinaio della nave maledetta il sottofondo taciuto della caccia a questo animale ancestrale, che solca i mari e s’è evoluto ben prima dell’homo sapiens.
La balena viene direttamente dalla Genesi, ci ricorda Philip Hoare, è «un mito del quinto giorno», secondo la poetessa Mary Oliver, capace di inghiottire profeti come Giona e marinai come Sinbad. Le prime tracce di questa creatura risalgono a 50 milioni di anni fa. Il cetaceo cacciato da Achab deriva dal pakicetus, un quadrupede dalla corporatura volpina, cui seguirono le lontre gigantesche.
La balena – degna dei mostri dell’Apocalisse, il libro che descrive gli ultimi giorni del mondo – è oggetto delle nostre scorribande dal 1712. La leggenda narra che la nave di Christopher Hussey, trascinata dal vento oltre i limiti della consueta pesca a Nantucket, scoprì in quell’anno il capodoglio – il più grande carnivoro esistente, più grande ancora di ogni dinosauro esistito – e iniziò a predarlo.
E proprio il capodoglio è l’oggetto della caccia senza fine di Achab. Possiede una forma bizzarra con una colossale testa squadrata, così grande da contenere al suo interno perfino un’automobile; scende sino a 3 chilometri sotto la superficie dei mari sfruttando lo spermaceti, oggetto del desiderio dei predatori, una sostanza cerosa che usa come strumento di ecolocalizzazione nel buio, e da cui gli uomini ricavavano, tra l’altro, olio per l’illuminazione; ha un’organizzazione sociale molto complessa, paragonabile a quella umana, basata su fattori come l’età e il sesso.
Come scrive Hoare, è stata la spinta idrostatica dei flussi oceanici ad aver consentito alle balene di evolvere sino a diventare i possenti animali che conosciamo. Nel corso di trecento anni d’implacabile inseguimento negli oceani e nelle acque artiche l’animale antidiluviano è stato quasi sterminato. Così come i cowboy di terra uccisero sessanta milioni di bisonti, i cowboy di mare con le loro navi-mattatoio hanno predato oltre settecentomila cetacei appartenenti alle diverse famiglie. Una storia cruenta che s’incentra su quel prezioso olio. Nel 1833 la filiera della pesca occupava settantamila uomini solo negli Stati Uniti e valeva settanta milioni di dollari; dieci anni dopo era il doppio. In quel periodo gli Stati Uniti esportavano in Europa quattro milioni di litri d’olio l’anno. Possiamo ritenere a ragione che la fortuna delle potenze colonialiste si sia fondata su due cose: la tratta degli schiavi per lo zucchero e l’uccisione delle balene per l’olio. Londra, la città meglio illuminata del mondo, aveva nel Settecento cinquemila lampioni che bruciavano quel prezioso liquido.
Hal Whitehead, ricercatore marino, che ha studiato le balene, sostiene che l’area del cervello dei capodogli addetta ai processi mentali e sensoriali consci è parecchio estesa, e anche la neocorteccia, associata nei primati alla competenza sociale, appare molto sviluppata.
Pur non arrivando a conclusioni sperimentali certe – le difficoltà sono notevoli – Whitehead sostiene che le balene possiedono una memoria molto sviluppata e che non si limitano ad avere una vera e propria cultura, nel senso di raccogliere informazioni per mezzo dell’interazione sociale, ma l’hanno saputa usare per adattarsi con evidente successo al complesso ambiente oceanico. Avrebbero sviluppato emozioni, concetti astratti, e forse persino una religione.
Il cetaceo più cacciato del globo è programmato per vivere a lungo – ha dieci battici cardiaci al minuto – e si riproduce con molta lentezza: le femmine partoriscono un solo piccolo alla volta ogni quattro-sei anni e li nutrono per due anni con un latte che, come dice Ismaele in Moby Dick, è molto dolce e ricco e sarebbe perfetto accompagnato con le fragole. Le balene comunicano tra loro in modo complesso, si organizzano in clan e comunità, condividendo lingue e dialetti.
Decimando i più antichi capodogli della Terra, si chiede Hoare, cosa abbiamo perso? Una parte della memoria ancestrale del mondo, lingue sconosciute, codici di comunicazione, un pezzo non più recuperabile della storia del nostro Pianeta che, da quando l’abitiamo noi, dall’età detta antropocene, perde ogni giorno pezzi della propria fauna e flora.
Al termine della sua caccia Achab scaglia l’arpione contro la Balena bianca. Ma la fune s’attorciglia intorno al suo collo e il capitano viene strappato dalla lancia. L’equipaggio lo vede inabissarsi avvinto al fianco bianco dell’animale, che poi affonda il Pequod. Le acque inghiottono tutti tranne Ismaele, che così può tornare a raccontarci il folle inseguimento della balena.
Cosa leggere
Leviatano ovvero la balena di P. Hoare (tr.it. di D. Sacchi e L. Civalleri, Einaudi) è il miglior libro sul tema; l’antologia a cura di Stanislavo Nievo e Greg Gatenby, E Dio creò la grande balena
(Oscar Mondadori) è utile; sugli aspetti naturalistici Hadoram Shirihai e Brett Jarret, Balene, delfini e foche (tr.it. Melani Traini, Ricca editore); H. Whitehead, Sperm Whales: Social Evolution in the Ocean, University of Chicago Press; esistono diverse traduzioni di Moby Dick da quella di Cesare Pavese (Adelphi) alle più recenti di Alessandro Ceni (Feltrinelli) e di Ottavio Fatica (Einaudi).